martedì 30 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°44 – Settembre 2025.

📝 Diario di bordo n°44 – Settembre 2025.

"La mia Coppa Cobram (tra sudate e tasse)."

Ho deciso di rimettermi in forma. Ce la farò?
Non parlo di forma atletica, eh, quella ormai è una roba che neanche nei film di fantascienza. Ma almeno rimettermi in modalità “essere umano”, quello sì, quello è ancora alla mia portata.

E oggi, udite udite, ho fatto quello che avevo promesso l’altro ieri: sono tornato alle mie camminate salutari. Quelle che facevo quando il mio corpo ancora non ospitava l’inquilino abusivo che mi porto dietro.
La giornata era perfetta, niente sole che ti scioglie come un ghiacciolo, giusto un’aria di settembre che ti invita ad allacciare le scarpe e uscire.

Così, con lo spirito di Fantozzi alla “Coppa Cobram”, ho indossato i pantaloni della tuta (che sembravano usciti direttamente da un mercatino sovietico anni ’80) e sono uscito di casa. Giuro, mancava solo il megafono di Villaggio che urlava: “Tutti pronti alla partenzaaaa!”.

Due giri di isolato. Due, non venti. Ma che soddisfazione, ragazzi. Mi sentivo un maratoneta, un novello Abebe Bikila in versione casalinga, senza Olimpiadi ma con lo sguardo dei vicini che già si chiedevano: “Ma questo dove va così conciato?”.

Durante il percorso, mi sono imbattuto in una non-notizia sparata dal Corriere della Sera. In pratica, ci hanno ricordato che il 57% degli italiani paga l’Irpef, e il resto no. Che l’11,6 milioni di contribuenti mantengono il 76,87% dell’intera baracca, mentre gli altri 31 milioni partecipano con le briciole.
Tradotto: pochi fessi tengono in piedi la baracca, e i tanti furbi si fanno gli gnorri.

E lì mi è venuto spontaneo pensare: ma allora siamo proprio dei poveri cristi con la scritta “FESSI” tatuata in fronte. Perché mentre noi paghiamo fino all’ultimo centesimo, arriva il solito Salvini di turno, quello che un giorno sì e l’altro pure promette condoni, e noi che paghiamo regolarmente… indovinate un po’? Ce lo prendiamo sempre nello stesso posto.

E allora la mia riflessione finale è questa: forse in Italia abbiamo accettato con troppa rassegnazione che esista un’Italia dei furbi e un’Italia dei fessi. I primi vincono sempre, i secondi pagano sempre. Ma non è una legge divina, non è scritto da nessuna parte. È solo la conseguenza di una politica che ha smesso di premiare l’onestà e che invece coccola chi evade, chi trucca le carte, chi campa di slogan.

Ecco perché, alla fine, il mio piccolo giro dell’isolato non è stato solo ginnastica. È stata anche una presa di coscienza: se vogliamo un Paese che cammini, dobbiamo smettere di correre solo noi, i soliti fessi. Devono cominciare a camminare anche i furbi. E devono farlo pagando quello che devono.

Perché alla fine, la vera Coppa Cobram non è quella dei muscoli… è quella della giustizia sociale.

Cronache da un futuro passato. N° 7 – settembre 2025.

Cronache da un futuro passato. N° 7 – settembre 2025.

"La Flotilla e il silenzio della coscienza."

Il giorno dopo le elezioni regionali, titoli e commenti hanno accostato l’esito delle urne alla missione della Flotilla. Un gioco politico stanco e offensivo: la sinistra a rivendicare, la destra a sminuire. Ma la verità è semplice e dura: la Flotilla, con le sue donne e i suoi uomini venuti da ogni parte del mondo, non ha nulla a che vedere con le nostre beghe di palazzo.
Lì non c’è spazio per strategie di partito o per calcoli elettorali. Lì c’è solo la voce di un popolo martoriato, quello palestinese, schiacciato da un genocidio che si consuma nell’indifferenza di molti. 
Accostare quella missione di pace e solidarietà alle percentuali di voto nelle Marche è non solo fuorviante, ma soprattutto offensivo per chi rischia la vita in nome della giustizia.
Intanto, metà degli elettori italiani ha scelto di restare a casa, segno di una democrazia che perde credibilità e di una politica che parla sempre più a se stessa e sempre meno alle persone reali. 
Ma c’è un’altra metà del mondo che, invece, non smette di lottare: quella che sale a bordo delle navi della Flotilla, che non si arrende all’idea che la solidarietà sia diventata merce rara.
Il valore di quella missione va oltre ogni urna elettorale. È un richiamo universale: o recuperiamo il senso di umanità, o saremo tutti più poveri, non solo nei diritti ma nello spirito. La proposta è davanti agli occhi: smettiamo di trasformare il dolore altrui in strumento di consenso. Torniamo a guardare la politica come un atto di servizio e la solidarietà come fondamento di civiltà.
Perché la vera vittoria non è mai dentro un seggio elettorale: è nel cuore di chi sceglie di non restare indifferente.

🖋 Giovanni Pugliese

lunedì 29 settembre 2025

Cronache da un futuro passato. N° 6 – settembre 2025.

Cronache da un futuro passato. N° 6 – settembre 2025.
"L’autunno dell’umanità."

