martedì 16 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°39 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°39 – Settembre 2025
"Il ritorno in clinica (e altre tragedie che non possiamo ignorare)".

Sabato scorso ho fatto visita al “mio” chirurgo, quello che ormai potrei tranquillamente mettere nel gruppo WhatsApp di famiglia, tanto ci vediamo spesso. Ho portato la solita montagna di carte: referti, cicli di chemio, analisi. Se ci aggiungevo anche le bollette dell’ENEL, secondo me non se ne accorgeva nemmeno.

Ebbene sì, la telenovela continua: tra circa un mese tornerò in clinica. Non per una vacanza, non per un weekend benessere, ma per una simpatica biopsia. Tradotto: un pezzettino di me se ne andrà in laboratorio, a farsi analizzare come fossi una mozzarella DOP sotto controllo qualità.

Non che salti di gioia, anzi. Ma ormai la prendo quasi come una sfida sportiva: “Nemico, ci vediamo in campo! Stavolta ti conosco, non giochi più a sorpresa.” E infatti, a differenza del primo ricovero, adesso so cosa portarmi: una tuta, lo spazzolino e, soprattutto, tanta pazienza. Che tanto in clinica il tempo non passa, si trascina come una riunione di condominio.

La cosa che invece non passa è la mia cartella clinica del primo ricovero. Richiesta subito, pagata in anticipo (che tanto qui funziona tutto “pay now, suffer later”), ma dopo tre mesi e mezzo ancora niente. Ad ottobre, appena metto piede in accettazione, prometto che sentiranno il dolce suono delle mie lamentele.

E mentre penso al mio “ospite indesiderato”, non posso non guardare oltre il mio naso. Perché c’è un altro male che non è nascosto dentro un corpo, ma che esplode fuori, in mezzo alla gente: a Gaza il genocidio continua, giorno dopo giorno, con un silenzio assordante che ci rende tutti complici.

Io posso ironizzare sul mio percorso, perché almeno ho un’arma: la mia determinazione e il sostegno di chi mi vuole bene. Ma lì, in Palestina, la gente non ha neanche questo. Non hanno ospedali funzionanti, non hanno cure, non hanno nemmeno l’acqua. Hanno solo macerie e un mondo che volta lo sguardo.

E allora penso: se io posso combattere il mio piccolo grande male, anche noi, collettivamente, abbiamo il dovere di combattere quell’altro, molto più grande. Perché la vita e la salute non è solo mia, non è solo tua, ma di tutti. E il silenzio, davanti a un genocidio, è già una malattia mortale.

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