giovedì 6 novembre 2025

📝Diario di bordo n°49 – Novembre 2025

 📝Diario di bordo n°49 – Novembre 2025
“In attesa di una chiamata (che non arriva mai)”.

Sono passati diciotto giorni dal pre-ricovero.
Diciotto.
Che, tradotti in linguaggio umano, equivalgono a una piccola eternità.
La clinica tace.
Io aspetto.
Loro “chiameranno loro”, così mi è stato detto, con quel tono un po’ seccato, come se avessi disturbato l’ora del tè.
E io, da bravo cittadino educato e ancora ingenuamente fiducioso nel sistema sanitario, attendo.
Peccato che l’attesa logori.
Ti lascia sospeso come una marionetta con i fili molli.
Non puoi organizzare nulla, nemmeno una pizza con gli amici (o quasi), perché “non si sa mai, potrei essere chiamato da un momento all’altro”.
È come vivere in modalità “pausa”, ma con il cervello in modalità “ansia”.
E allora provo a distrarmi, ma niente.
Ogni squillo del telefono mi fa sobbalzare come se fosse la NASA che mi chiama per andare su Marte.
E invece niente.
È solo l’ennesima chiamata del call center che mi propone un’offerta “imperdibile” sulla fibra ottica.
Se sapessero dove vorrei mettergliela, la fibra…
Nel frattempo, mi sento un po’ prigioniero del tempo sospeso.
Quel limbo tra il “devi aspettare” e il “non ti preoccupare” che in realtà è la ricetta perfetta per preoccuparti di più.
E allora mi fermo, respiro, e cerco di ricordarmi una cosa: non sempre possiamo controllare i tempi della vita.
A volte dobbiamo solo sopportare la sosta, anche quando il motore interno brucia per ripartire.
Non è una bella sensazione, lo ammetto.
Ma forse anche l’attesa, se impari a guardarla da vicino, ti insegna qualcosa: la pazienza, la misura, e quella forza silenziosa di chi sa che, prima o poi, la chiamata arriverà.
E quando arriverà, io ci sarò.
Magari un po’ stanco, un po’ arrabbiato, ma pronto.
Perché certe battaglie si vincono così: non mollando nemmeno durante l’attesa.

lunedì 3 novembre 2025

🌙 Riflessioni di una notte qualunque.

🌙 Riflessioni di una notte qualunque.

Quanti di noi, come me, si affannano per far sì che tutto vada secondo le proprie aspettative?
Quanti si svegliano nel cuore della notte con i pensieri che corrono veloci, come cavalli impazziti, alla ricerca di una soluzione a tutti i problemi del giorno?
Ecco, questi siamo noi.
Quelli che non si arrendono mai, che vogliono aggiustare ogni cosa, rimettere in ordine il caos, far quadrare i conti anche quando la vita non torna mai del tutto.
Ci affanniamo, ci stanchiamo, ci logoriamo… e intanto dimentichiamo la cosa più semplice di tutte: non tutto può essere controllato.
La vita, spesso, ha un suo ritmo, un suo respiro, una sua logica che non chiede il nostro permesso.
A volte bisogna solo lasciarla andare, fidarsi, lasciarsi portare dalla corrente invece di remare sempre controvento.
Essere più leggeri non vuol dire fregarsene.
Vuol dire avere fiducia, nel tempo, nelle persone giuste, in noi stessi.
Vuol dire concedersi il lusso di non trovare subito la risposta, di dire “oggi non ce la faccio”, di respirare e basta.
Siamo quelli che pensano troppo, che sentono troppo, che amano troppo.
Ma forse, la vera forza sta nel lasciare che qualcosa resti sospeso, che non tutto sia definito, che la vita faccia il suo corso.

E tu? Riesci mai a lasciare andare un pò?

lunedì 27 ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°48 – Ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°48 – Ottobre 2025
“L’ospite non invitato (che però si comporta da padrone)”

Mi chiedono spesso:
«Giovanni, ma come stai? Come ti senti? Come va con… lui?»
E io, puntuale come le tasse (di chi le paga), rispondo:
«Sto bene, sto bene.»
Quasi per riflesso, come si dice "ciao" entrando in un bar.

Poi però, se mi fermo due secondi — proprio due, non di più — devo ammettere che “bene bene” non è proprio la frase più esatta del dizionario.
Mi stanco facilmente. Il fiato si accorcia come se qualcuno l’avesse tagliato con le forbici della sarta.
Le gambe ogni tanto sembrano dire: “Ehi, amico, ci fai andare piano?”
La schiena protesta.
La mente corre e si affatica anche lei.

E poi c'è il carattere.
Ecco, quello ha subito un restyling notevole.
Sono più irascibile, più nervoso, più fragile.
La serenità che avevo prima, quella calma che mi faceva respirare le giornate a pieni polmoni, adesso bisogna andarla a cercare con la torcia, come quando cade un bottone sotto il letto.

L’ospite, quello lì, non ha solo preso una stanza.
Ha cambiato i mobili, ha spostato le sedie, ha messo la sua musica, e nemmeno mi piace.
E soprattutto, mi ha tolto la voglia di fare progetti a lungo termine.
E questa… fa male.