Viviamo in un tempo dove la guerra è diventata routine, una colonna sonora che non scuote più le coscienze. Le notizie scorrono come acqua sporca tra i titoli di un telegiornale distratto: bombardamenti, stragi, massacri. Eppure, ciò che dovrebbe indignare diventa presto un rumore di fondo, coperto dal frastuono dei teatrini politici e dalla corsa frenetica al profitto.
Il capitale globale non conosce limiti: multinazionali e finanza speculativa scrivono le leggi, mentre milioni di esseri umani vivono schiacciati tra precarietà e fame. Non è solo ingiustizia sociale: è il sintomo di una civiltà che ha invertito i valori, trasformando il denaro in divinità e la vita in merce sacrificabile.
Intanto la Terra geme. Incendi, alluvioni, siccità, catastrofi che un tempo definivamo “eccezioni” sono diventate il calendario ordinario dell’Apocalisse climatica. L’autunno del pianeta non è più un’immagine poetica: è la sua pelle che brucia, è il suo respiro che si spezza.
E davanti a questo scenario? Un silenzio complice, un’apatia diffusa. Le persone si guardano in cagnesco sui social, divise da fake news e paure alimentate ad arte, mentre chi davvero tiene le redini resta invisibile e intoccabile. La tecnologia, che potrebbe liberarci, viene piegata al controllo e alla manipolazione. Così l’individuo, anziché emanciparsi, si ritrova imprigionato in una solitudine di massa.
Quello che viviamo non è solo un autunno climatico, è un autunno morale. La compassione derisa come ingenuità, la solidarietà ridotta a folklore, la ricerca del bene comune bollata come utopia. È il trionfo del cinismo e del sospetto, mentre la ricchezza si concentra nelle mani di pochi, sempre più lontani e inaccessibili.
Eppure, nel riconoscere questo inverno in arrivo, forse si nasconde la nostra ultima possibilità di svegliare coscienze. Perché l’autunno dell’umanità non deve per forza preludere al gelo: potrebbe ancora trasformarsi in una nuova primavera, se solo tornassimo a mettere al centro ciò che davvero conta — la vita, la dignità, la giustizia.

🖋Giovanni Pugliese

domenica 28 settembre 2025

Diario di bordo n°43 – Settembre 2025

Diario di bordo n°43 – Settembre 2025
"In attesa di uno squillo (no, non quello amoroso)"

Sono sempre in attesa. Non dell’amore, non di un colpo di fortuna, ma della famigerata chiamata in clinica. 
Quel trillo che ormai ha preso il posto del suono dell’ambulanza nei miei incubi. 
Una voce dall’altro capo mi dirà la data del pre-ricovero, un giro di giostra fatto di accertamenti clinici prima del grande bis: tornare in sala operatoria.

Nel frattempo, le giornate scorrono lente, tra attese e sospiri. Alcuni giorni, come quello di oggi, il nulla cosmico prende possesso di me. Non faccio niente. Zero. Nada. E questa cosa comincia a preoccuparmi. 
Preoccupa non solo me, a quanto pare. Pensate che oggi pomeriggio il mio contapassi sul cellulare mi ha inviato una notifica, quasi allarmata, chiedendomi: “Ehi, sei ancora vivo?”. Ormai siamo a questo: pure un algoritmo si preoccupa per la mia vitalità, e inizia a farmi da badante digitale.

Comunque, bando alle chiacchiere: da domani ho deciso di muovermi di più. Il fisico reclama un po’ di movimento, e non posso permettermi di arrugginire come una bici lasciata al vento in riva al mare. Il corpo, si sa, è una macchina strana: appena lo lasci in stand-by, protesta.

Intanto qui a Taranto l’estate ha salutato tutti e se n’è andata. Ha chiuso la porta piano piano e ci ha lasciato con la solita malinconia di settembre. Si riaprono gli armadi, tornano i vestiti meno estivi, e l’aria porta con sé quell’odore di cambiamento che è sempre un po’ dolce e un po’ amaro.

Dal mondo invece arrivano notizie che hanno ben poco di poetico. L’escalation di violenza non accenna a fermarsi. Sembra che i grandi leader mondiali si siano ubriacati di potere e violenza, e adesso ballano questa danza macabra che rischia di trascinare tutti con sé. Non parlano più di pace, non sanno più cosa significhi costruire. E l’umanità, già stanca e ferita, continua a subire.

E allora sì, mi sento preoccupato. Ma non voglio fermarmi a questo. Perché la verità, nuda e cruda, è che la storia la scriviamo anche noi, con la nostra determinazione, con la nostra volontà di dire “basta” a chi vive di conflitti e di odio. Non possiamo lasciare il mondo in mano ai bulli globali.

E così, mentre attendo quel benedetto squillo dal telefono, mi ripeto una cosa semplice: la vita, anche quando sembra sospesa, pretende di essere vissuta. E noi, nel nostro piccolo, abbiamo il dovere di difenderla.

giovedì 25 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°42 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°42 – Settembre 2025
"L’estate che non è mai arrivata."

Sono passati circa cinque mesi da quando il mio corpo ha deciso di farmi un bello scherzetto. Un piccolo difetto di fabbrica, chiamiamolo così, che ha preteso attenzioni speciali: un’operazione, sei cicli di chemio, un giro turistico tra cliniche e ospedali che manco le agenzie di viaggi low cost sanno organizzare così bene.

