Una volta l’Italia era spaccata tra Nord e Sud.
Due mondi diversi, sì, ma con un certo equilibrio: da una parte l’efficienza e la diffidenza del settentrione, dall’altra la fierezza e l’umanità del meridione.
Oggi invece la frattura è più sottile e più tossica: non è più geografica, ma mentale. Non c’è più Milano contro Napoli, ma noi contro voi.
Il guaio è che nessuno sa più bene chi siano questi noi e voi.
Si cambia bandiera come si cambia canale TV. Ognuno cerca la propria tribù, il proprio recinto dove sentirsi nel giusto, mentre la politica se la ride. Perché più ci dividiamo, più chi governa si rafforza.
Il popolo, da “sovrano”, è diventato “succube”: vota, commenta, s’indigna, ma alla fine resta spettatore.
La partecipazione si è trasformata in tifo. E come ogni brava comparsa, il cittadino deve pure portarsi il copione da casa.
E non pensiamo che questa spaccatura riguardi solo “gli altri”: nemmeno il nostro paese, Statte, ne è immune.
Anche qui si respira quell’aria di diffidenza reciproca, di schieramenti rigidi e parole urlate. Si discute più per appartenenza che per ragione.
Si è perso l’ascolto, il confronto, il “noi” vero, quello comunitario, non quello ideologico.
Le cause sono tante: una politica che vive di contrapposizioni, un’informazione che alimenta il rancore, una società stanca e disillusa che cerca nemici per sentirsi viva.
E forse la ragione più profonda è che dire noi tutti insieme richiede responsabilità, mentre dire voi è molto più comodo.
Così restiamo come un grande condominio litigioso: ognuno chiuso nella propria porta blindata, ma tutti con lo stesso amministratore.
E quello, inutile dirlo, continua a incassare sorridendo.