E lo so cosa state pensando:
«Giovanni, ma a lungo termine… non sei più un ragazzino…»
E avete pure ragione, vivaddio.
Però lasciatemela, questa cosa.
Perché il progetto non è un calendario.
Non è l’età.
Il progetto è speranza.
È dire: “Domani ci sarò, e avrò ancora voglia di fare.”

Ecco.
È questo che a volte mi manca.
Non il domani, che arriva lo stesso, ma l’entusiasmo con cui lo stavo aspettando.

Però, e lasciatemi chiudere così, come voglio io, io ci sto lavorando.
A piccoli passi.
A piccole riparazioni interne.
A piccoli ritorni alla vita, uno alla volta.

E ogni giorno che riesco anche solo a dire:
“Ok, oggi sono qui, presente.”
È un giorno buono.
È un giorno vinto.
È un giorno mio.

Il progetto, allora, lo faccio lo stesso:
domani ci sono. E domani ci provo ancora.

domenica 26 ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°47 – Ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°47 – Ottobre 2025📝 Diario di bordo n°47 – Ottobre 2025
“L’attesa non è mai neutra”.

Pensavo, ingenuamente, che questa settimana sarebbe stata quella buona.
Che il telefono avrebbe squillato, che mi avrebbero finalmente comunicato giorno e ora per tornare in sala operatoria.
E invece niente.
Silenzio.
Una settimana appeso come un salame, legato per i piedi e lasciato oscillare nel vento dell’incertezza.

Hanno deciso di tenermi sulla corda, così.
Senza cattiveria, sia chiaro: è la prassi, mica la colpa di qualcuno.
È sempre la prassi.
È sempre il sistema.
È sempre “come funziona”.

E sì, lo ammetto: oggi sono incazzato.
Non per l’attesa in sé, quella la conosciamo e la sopportiamo, perché quando serve si sopporta tutto.
Ma per altro, per qualcosa che mi è capitato e che stavolta mi ha fatto male davvero.
No, non lo racconto.
Non perché non potrei, ma perché non ne ho più voglia.
Perché certe umiliazioni, quando le dici, sembrano piccole.
Ma dentro bruciano.
E fanno rumore.
Un rumore che non si spegne.

Nel frattempo, però, si continua a pagare.
Si paga per una visita.
Si paga per accorciare l’attesa.
Si paga per una terapia.
Si paga per non aspettare mesi.
Si paga per non rischiare troppo.
Si paga per sperare.

E io penso, e giuro che mi si stringe la gola mentre lo scrivo, a chi non ha niente.
A chi non ha una pensione, uno stipendio, un aiuto, un appoggio.
A chi non ha un euro da mettere da parte.
A chi, nel 2025, deve scegliere se curarsi o mangiare.
A chi deve chiedere un prestito per salvarsi la vita.

Noi viviamo in un Paese dove la salute è “un diritto garantito dalla Costituzione”.
Sì, sulla carta.
Ma la carta, lo sappiamo, sopporta tutto.
La carne molto meno.

E mentre qualcuno fa campagna elettorale promettendo miracoli,
nelle corsie degli ospedali ci sono persone vere che lottano davvero, e quasi sempre da sole.

Io continuo ad aspettare quella telefonata.
Arriverà.
Arriva sempre, prima o poi.

Nel frattempo respiro.
Mi aggrappo alla lucidità.
Mi tengo stretto ciò che resta della mia pazienza.
E continuo a credere, anche oggi, anche così,
che nonostante tutto siamo più forti di quanto ci fanno credere.

Fine del messaggio.
Domani sarà un giorno nuovo.
Magari migliore.

lunedì 20 ottobre 2025

🖋 “Dall’Italia del Nord e Sud a quella del Noi e Voi: il Paese che litiga mentre la politica incassa”.

🖋 “Dall’Italia del Nord e Sud a quella del Noi e Voi: il Paese che litiga mentre la politica incassa”.

Una volta l’Italia era spaccata tra Nord e Sud.
Due mondi diversi, sì, ma con un certo equilibrio: da una parte l’efficienza e la diffidenza del settentrione, dall’altra la fierezza e l’umanità del meridione.
Oggi invece la frattura è più sottile e più tossica: non è più geografica, ma mentale. Non c’è più Milano contro Napoli, ma noi contro voi.
Il guaio è che nessuno sa più bene chi siano questi noi e voi. 
Si cambia bandiera come si cambia canale TV. Ognuno cerca la propria tribù, il proprio recinto dove sentirsi nel giusto, mentre la politica se la ride. Perché più ci dividiamo, più chi governa si rafforza.
Il popolo, da “sovrano”, è diventato “succube”: vota, commenta, s’indigna, ma alla fine resta spettatore. 
La partecipazione si è trasformata in tifo. E come ogni brava comparsa, il cittadino deve pure portarsi il copione da casa.
E non pensiamo che questa spaccatura riguardi solo “gli altri”: nemmeno il nostro paese, Statte, ne è immune.
Anche qui si respira quell’aria di diffidenza reciproca, di schieramenti rigidi e parole urlate. Si discute più per appartenenza che per ragione. 
Si è perso l’ascolto, il confronto, il “noi” vero, quello comunitario, non quello ideologico.
Le cause sono tante: una politica che vive di contrapposizioni, un’informazione che alimenta il rancore, una società stanca e disillusa che cerca nemici per sentirsi viva.
E forse la ragione più profonda è che dire noi tutti insieme richiede responsabilità, mentre dire voi è molto più comodo.
Così restiamo come un grande condominio litigioso: ognuno chiuso nella propria porta blindata, ma tutti con lo stesso amministratore.
E quello, inutile dirlo, continua a incassare sorridendo.