E così mi sono ritrovato a vivere la mia estate del 2025 non tra mare e granite, ma tra flebo e referti. Altro che “estate italiana”: la mia colonna sonora è stata il bip dei macchinari e il fruscio dei camici bianchi.

La verità è che vivere tutto questo sulla propria pelle ti ribalta il mondo. Perché sì, a Taranto lo sappiamo tutti che la salute è un campo minato, ma quando la mina la pestiamo noi, cambia tutto. All’improvviso la percezione diventa reale, concreta, e ti accorgi che non è un racconto da giornale: è la tua carne, il tuo sangue, la tua vita.

Ora che l’estate se n’è andata, mi sento come quei lidi balneari che smontano ombrelloni e sedie sdraio per non farsi travolgere dalle mareggiate invernali. E dentro di me resta una certezza: l’estate del 2025, per me, non è mai cominciata. Un miraggio, evaporato prima ancora di materializzarsi.

Ma io ci metto la firma per rifarmi la prossima. Già immagino il sole che torna a pizzicare la pelle, la risata liberata dal vento, e la vita che, nonostante tutto, trova sempre un modo per reinventarsi.

Intanto mi preparo ad affrontare l’inverno. Non solo il mio, fatto di terapie e attese, ma quello collettivo che stiamo vivendo come umanità. Perché non so se te ne sei accorto, ma il mondo è guidato sempre più da piccoli Cesari in doppiopetto, leader senza bussola morale, campioni di arroganza e collezionisti di conflitti. Gente che se potesse, metterebbe il proprio ego sul calendario al posto delle festività.

E allora penso che sì, stiamo navigando tempi tempestosi, ma le tempeste hanno un pregio: spazzano via tutto ciò che non ha radici. E io voglio credere che l’umanità, prima o poi, tirerà fuori il suo cuore migliore, riattivando quel muscolo un po’ arrugginito che si chiama coscienza democratica.

E alla fine, lo dico con ironia ma anche con la serietà di chi ha imparato che non c’è tempo da sprecare: se c’è una lezione che questa mia “non-estate” mi ha lasciato, è che bisogna tenersi stretti alla vita. Perché lei, la vita, anche quando sembra remarti contro, resta sempre la compagna più testarda e affascinante che abbiamo.

E io, modestamente, ho deciso di non mollarla.

sabato 20 settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 5 – settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 5 – settembre 2025
"La diossina, le pecore e le “favole” di Taranto."

Certe volte, nei tribunali italiani, sembra di assistere più a un’opera buffa che a un processo. Succede così anche a Potenza, dove si discute il destino giudiziario di 22 imputati per il disastro ambientale targato ex Ilva. L’avvocato difensore di uno dei fiduciari dei Riva, ha sostenuto con piglio sicuro che la diossina e i PCB trovati nelle pecore di Fornaro non hanno nulla a che fare con le emissioni dello stabilimento siderurgico tarantino.
Una tesi ardita, quasi poetica: gli inquinanti, secondo questa narrazione, arriverebbero da chissà dove, forse dalle stelle cadenti o – perché no – dalle “puzzette” delle stesse pecore abbattute. Perché se si segue questo ragionamento, il vero pericolo per Taranto non sarebbero i camini dell’acciaieria, ma il ruminare sospetto degli ovini.
L’arringa, durata quattro ore, ha cercato di smontare il lavoro dei periti della magistratura, accusati di errori metodologici e conclusioni affrettate. Eppure, a guardare la storia di Taranto e delle sue cicatrici, quelle affermazioni suonano come un insulto alla memoria di chi ha pagato con la vita l’aria avvelenata e il suolo contaminato.
Perché la realtà, per quanto si tenti di mascherarla, resta sotto gli occhi di tutti: quartieri devastati da malattie, un ecosistema compromesso, famiglie intere travolte da lutti che hanno sempre e solo un denominatore comune. Non si tratta di suggestioni, ma di dati, rapporti sanitari, mappe epidemiologiche.
Che poi il procedimento sia stato spostato da Taranto a Potenza poco importa: il vento che spinge le nuvole di fumo nero resta lo stesso, e la storia non si riscrive con un’arringa.
Alla fine, resta una domanda amara: fino a che punto siamo disposti a credere a certe favole da aula di tribunale? E soprattutto: chi ci guadagna a trasformare le vittime in colpevoli e gli inquinatori in agnelli sacrificali?
Perché una cosa è certa: le pecore di Fornaro non avevano ciminiere.

🖋GP

venerdì 19 settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 4 – settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 4 – settembre 2025
"La politica del lamento e le urgenze dimenticate."

Ormai lo scontro politico in Italia si è ridotto a una fiera del vittimismo, dove le accuse reciproche e gli scenari da teatrino prevalgono sulla sostanza. C’è chi si lamenta di complotti inesistenti, chi accusa l’opposizione di odio preconfezionato, e chi si erge a martire di un sistema che, paradossalmente, governa. È il ribaltamento perfetto: prima si governa, poi ci si traveste da opposizione.

Un po’ come in quell’aneddoto popolare dell’ascensore: qualcuno lascia la propria “puzzetta” e subito incolpa gli altri passeggeri. Un gioco vecchio quanto il mondo, ma che oggi diventa la cifra stessa della comunicazione politica.