sabato 18 ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°46 – Ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°46 – Ottobre 2025
“Sala operatoria e sala dei bottoni”

Manca poco, dicono.
Manca poco e dovrò tornare in sala operatoria.
Solo a scriverlo mi si alza il battito, come se il cuore avesse deciso di fare un po’ di corsa al posto mio.
Non vi nascondo di essere infastidito, anzi, nervoso come un gatto chiuso in macchina d’estate.
Rientrare in quella stanza bianca, fredda e perfettamente illuminata, dove il tempo sembra sospeso, mi mette addosso una tensione che non riesco a mascherare. E la cosa peggiore, lo ammetto, è l’attesa.

Non so ancora il giorno preciso, mi hanno detto che “mi chiameranno loro”.
Sì, certo. Come se avessi il tempo e la serenità per vivere in sospeso, aspettando una telefonata che deciderà quando potranno di nuovo violare il mio corpo.
Ieri, durante il day hospital, ho insistito, chiesto, quasi implorato di sapere quando.
Niente. Silenzio. Occhiate vaghe. “Sarà a breve, signor Pugliese.”
Che poi, a breve quanto? Un giorno? Una settimana?
Ormai, con l’esperienza accumulata, credo di aver capito i tempi: la prossima settimana sarà quella decisiva.
E intanto, ogni notte è una piccola veglia d’armi, fatta di pensieri, incubi e ansie che ballano nella testa.

Ma mentre attendo la mia chiamata in clinica, il Paese attende la sua chiamata alle urne.
Già, perché il clima politico, se mai fosse stato sereno, si è di nuovo infiammato.
Campagna elettorale per le regionali.
Un’altra abbuffata di promesse, slogan, comizi e facce sorridenti che garantiscono mari e monti, come se gli italiani non avessero più memoria.
La solita rissa da talk show, la solita propaganda da fiera di paese.

E intanto, tra una dichiarazione roboante e un selfie elettorale, la realtà rimane lì, nuda e cruda: il ceto medio si è quasi estinto, quello povero non arriva più nemmeno a metà mese e chi si ammala deve scegliere se curarsi o mangiare.
Lo chiamano “Stato sociale”, ma ormai sembra più un gioco di parole: lo Stato non c’è e la società si arrangia.

Io, nel mio piccolo, lo vedo negli sguardi di chi incontro in ospedale.
Persone stanche, spaventate, con la dignità piegata ma non spezzata.
Gente che non chiede miracoli, ma solo giustizia.
Non la giustizia dei tribunali, ma quella umana, sociale, concreta.
Quella che passa per un ticket sanitario accessibile, una lista d’attesa più breve, una politica che invece di fare campagna elettorale in TV, faccia qualcosa per chi, come me e tanti altri, combattono ogni giorno la propria battaglia dentro e fuori un luogo di cura.

Forse, in fondo, l’Italia ha bisogno di meno propaganda e più empatia.
Di meno talk show e più ascolto.
Di meno passerelle e più umanità.
Perché la vera malattia del nostro tempo non è solo quella che si cura con la chemio, ma quella che si diffonde con l’indifferenza.

Ecco perché, mentre aspetto quella telefonata che mi rimetterà in sala operatoria, continuo a sperare che, prima o poi, arrivi anche quella che ci rimetta tutti in sala dei bottoni, ma con mani pulite, coscienza viva e cuore umano.

venerdì 17 ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°45 – Ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°45 – Ottobre 2025
“Analisi del sangue e della democrazia”

Sveglia alle sei, dopo i bagordi della sera precedente per il compleanno di mio figlio. Un eroe, io, che dopo una nottata tra risate, candeline e dolciumi, riesce persino ad alzarsi per andare in clinica. Barcollo, ma non mollo. La giornata è uggiosa e il cielo sembra in perfetta sintonia con il mio umore.

Arrivo in clinica per i controlli in day hospital e, come la volta scorsa, la scena è sempre la stessa: corridoi affollati, pazienti in modalità “lotteria umana”, tutti con in mano il loro numeretto assegnato dal burbero usciere di turno — quello che, ne sono convinto, nella vita precedente deve aver fatto il sergente maggiore in qualche caserma svizzera.