Eppure il Paese non ha bisogno di questo. L’Italia chiede altro, e lo chiede con urgenza: una sanità pubblica efficiente, che non costringa i cittadini a interminabili liste d’attesa o a indebitarsi per una visita. 
Stipendi che non siano più il fanalino di coda d’Europa, pensioni che restituiscano dignità a chi ha lavorato una vita.

Il rumore del chiacchiericcio politico copre il silenzio assordante delle questioni reali. 
Ed è in questo scarto tra ciò che viene detto e ciò che viene fatto che si misura la distanza tra palazzo e società.

Serve un cambio di passo: meno slogan, meno teatrini, meno vittimismo. Più responsabilità, più coraggio, più concretezza. Perché la politica non è il luogo dove lamentarsi: è il luogo dove si costruiscono soluzioni.

🖋 GP

📝 Diario di bordo n°41 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°41 – Settembre 2025
"L’uomo di mare ritorna a casa".

Oggi va alla grande, oggi mi sento benissimo.
E no, non è un miracolo della scienza né un’improvvisa illuminazione zen. È che finalmente sono tornato al mare. Per chi, come me, è nato con la salsedine nelle vene e il rumore delle onde nelle orecchie, stare lontano dal mare è come togliere a un pugliese la focaccia calda: una crudeltà insopportabile.

Quest’estate, per le note vicissitudini cliniche e per le mie battaglie parallele tra chemio, referti e ospedali, non ero ancora riuscito a mettere piede sulla sabbia. E vi assicuro, non è stato facile. È come se a un pesce gli togli l’acqua e poi gli chiedi di sorridere: prova tu!

Ma stamattina l’impresa è riuscita. Eccomi lì, come un naufrago che finalmente tocca terra: i piedi affondati nella sabbia dorata, la pelle che riscopre l’abbraccio del sole, e soprattutto quell’acqua cristallina del nostro amato Ionio che ti avvolge e ti dice: “Bentornato, sei di nuovo a casa”.

Le ferite sul mio corpo? Non potevano chiedere di meglio: il sale che brucia ma cura, la temperatura perfetta che ti culla, il sole che ti scalda come una carezza di madre. Tutto torna al suo posto, e per un attimo anche i pensieri si lasciano andare, come barche al largo.

E allora mi chiedo: ma se basta il mare per rimettere in moto la vita, perché abbiamo lasciato che questo mare, che questa terra, venissero avvelenati da decenni di fumi e promesse mancate? Perché la politica continua a litigare come due bambini sull’altalena, mentre intorno le persone si ammalano, soffrono e cercano solo un po’ di normalità?

La verità è che non possiamo più permetterci di restare spettatori. Abbiamo il diritto – e il dovere – di difendere con la nostra determinazione la salute di ognuno di noi, di Taranto come di Statte, troppo spesso dimenticata ma colpita quanto il quartiere Tamburi.

Oggi il mare mi ha insegnato di nuovo una cosa semplice ma potente: la vita va difesa, curata e amata. Proprio come questo Ionio che ci regala bellezza ogni giorno, anche quando lo dimentichiamo.
E allora, amici, rivendichiamo la nostra umanità, pretendiamo meno chiacchiere e più fatti, meno conflitti e più soluzioni. Perché se il mare sa guarire, noi cittadini possiamo salvare questa terra. Basta volerlo davvero.

giovedì 18 settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 2 – settembre 2025.

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 2 – settembre 2025.

"La fabbrica della paura."

C’è un coro che si leva dalle destre di mezzo mondo, con Trump come capofila: “la sinistra semina odio”. È diventato un mantra, ripetuto ossessivamente fino a sembrare una verità. Ma, come spesso accade, chi accusa cerca in realtà di coprire le proprie responsabilità. La paura, agitata ad arte, è un’arma politica potente: distrae, divide, indebolisce il pensiero critico.

Mentre queste narrazioni si diffondono, il pianeta conosce un crescendo di conflitti. Guerre che scoppiano, territori devastati, popolazioni intere sacrificate. Eppure, dietro ogni guerra, dietro ogni decisione di armarsi fino ai denti, ci sono sempre nomi e cognomi, scelte precise, appartenenze politiche mai casuali. Non è il destino che ci spinge verso l’abisso: sono interessi.

Oggi il mondo corre in una sola direzione: aumentare la spesa militare, investire nella produzione di armi, alimentare una spirale di tensioni senza fine. Si costruisce la percezione di una minaccia costante per giustificare ciò che dovrebbe apparire inevitabile: più armi, più eserciti, più conflitti. Ma a chi serve tutto questo?

La risposta è scomoda ma necessaria: c’è chi ci guadagna. C’è chi trasforma la paura in potere, la guerra in affari, l’insicurezza in consenso politico. E mentre i popoli si impoveriscono e i diritti arretrano, i signori delle armi e i registi dell’odio rafforzano il loro dominio.

Il compito di chi ancora crede nella democrazia e nella libertà non è lasciarsi travolgere dal rumore della propaganda, ma smascherare questa fabbrica della paura. Perché il vero odio non nasce dalle denunce della sinistra, ma dalla violenza culturale e politica che vuole normalizzare la guerra, ridurre l’essere umano a soldato o consumatore di armi.