Ci guardiamo di traverso, noi pazienti, come gladiatori in attesa del nostro turno nell’arena. Chi tossisce, chi si lamenta, chi sospira sperando di essere chiamato per primo. La prima tappa, manco a dirlo, è quella del prelievo del sangue. E lì, come sempre, trovo lei: l’infermiera vampira.
Sorride (un po’), sistema le provette e intanto affila l’ago con la stessa cura con cui un samurai lucida la sua katana. Io, intanto, cerco di pensare ad altro per non farmi suggestionare… ma il destino, si sa, ha un gran senso dell’ironia.

Scorro le notizie sul telefono e leggo dell’attentato a Sigfrido Ranucci. Tritolo, paura, un messaggio chiaro e inquietante: “Stai attento.”
E allora mi passa anche il fastidio del prelievo. Mi sale invece quella rabbia che conosco bene, quella che ti prende quando capisci che in questo Paese, chi racconta la verità deve ancora guardarsi le spalle.

I tempi sono bui, e la democrazia sembra camminare sulle uova. Gli attacchi si moltiplicano, e intanto la propaganda governativa — quella sì che gode di ottima salute — riempie l’aria come una nebbia tossica, confondendo le menti e intorpidendo le coscienze.

Respiro, e sento che l’aria che ci circonda è poco salubre, non solo per i polmoni ma per la mente. C’è un inquinamento morale che si diffonde, silenzioso, come quello industriale che da decenni avvelena Taranto e Statte.
E mi viene da pensare che, forse, servono più anticorpi democratici che globuli bianchi.

Bisogna reagire. Con dignità, con coraggio, con la stessa tenacia con cui affrontiamo le nostre battaglie personali. Perché la salute non è solo quella del corpo: è anche quella della libertà, della giustizia, del diritto a dire la verità senza paura.
E allora sì, anche oggi, tra provette, aghi e pensieri, scelgo di non arrendermi.
Alla malattia, ma soprattutto all’indifferenza.

giovedì 2 ottobre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato – N°8, Ottobre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato – N°8, Ottobre 2025

"Il gelo delle parole e il fuoco della coscienza."

Resterà impressa la voce della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, quando con poche frasi di ghiaccio ha liquidato le sofferenze del popolo palestinese. Parole che hanno avuto il peso di una sentenza: “Non sono la priorità della Flotilla”. In quell’istante, la missione stessa è stata svuotata del suo significato: aiutare chi vive sotto assedio e ricordare al mondo che la dignità non ha confini.

C’è chi ha rabbrividito pensando a cosa avrebbe potuto dire, con toni ancora più corrosivi, il Presidente del Senato La Russa. Forse parole più ruvide, più sprezzanti, più lontane dall’umanità. Ma la sostanza non cambia: lo Stato, nelle sue voci più alte, ha scelto di parlare come se rappresentasse solo una minoranza, e non l’intero popolo italiano.

È questo il punto che scava più a fondo: le istituzioni non sono un palco di partito. Quando riduci la sofferenza di un popolo a un dettaglio secondario, stai tradendo il compito più sacro: rappresentare tutti, dare voce a chi non ne ha, incarnare la coscienza collettiva.

Il disgusto nasce qui: dall’arroganza di chi parla come se ci fossero solo “i suoi”, dimenticando milioni di cittadini che ancora credono nella solidarietà, nella dignità, nella pace. È la frattura tra il linguaggio del potere e il respiro di un popolo che non vuole smettere di guardare oltre.

Ma in queste cronache di un futuro che sembra già scritto, resta uno spiraglio: non tutto è perduto se impariamo a pretendere istituzioni che tornino ad essere la casa di tutti. Non un megafono dell’indifferenza, ma una bussola che indichi un’altra rotta: quella della pace, della responsabilità, della giustizia.

Il futuro non si scrive con parole di gelo. Si costruisce con scelte che scaldano la coscienza.

martedì 30 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°44 – Settembre 2025.

📝 Diario di bordo n°44 – Settembre 2025.

"La mia Coppa Cobram (tra sudate e tasse)."

Ho deciso di rimettermi in forma. Ce la farò?
Non parlo di forma atletica, eh, quella ormai è una roba che neanche nei film di fantascienza. Ma almeno rimettermi in modalità “essere umano”, quello sì, quello è ancora alla mia portata.

E oggi, udite udite, ho fatto quello che avevo promesso l’altro ieri: sono tornato alle mie camminate salutari. Quelle che facevo quando il mio corpo ancora non ospitava l’inquilino abusivo che mi porto dietro.
La giornata era perfetta, niente sole che ti scioglie come un ghiacciolo, giusto un’aria di settembre che ti invita ad allacciare le scarpe e uscire.

Così, con lo spirito di Fantozzi alla “Coppa Cobram”, ho indossato i pantaloni della tuta (che sembravano usciti direttamente da un mercatino sovietico anni ’80) e sono uscito di casa. Giuro, mancava solo il megafono di Villaggio che urlava: “Tutti pronti alla partenzaaaa!”.

Due giri di isolato. Due, non venti. Ma che soddisfazione, ragazzi. Mi sentivo un maratoneta, un novello Abebe Bikila in versione casalinga, senza Olimpiadi ma con lo sguardo dei vicini che già si chiedevano: “Ma questo dove va così conciato?”.