Il futuro che ci aspetta dipende dalla nostra capacità di riconoscere questa trappola. Se resteremo spettatori, l’odio diventerà davvero il linguaggio universale. Se avremo il coraggio di opporci, potremo ancora scrivere un domani in cui la parola “pace” non sia relegata a un’utopia.

🖋GP

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 1 – settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 1 – settembre 2025

"Il futuro ipotecato."

L’idea di usare il Tfr per anticipare l’uscita dal lavoro non è una soluzione, ma un espediente: una mossa studiata per guadagnare tempo e consensi, senza toccare la radice del problema.

La realtà, nuda e cruda, è che il nostro sistema pensionistico si avvia verso un equilibrio fragile: entro il 2050 ci sarà un lavoratore per ogni pensionato. Un rapporto che rende insostenibile ciò che oggi, già a fatica, regge su 1,4 occupati per pensionato.

Si sbandiera l’aumento degli occupati: un milione in più rispetto a tre anni fa. Ma il dato, se guardato da vicino, mostra un volto ben diverso: sono quasi tutti over 50, mentre giovani e donne restano esclusi. Non è crescita, è solo invecchiamento del lavoro. E senza nuove generazioni attive, senza stipendi dignitosi e contributi solidi, i numeri sono poco più che fumo negli occhi.

La Lega aveva costruito la sua fortuna promettendo di cancellare la Fornero e garantire la pensione dopo 41 anni di lavoro. Ha dovuto abbandonare lo slogan appena ha incrociato i conti pubblici. Oggi rilancia col Tfr in rendita, come fosse la panacea di tutti i mali. Ma è un trucco: significa consumare oggi ciò che dovrebbe servire domani, lasciando i futuri pensionati più poveri e più vulnerabili.

Il vero dramma è che continuiamo a barattare il domani con l’illusione di un presente accomodante. Così ipotechiamo il futuro dei nostri figli, sottraendo loro non solo una pensione, ma l’idea stessa di un patto sociale tra generazioni.

Se non avremo il coraggio di guardare oltre le scorciatoie, di investire in lavoro stabile, salari giusti, pari opportunità, ci ritroveremo davanti a un bivio: un sistema al collasso o una società costretta ad accettare nuove forme di ingiustizia come se fossero inevitabili.

Il futuro ipotecato non è frutto del destino, ma delle scelte di oggi. Sta a noi decidere se continuare a svenderlo o restituirgli valore.

🖋GP

Cronache da un futuro passato.

📰 "Cronache da un futuro passato" nasce dall’idea che tutto ciò che siamo e che pensiamo – i ricordi del nostro passato, le attese e le paure per il futuro – esiste soltanto nel presente. È qui, adesso, che si intrecciano le nostre esperienze, le ingiustizie che osserviamo, le speranze che coltiviamo.

Questa rubrica vuole essere uno spazio di riflessione e denuncia, dove il giornalismo si fa voce dei più deboli e dei senza voce, senza mai rinunciare a uno sguardo critico e acuto sulla realtà. 
Ma vuole anche essere letteratura, suggestione, visione: piccoli racconti, analisi e riflessioni che cercano di leggere il presente attraverso le lenti del passato e le proiezioni di un futuro che, forse, già ci appartiene.

In "Cronache da un futuro passato", troverete parole che colpiscono, immagini che provocano, stimoli che invitano a ragionare, discutere e soprattutto a non restare indifferenti. 
Una rubrica pensata per chi vuole guardare oltre la superficie, per chi vuole comprendere i meccanismi della società, le contraddizioni dei poteri, le vite silenziose che spesso ignoriamo.

Perché capire il presente, raccontarlo e criticarlo, significa avere la possibilità di cambiare ciò che verrà.

Stay tuned 😉

mercoledì 17 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°40 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°40 – Settembre 2025
"Dal dolore alla speranza: la bussola dell’umanità".

Questa mattina, mentre mettevo ordine tra le carte accumulate in questi mesi di ospedali, referti e cicli di chemio, mi sono chiesto quanta vita ci sia in quei fogli. 
Numeri, sigle, percentuali, referti scritti con linguaggio freddo… eppure dentro c’è la mia storia. 
Una storia che mi appartiene, ma che purtroppo appartiene a migliaia di altri come me.

Ripenso a una storia che porto nel cuore: quella di un prigioniero di Dachau che, stremato, cadde durante l’appello. Un compagno rischiò la vita per offrirgli un sorso d’acqua. 
Un gesto semplice, eppure enorme: perché non salvò solo il corpo, ma la volontà di vivere. Quella piccola goccia d’acqua era dignità, resistenza, speranza.

E penso a Taranto e a Statte. 
Noi siamo come quell’uomo caduto: provati da decenni di veleni, da un inquinamento che non ci dà tregua. Eppure, accanto a noi ci sono mani che si tendono. 
Le donne e gli uomini di buona volontà, i cittadini che piantano alberi, che resistono, che non si arrendono al degrado. 
Piccoli gesti che valgono come sorsi d’acqua: ridanno vita, fiducia e la voglia di rialzarsi. Statte spesso vive all’ombra della città grande, ma subisce gli stessi colpi. E anche qui c’è chi non smette di credere che il futuro vada difeso.

La verità è che l’umanità è merce rara, ma non scomparsa. Sta nei gesti silenziosi, ostinati, che fanno la differenza. 
E oggi, più che mai, dobbiamo rivendicarla. Perché la vera battaglia non è tra destra e sinistra, tra slogan e dichiarazioni, ma tra chi sa ancora tendere la mano e chi invece alimenta conflitti sterili.
Noi cittadini abbiamo il diritto – e il dovere – di pretendere meno chiacchiere e più fatti. 
Meno propaganda e più rispetto per la vita delle persone. Meno guerre di posizione e più coraggio di scegliere la giustizia, la salute, l’ambiente.
Se vogliamo rialzarci, come quell’uomo a Dachau, serve qualcuno che abbia il coraggio di offrirci davvero un sorso d’acqua: non promesse, ma dignità concreta.

martedì 16 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°39 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°39 – Settembre 2025
"Il ritorno in clinica (e altre tragedie che non possiamo ignorare)".

Sabato scorso ho fatto visita al “mio” chirurgo, quello che ormai potrei tranquillamente mettere nel gruppo WhatsApp di famiglia, tanto ci vediamo spesso. Ho portato la solita montagna di carte: referti, cicli di chemio, analisi. Se ci aggiungevo anche le bollette dell’ENEL, secondo me non se ne accorgeva nemmeno.

Ebbene sì, la telenovela continua: tra circa un mese tornerò in clinica. Non per una vacanza, non per un weekend benessere, ma per una simpatica biopsia. Tradotto: un pezzettino di me se ne andrà in laboratorio, a farsi analizzare come fossi una mozzarella DOP sotto controllo qualità.

Non che salti di gioia, anzi. Ma ormai la prendo quasi come una sfida sportiva: “Nemico, ci vediamo in campo! Stavolta ti conosco, non giochi più a sorpresa.” E infatti, a differenza del primo ricovero, adesso so cosa portarmi: una tuta, lo spazzolino e, soprattutto, tanta pazienza. Che tanto in clinica il tempo non passa, si trascina come una riunione di condominio.

La cosa che invece non passa è la mia cartella clinica del primo ricovero. Richiesta subito, pagata in anticipo (che tanto qui funziona tutto “pay now, suffer later”), ma dopo tre mesi e mezzo ancora niente. Ad ottobre, appena metto piede in accettazione, prometto che sentiranno il dolce suono delle mie lamentele.

E mentre penso al mio “ospite indesiderato”, non posso non guardare oltre il mio naso. Perché c’è un altro male che non è nascosto dentro un corpo, ma che esplode fuori, in mezzo alla gente: a Gaza il genocidio continua, giorno dopo giorno, con un silenzio assordante che ci rende tutti complici.

Io posso ironizzare sul mio percorso, perché almeno ho un’arma: la mia determinazione e il sostegno di chi mi vuole bene. Ma lì, in Palestina, la gente non ha neanche questo. Non hanno ospedali funzionanti, non hanno cure, non hanno nemmeno l’acqua. Hanno solo macerie e un mondo che volta lo sguardo.

E allora penso: se io posso combattere il mio piccolo grande male, anche noi, collettivamente, abbiamo il dovere di combattere quell’altro, molto più grande. Perché la vita e la salute non è solo mia, non è solo tua, ma di tutti. E il silenzio, davanti a un genocidio, è già una malattia mortale.

domenica 7 settembre 2025

Pensieri

Stanotte il sonno ha deciso di farsi i fatti suoi, e io ho dovuto accontentarmi di un cinema gratuito dentro la testa. 
Proiettore acceso, pellicola infinita: la mia vita. E lì a guardarla, ti viene la tentazione di urlare al macchinista: “Ehi, rallenta, fammi rivedere la scena, questa non l’avevo capita bene!”. Ma niente, il treno corre e non si ferma neppure per una pipì veloce.
E allora i ricordi fanno irruzione: visi amati, alcuni già emigrati nell’altrove, ma sempre lì, nei miei pensieri, in prima fila. Sono volti che non hanno bisogno di corpo per esserci, perché restano più vivi di certi vivi che incontri per strada.
Le emozioni non chiedono permesso: ti travolgono, ti fanno lo sgambetto proprio quando pensi di essere un duro. E ti ritrovi con una lacrima che scivola sul viso, dispettosa, quasi a dire: “Sei pure un uomo forte, ma io intanto passo”.
Ironia della sorte: la vita corre troppo, ma le notti come questa sanno allungarsi all’infinito. Un paradosso buffo, se ci pensi: di giorno chiedi tempo e non te ne danno, di notte vorresti silenzio e invece ti regalano pensieri a cascata. 
E così resto qui, istrione di me stesso, a ridere e commuovermi, a giocare con il filo invisibile che lega ricordi e presente. Perché sì, la vita è un treno che non si ferma… ma ogni tanto, almeno in notti come questa, possiamo aprire il finestrino e guardare il paesaggio che ci portiamo dentro.

sabato 6 settembre 2025

📖 Perché scrivo Diario di bordo.

📖 Perché scrivo Diario di bordo.