Durante il percorso, mi sono imbattuto in una non-notizia sparata dal Corriere della Sera. In pratica, ci hanno ricordato che il 57% degli italiani paga l’Irpef, e il resto no. Che l’11,6 milioni di contribuenti mantengono il 76,87% dell’intera baracca, mentre gli altri 31 milioni partecipano con le briciole.
Tradotto: pochi fessi tengono in piedi la baracca, e i tanti furbi si fanno gli gnorri.

E lì mi è venuto spontaneo pensare: ma allora siamo proprio dei poveri cristi con la scritta “FESSI” tatuata in fronte. Perché mentre noi paghiamo fino all’ultimo centesimo, arriva il solito Salvini di turno, quello che un giorno sì e l’altro pure promette condoni, e noi che paghiamo regolarmente… indovinate un po’? Ce lo prendiamo sempre nello stesso posto.

E allora la mia riflessione finale è questa: forse in Italia abbiamo accettato con troppa rassegnazione che esista un’Italia dei furbi e un’Italia dei fessi. I primi vincono sempre, i secondi pagano sempre. Ma non è una legge divina, non è scritto da nessuna parte. È solo la conseguenza di una politica che ha smesso di premiare l’onestà e che invece coccola chi evade, chi trucca le carte, chi campa di slogan.

Ecco perché, alla fine, il mio piccolo giro dell’isolato non è stato solo ginnastica. È stata anche una presa di coscienza: se vogliamo un Paese che cammini, dobbiamo smettere di correre solo noi, i soliti fessi. Devono cominciare a camminare anche i furbi. E devono farlo pagando quello che devono.

Perché alla fine, la vera Coppa Cobram non è quella dei muscoli… è quella della giustizia sociale.

Cronache da un futuro passato. N° 7 – settembre 2025.

Cronache da un futuro passato. N° 7 – settembre 2025.

"La Flotilla e il silenzio della coscienza."

Il giorno dopo le elezioni regionali, titoli e commenti hanno accostato l’esito delle urne alla missione della Flotilla. Un gioco politico stanco e offensivo: la sinistra a rivendicare, la destra a sminuire. Ma la verità è semplice e dura: la Flotilla, con le sue donne e i suoi uomini venuti da ogni parte del mondo, non ha nulla a che vedere con le nostre beghe di palazzo.
Lì non c’è spazio per strategie di partito o per calcoli elettorali. Lì c’è solo la voce di un popolo martoriato, quello palestinese, schiacciato da un genocidio che si consuma nell’indifferenza di molti. 
Accostare quella missione di pace e solidarietà alle percentuali di voto nelle Marche è non solo fuorviante, ma soprattutto offensivo per chi rischia la vita in nome della giustizia.
Intanto, metà degli elettori italiani ha scelto di restare a casa, segno di una democrazia che perde credibilità e di una politica che parla sempre più a se stessa e sempre meno alle persone reali. 
Ma c’è un’altra metà del mondo che, invece, non smette di lottare: quella che sale a bordo delle navi della Flotilla, che non si arrende all’idea che la solidarietà sia diventata merce rara.
Il valore di quella missione va oltre ogni urna elettorale. È un richiamo universale: o recuperiamo il senso di umanità, o saremo tutti più poveri, non solo nei diritti ma nello spirito. La proposta è davanti agli occhi: smettiamo di trasformare il dolore altrui in strumento di consenso. Torniamo a guardare la politica come un atto di servizio e la solidarietà come fondamento di civiltà.
Perché la vera vittoria non è mai dentro un seggio elettorale: è nel cuore di chi sceglie di non restare indifferente.

🖋 Giovanni Pugliese

lunedì 29 settembre 2025

Cronache da un futuro passato. N° 6 – settembre 2025.

Cronache da un futuro passato. N° 6 – settembre 2025.
"L’autunno dell’umanità."

Viviamo in un tempo dove la guerra è diventata routine, una colonna sonora che non scuote più le coscienze. Le notizie scorrono come acqua sporca tra i titoli di un telegiornale distratto: bombardamenti, stragi, massacri. Eppure, ciò che dovrebbe indignare diventa presto un rumore di fondo, coperto dal frastuono dei teatrini politici e dalla corsa frenetica al profitto.
Il capitale globale non conosce limiti: multinazionali e finanza speculativa scrivono le leggi, mentre milioni di esseri umani vivono schiacciati tra precarietà e fame. Non è solo ingiustizia sociale: è il sintomo di una civiltà che ha invertito i valori, trasformando il denaro in divinità e la vita in merce sacrificabile.
Intanto la Terra geme. Incendi, alluvioni, siccità, catastrofi che un tempo definivamo “eccezioni” sono diventate il calendario ordinario dell’Apocalisse climatica. L’autunno del pianeta non è più un’immagine poetica: è la sua pelle che brucia, è il suo respiro che si spezza.
E davanti a questo scenario? Un silenzio complice, un’apatia diffusa. Le persone si guardano in cagnesco sui social, divise da fake news e paure alimentate ad arte, mentre chi davvero tiene le redini resta invisibile e intoccabile. La tecnologia, che potrebbe liberarci, viene piegata al controllo e alla manipolazione. Così l’individuo, anziché emanciparsi, si ritrova imprigionato in una solitudine di massa.
Quello che viviamo non è solo un autunno climatico, è un autunno morale. La compassione derisa come ingenuità, la solidarietà ridotta a folklore, la ricerca del bene comune bollata come utopia. È il trionfo del cinismo e del sospetto, mentre la ricchezza si concentra nelle mani di pochi, sempre più lontani e inaccessibili.
Eppure, nel riconoscere questo inverno in arrivo, forse si nasconde la nostra ultima possibilità di svegliare coscienze. Perché l’autunno dell’umanità non deve per forza preludere al gelo: potrebbe ancora trasformarsi in una nuova primavera, se solo tornassimo a mettere al centro ciò che davvero conta — la vita, la dignità, la giustizia.