Molti mi chiedono: “Ma chi te lo fa fare di raccontare tutto, passo dopo passo?”
Beh, semplice: lo faccio per esorcizzare, per riderci un po’ su, e anche per dare una mano a chi, purtroppo, si trova a dover affrontare la stessa battaglia.
Quando ho scoperto di avere il tumore mi sono sentito perso: paura, smarrimento, e quella sensazione di non sapere nemmeno da dove partire. È come trovarsi in mezzo a un mare in tempesta senza bussola. Allora ho deciso: scrivo tutto. Ogni passaggio, ogni momento, anche i più scomodi. Ma lo faccio con sarcasmo, perché piangermi addosso non mi interessa, e drammatizzare non mi serve.
C’è anche un altro motivo: a Taranto e provincia, purtroppo, siamo in tanti. Troppi.
E allora che senso ha stare zitti? Racconto la mia esperienza non solo per me, ma per chi verrà dopo, per chi sta iniziando adesso questo percorso.
E permettetemi di aggiungere una cosa: chi combatte contro questo male non ha bisogno di frasi fatte o di occhi impietositi. Ha bisogno di amore, di serenità, di sentirsi accanto qualcuno che gli fa compagnia anche solo con una battuta o un sorriso. È la miglior medicina parallela alle cure.
A voi che mi seguite dico grazie. Ma vi chiedo anche un favore: pretendete, senza se e senza ma, che la salute venga prima di tutto. Non è merce di scambio, non è da barattare con promesse o interessi. È l’unico bene che non ha prezzo.
Se poi vi scappa pure una risata leggendo i miei appunti, ancora meglio: significa che il Diario di bordo sta facendo il suo lavoro. 😉

venerdì 5 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°38 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°38 – Settembre 2025
“Quando il carnefice ti diventa quasi simpatico”

Questa mattina, armato di coraggio, fede e una buona dose di autolesionismo psicologico, ho deciso di chiamare il mio carnefice.
Sì, proprio lui: quello che già una volta mi ha “aperto come una cozza” per tirare fuori un pezzettino di me da mandare in giro per laboratori. E adesso, indovinate? Vuole rifarlo. Evidentemente gli è piaciuto.

Prima di comporre il numero ho fatto il classico esercizio di respirazione alla “yoga del poveraccio”: inspira… espira… inspira… espira… poi, giusto per sicurezza, un fugace segno della croce (che non guasta mai, anzi, in certi casi diventa parte integrante della terapia).
Click sul tasto verde. Uno, due, tre squilli.

Ed ecco, la voce dall’altra parte:
“Buongiorno Pugliese, dimmi pure.”
😳
Per un attimo ho pensato di aver sbagliato numero e di aver chiamato un amico. Ma no, era lui. Proprio il dottore. Educato, perfino gentile. Oddio, sarà guarito anche lui da qualcosa? O forse sto sviluppando la sindrome di Stoccolma: alla fine il boia diventa quasi simpatico.

“Buongiorno dottore, la chiamo perché ho terminato i cicli di terapia e…”
“Si Pugliese, ci vediamo sabato mattina. Non questo, ma il prossimo.”
“Perfetto dottore, grazie. A presto.”
Click. Fine della comunicazione.

E io resto lì, con il cellulare in mano e un pensiero in testa: ma non è che questa notte ha dormito bene, ha fatto colazione con le fette biscottate integrali e adesso gli gira tutto per il verso giusto? 🤔

Vabbè. Appuntamento preso. Aspettiamo il prossimo episodio della saga “Giovanni vs bisturi – la vendetta”. Nel frattempo, io mi dedico a sistemare le mille carte sparse ovunque: referti, ricette, prescrizioni, cartellini, fotocopie… insomma, la sceneggiatura completa della mia personale telenovela sanitaria. Tutto bello in ordine, pronto per la cartellina ufficiale “da sottoporre agli specialisti”. Altro che archivio storico del Comune: io sì che ho un patrimonio documentale!

Ma mentre metto in ordine penso anche a Statte.
Penso al lavoro dell'associazione Statte Ecoattiva, a quelle persone che – anche col sole a picco, col caldo africano e con gli ostacoli messi lì apposta da qualcuno – non mollano. Uomini e donne che non aspettano promesse politiche ma agiscono, piantano, puliscono, si rimboccano le maniche e portano un beneficio concreto al nostro paese.

Ecco, il vero senso sta qui. In quelle mani che curano, in quei gesti semplici che cambiano davvero le cose.
Perché, che sia una chemio o un’aiuola ripulita, la differenza la fa la caparbietà di chi non si arrende.

Alla fine, la vera medicina è questa: continuare a crederci, insieme. 🌱💪

mercoledì 3 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°37 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°37 – Settembre 2025
“Ultima giostra (per ora) e solidarietà che non conosce confini”

Ed eccoci qua, signore e signori, in diretta dal “parco divertimenti oncologico” più esclusivo della Puglia: il ciclo-giostra della chemio! 🎡
Oggi si chiude – almeno per ora – questa serie di sei puntate da non perdere. La cara infermiera tuttofare Sabrina, con il sorriso professionale di chi ne ha viste più di un generale di frontiera, mi annuncia che questo giro sulla giostra finisce qui. 
Ma non illudetevi: il biglietto è ancora valido. Prossima attrazione? Un’altra simpatica tappa in sala operatoria, con tanto di souvenir istologico in omaggio. Un pezzettino di me stesso, spedito in laboratorio per decidere come continuare il trattamento. Che volete, è la scienza che avanza: pezzo dopo pezzo.

La tempistica? Beh, siamo in Italia: tra un mese o poco più, se tutto fila liscio. Per l'operazione mi toccherà tornare nella clinica dell’ex San Camillo, nel mitico quartiere Tamburi, dove sono nato. La struttura, un tempo regno del dottor Amerigo Senatore (che Dio l’abbia in gloria), oggi è la reggia di quello che definirei il “Chirurgo dei WhatsApp alle sei del mattino”. Sì, proprio lui, che ti invia il referto istologico quando tu ancora stai decidendo se alzarti o girarti dall’altra parte. Efficienza 4.0.

Stamattina, in stanza, durante la terapia, ho fatto la conoscenza di un altro Giovanni – perché a Taranto, a quanto pare, ci chiamano tutti così. Era alla sua ottava chemio, ma in versione “espresso”: un’oretta e via. In quell’ora, però, abbiamo scoperto amici comuni, storie di lavoro incrociate e, soprattutto, la stessa esperienza alla famigerata Commissione Invalidi. Impressione condivisa? Plotone di esecuzione. 
Lui va via, ci salutiamo come vecchi amici, con quella complicità che nasce solo in corsia: misteri della chemio, unisce più di un caffè al bar.

Domani si riparte: clinica, controlli, e nuove indicazioni per il prossimo round di questo percorso che più che una maratona sembra un reality show a eliminazione diretta. Non so se tirare un sospiro di sollievo o prepararmi all’ennesima “sorpresa”. Ma una cosa è chiara: questa è solo una tappa, il viaggio continua.

E mentre io chiudo questo capitolo personale, il pensiero vola lontano, verso Gaza. La Global Sumud Flotilla è in mare con il suo carico di 300 tonnellate di beni di prima necessità, frutto di una solidarietà che attraversa l’Europa. Una missione pacifica, disarmata, che sfida un assedio disumano per restituire dignità, acqua, energia, futuro a chi è stato lasciato senza nulla. Se muore Gaza, muore anche l’umanità. E noi non possiamo girarci dall’altra parte.

Questa non è solo una questione geopolitica: è una questione di civiltà. La solidarietà vera non ha passaporto, non conosce confini. Oggi mi sento vicino a chi combatte con coraggio per la vita, ovunque si trovi. Perché, che sia in una corsia d’ospedale o su una nave diretta verso una terra martoriata, il nemico è sempre lo stesso: l’indifferenza.

@inprimopiano

📝 Diario di bordo n°36 – Agosto 2025

📝 Diario di bordo n°36 – Agosto 2025
“Minchiate a go-go: manuale per politici senza vergogna”.

Quest’oggi, tra un referto medico e una prenotazione per la prossima chemio, scorro le dichiarazioni dei nostri “illuminati” rappresentanti politici sul caso Taranto. 
Eh sì, ci sono proprio tutti: la destra che difende la fabbrica della morte, la sinistra che arranca con le stesse promesse di trent’anni fa e il centro che… vabbè, quello ormai si è estinto. 
Uniti tutti, però, da un’arte che a Taranto conosciamo bene: l’accanimento terapeutico sulla nostra pelle.

Questi signori, che non hanno mai respirato una folata di vento dallo stabilimento né visto un bambino in cura al reparto oncologico, oggi pontificano su salute e tumori come fossero oncologi di fama internazionale o ingegneri super specializzati.
Ma ditemi, cari politicanti: voi sapete cos’è una recidiva? No, non parlo di quella politica – quella ve la portate addosso come una seconda pelle – ma di quella clinica/ospedaliera, quella che fa tremare chi ha creduto di essere guarito e si ritrova invece di nuovo davanti al mostro.

Noi qui lo sappiamo bene cosa significa.
Significa scoprire che il tumore è tornato.
Significa svegliarsi ogni giorno a chiedersi se il proprio corpo reggerà l’ennesima chemio. Significa mettere da parte soldi che non si hanno per fare un viaggio della speranza. Significa scegliere tra una bolletta e una TAC. 
E poi leggere i vostri comunicati pieni di parole vuote, frasi fatte, e da quelle vostre  “minchiate” – sì, esatto, MINCHIATE – così come il termine che Fabio Riva usava descrivere le morti di tumore a Taranto. Complimenti: avete fatto vostro il suo dizionario.

E intanto Statte, come sempre, vive nell’ombra. Ombra di Taranto, ombra dell’ILVA, ombra di chi finge che qui la nube tossica si fermi al confine comunale. Statte è malata tanto quanto il quartiere Tamburi, ma le cronache ci dimenticano. Come se non fossimo parte di questo scempio. Come se il nostro diritto a respirare fosse un optional.

Cari signori in giacca e cravatta, nostri rappresentanti politici, il tempo dei vostri teatrini è scaduto. La pazienza è finita. Abbiamo il diritto e il dovere di difendere la nostra salute, quella dei nostri figli, quella di chi verrà dopo. Lo faremo con la caparbietà che voi non avete mai avuto, troppo occupati a fare campagna elettorale sulla pelle della gente. A breve vi vedrò anche a Statte per le prossime regionali. Vi aspetto.

La verità è che siete inadeguati. Non preparati, non all’altezza, non degni di rappresentare un territorio martoriato da sessant’anni di morte silenziosa. Non servono i vostri slogan, servono fatti. E se non siete in grado di farli, fate un favore a tutti: fatevi da parte. Qui, a Taranto e Statte, non c’è più spazio per le vostre “minchiate”.

@inprimopiano

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