🖋Giovanni Pugliese

domenica 28 settembre 2025

Diario di bordo n°43 – Settembre 2025

Diario di bordo n°43 – Settembre 2025
"In attesa di uno squillo (no, non quello amoroso)"

Sono sempre in attesa. Non dell’amore, non di un colpo di fortuna, ma della famigerata chiamata in clinica. 
Quel trillo che ormai ha preso il posto del suono dell’ambulanza nei miei incubi. 
Una voce dall’altro capo mi dirà la data del pre-ricovero, un giro di giostra fatto di accertamenti clinici prima del grande bis: tornare in sala operatoria.

Nel frattempo, le giornate scorrono lente, tra attese e sospiri. Alcuni giorni, come quello di oggi, il nulla cosmico prende possesso di me. Non faccio niente. Zero. Nada. E questa cosa comincia a preoccuparmi. 
Preoccupa non solo me, a quanto pare. Pensate che oggi pomeriggio il mio contapassi sul cellulare mi ha inviato una notifica, quasi allarmata, chiedendomi: “Ehi, sei ancora vivo?”. Ormai siamo a questo: pure un algoritmo si preoccupa per la mia vitalità, e inizia a farmi da badante digitale.

Comunque, bando alle chiacchiere: da domani ho deciso di muovermi di più. Il fisico reclama un po’ di movimento, e non posso permettermi di arrugginire come una bici lasciata al vento in riva al mare. Il corpo, si sa, è una macchina strana: appena lo lasci in stand-by, protesta.

Intanto qui a Taranto l’estate ha salutato tutti e se n’è andata. Ha chiuso la porta piano piano e ci ha lasciato con la solita malinconia di settembre. Si riaprono gli armadi, tornano i vestiti meno estivi, e l’aria porta con sé quell’odore di cambiamento che è sempre un po’ dolce e un po’ amaro.

Dal mondo invece arrivano notizie che hanno ben poco di poetico. L’escalation di violenza non accenna a fermarsi. Sembra che i grandi leader mondiali si siano ubriacati di potere e violenza, e adesso ballano questa danza macabra che rischia di trascinare tutti con sé. Non parlano più di pace, non sanno più cosa significhi costruire. E l’umanità, già stanca e ferita, continua a subire.

E allora sì, mi sento preoccupato. Ma non voglio fermarmi a questo. Perché la verità, nuda e cruda, è che la storia la scriviamo anche noi, con la nostra determinazione, con la nostra volontà di dire “basta” a chi vive di conflitti e di odio. Non possiamo lasciare il mondo in mano ai bulli globali.

E così, mentre attendo quel benedetto squillo dal telefono, mi ripeto una cosa semplice: la vita, anche quando sembra sospesa, pretende di essere vissuta. E noi, nel nostro piccolo, abbiamo il dovere di difenderla.

giovedì 25 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°42 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°42 – Settembre 2025
"L’estate che non è mai arrivata."

Sono passati circa cinque mesi da quando il mio corpo ha deciso di farmi un bello scherzetto. Un piccolo difetto di fabbrica, chiamiamolo così, che ha preteso attenzioni speciali: un’operazione, sei cicli di chemio, un giro turistico tra cliniche e ospedali che manco le agenzie di viaggi low cost sanno organizzare così bene.

E così mi sono ritrovato a vivere la mia estate del 2025 non tra mare e granite, ma tra flebo e referti. Altro che “estate italiana”: la mia colonna sonora è stata il bip dei macchinari e il fruscio dei camici bianchi.

La verità è che vivere tutto questo sulla propria pelle ti ribalta il mondo. Perché sì, a Taranto lo sappiamo tutti che la salute è un campo minato, ma quando la mina la pestiamo noi, cambia tutto. All’improvviso la percezione diventa reale, concreta, e ti accorgi che non è un racconto da giornale: è la tua carne, il tuo sangue, la tua vita.

Ora che l’estate se n’è andata, mi sento come quei lidi balneari che smontano ombrelloni e sedie sdraio per non farsi travolgere dalle mareggiate invernali. E dentro di me resta una certezza: l’estate del 2025, per me, non è mai cominciata. Un miraggio, evaporato prima ancora di materializzarsi.

Ma io ci metto la firma per rifarmi la prossima. Già immagino il sole che torna a pizzicare la pelle, la risata liberata dal vento, e la vita che, nonostante tutto, trova sempre un modo per reinventarsi.

Intanto mi preparo ad affrontare l’inverno. Non solo il mio, fatto di terapie e attese, ma quello collettivo che stiamo vivendo come umanità. Perché non so se te ne sei accorto, ma il mondo è guidato sempre più da piccoli Cesari in doppiopetto, leader senza bussola morale, campioni di arroganza e collezionisti di conflitti. Gente che se potesse, metterebbe il proprio ego sul calendario al posto delle festività.

E allora penso che sì, stiamo navigando tempi tempestosi, ma le tempeste hanno un pregio: spazzano via tutto ciò che non ha radici. E io voglio credere che l’umanità, prima o poi, tirerà fuori il suo cuore migliore, riattivando quel muscolo un po’ arrugginito che si chiama coscienza democratica.

E alla fine, lo dico con ironia ma anche con la serietà di chi ha imparato che non c’è tempo da sprecare: se c’è una lezione che questa mia “non-estate” mi ha lasciato, è che bisogna tenersi stretti alla vita. Perché lei, la vita, anche quando sembra remarti contro, resta sempre la compagna più testarda e affascinante che abbiamo.

E io, modestamente, ho deciso di non mollarla.

sabato 20 settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 5 – settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 5 – settembre 2025
"La diossina, le pecore e le “favole” di Taranto."

Certe volte, nei tribunali italiani, sembra di assistere più a un’opera buffa che a un processo. Succede così anche a Potenza, dove si discute il destino giudiziario di 22 imputati per il disastro ambientale targato ex Ilva. L’avvocato difensore di uno dei fiduciari dei Riva, ha sostenuto con piglio sicuro che la diossina e i PCB trovati nelle pecore di Fornaro non hanno nulla a che fare con le emissioni dello stabilimento siderurgico tarantino.
Una tesi ardita, quasi poetica: gli inquinanti, secondo questa narrazione, arriverebbero da chissà dove, forse dalle stelle cadenti o – perché no – dalle “puzzette” delle stesse pecore abbattute. Perché se si segue questo ragionamento, il vero pericolo per Taranto non sarebbero i camini dell’acciaieria, ma il ruminare sospetto degli ovini.
L’arringa, durata quattro ore, ha cercato di smontare il lavoro dei periti della magistratura, accusati di errori metodologici e conclusioni affrettate. Eppure, a guardare la storia di Taranto e delle sue cicatrici, quelle affermazioni suonano come un insulto alla memoria di chi ha pagato con la vita l’aria avvelenata e il suolo contaminato.
Perché la realtà, per quanto si tenti di mascherarla, resta sotto gli occhi di tutti: quartieri devastati da malattie, un ecosistema compromesso, famiglie intere travolte da lutti che hanno sempre e solo un denominatore comune. Non si tratta di suggestioni, ma di dati, rapporti sanitari, mappe epidemiologiche.
Che poi il procedimento sia stato spostato da Taranto a Potenza poco importa: il vento che spinge le nuvole di fumo nero resta lo stesso, e la storia non si riscrive con un’arringa.
Alla fine, resta una domanda amara: fino a che punto siamo disposti a credere a certe favole da aula di tribunale? E soprattutto: chi ci guadagna a trasformare le vittime in colpevoli e gli inquinatori in agnelli sacrificali?
Perché una cosa è certa: le pecore di Fornaro non avevano ciminiere.

🖋GP

venerdì 19 settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 4 – settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 4 – settembre 2025
"La politica del lamento e le urgenze dimenticate."

Ormai lo scontro politico in Italia si è ridotto a una fiera del vittimismo, dove le accuse reciproche e gli scenari da teatrino prevalgono sulla sostanza. C’è chi si lamenta di complotti inesistenti, chi accusa l’opposizione di odio preconfezionato, e chi si erge a martire di un sistema che, paradossalmente, governa. È il ribaltamento perfetto: prima si governa, poi ci si traveste da opposizione.

Un po’ come in quell’aneddoto popolare dell’ascensore: qualcuno lascia la propria “puzzetta” e subito incolpa gli altri passeggeri. Un gioco vecchio quanto il mondo, ma che oggi diventa la cifra stessa della comunicazione politica.

Eppure il Paese non ha bisogno di questo. L’Italia chiede altro, e lo chiede con urgenza: una sanità pubblica efficiente, che non costringa i cittadini a interminabili liste d’attesa o a indebitarsi per una visita. 
Stipendi che non siano più il fanalino di coda d’Europa, pensioni che restituiscano dignità a chi ha lavorato una vita.

Il rumore del chiacchiericcio politico copre il silenzio assordante delle questioni reali. 
Ed è in questo scarto tra ciò che viene detto e ciò che viene fatto che si misura la distanza tra palazzo e società.

Serve un cambio di passo: meno slogan, meno teatrini, meno vittimismo. Più responsabilità, più coraggio, più concretezza. Perché la politica non è il luogo dove lamentarsi: è il luogo dove si costruiscono soluzioni.

🖋 GP

📝 Diario di bordo n°41 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°41 – Settembre 2025
"L’uomo di mare ritorna a casa".

Oggi va alla grande, oggi mi sento benissimo.
E no, non è un miracolo della scienza né un’improvvisa illuminazione zen. È che finalmente sono tornato al mare. Per chi, come me, è nato con la salsedine nelle vene e il rumore delle onde nelle orecchie, stare lontano dal mare è come togliere a un pugliese la focaccia calda: una crudeltà insopportabile.

Quest’estate, per le note vicissitudini cliniche e per le mie battaglie parallele tra chemio, referti e ospedali, non ero ancora riuscito a mettere piede sulla sabbia. E vi assicuro, non è stato facile. È come se a un pesce gli togli l’acqua e poi gli chiedi di sorridere: prova tu!

Ma stamattina l’impresa è riuscita. Eccomi lì, come un naufrago che finalmente tocca terra: i piedi affondati nella sabbia dorata, la pelle che riscopre l’abbraccio del sole, e soprattutto quell’acqua cristallina del nostro amato Ionio che ti avvolge e ti dice: “Bentornato, sei di nuovo a casa”.

Le ferite sul mio corpo? Non potevano chiedere di meglio: il sale che brucia ma cura, la temperatura perfetta che ti culla, il sole che ti scalda come una carezza di madre. Tutto torna al suo posto, e per un attimo anche i pensieri si lasciano andare, come barche al largo.

E allora mi chiedo: ma se basta il mare per rimettere in moto la vita, perché abbiamo lasciato che questo mare, che questa terra, venissero avvelenati da decenni di fumi e promesse mancate? Perché la politica continua a litigare come due bambini sull’altalena, mentre intorno le persone si ammalano, soffrono e cercano solo un po’ di normalità?

La verità è che non possiamo più permetterci di restare spettatori. Abbiamo il diritto – e il dovere – di difendere con la nostra determinazione la salute di ognuno di noi, di Taranto come di Statte, troppo spesso dimenticata ma colpita quanto il quartiere Tamburi.

Oggi il mare mi ha insegnato di nuovo una cosa semplice ma potente: la vita va difesa, curata e amata. Proprio come questo Ionio che ci regala bellezza ogni giorno, anche quando lo dimentichiamo.
E allora, amici, rivendichiamo la nostra umanità, pretendiamo meno chiacchiere e più fatti, meno conflitti e più soluzioni. Perché se il mare sa guarire, noi cittadini possiamo salvare questa terra. Basta volerlo davvero.

giovedì 18 settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 2 – settembre 2025.

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 2 – settembre 2025.

"La fabbrica della paura."

C’è un coro che si leva dalle destre di mezzo mondo, con Trump come capofila: “la sinistra semina odio”. È diventato un mantra, ripetuto ossessivamente fino a sembrare una verità. Ma, come spesso accade, chi accusa cerca in realtà di coprire le proprie responsabilità. La paura, agitata ad arte, è un’arma politica potente: distrae, divide, indebolisce il pensiero critico.

Mentre queste narrazioni si diffondono, il pianeta conosce un crescendo di conflitti. Guerre che scoppiano, territori devastati, popolazioni intere sacrificate. Eppure, dietro ogni guerra, dietro ogni decisione di armarsi fino ai denti, ci sono sempre nomi e cognomi, scelte precise, appartenenze politiche mai casuali. Non è il destino che ci spinge verso l’abisso: sono interessi.

Oggi il mondo corre in una sola direzione: aumentare la spesa militare, investire nella produzione di armi, alimentare una spirale di tensioni senza fine. Si costruisce la percezione di una minaccia costante per giustificare ciò che dovrebbe apparire inevitabile: più armi, più eserciti, più conflitti. Ma a chi serve tutto questo?

La risposta è scomoda ma necessaria: c’è chi ci guadagna. C’è chi trasforma la paura in potere, la guerra in affari, l’insicurezza in consenso politico. E mentre i popoli si impoveriscono e i diritti arretrano, i signori delle armi e i registi dell’odio rafforzano il loro dominio.

Il compito di chi ancora crede nella democrazia e nella libertà non è lasciarsi travolgere dal rumore della propaganda, ma smascherare questa fabbrica della paura. Perché il vero odio non nasce dalle denunce della sinistra, ma dalla violenza culturale e politica che vuole normalizzare la guerra, ridurre l’essere umano a soldato o consumatore di armi.

Il futuro che ci aspetta dipende dalla nostra capacità di riconoscere questa trappola. Se resteremo spettatori, l’odio diventerà davvero il linguaggio universale. Se avremo il coraggio di opporci, potremo ancora scrivere un domani in cui la parola “pace” non sia relegata a un’utopia.

🖋GP

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 1 – settembre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato. N° 1 – settembre 2025

"Il futuro ipotecato."

L’idea di usare il Tfr per anticipare l’uscita dal lavoro non è una soluzione, ma un espediente: una mossa studiata per guadagnare tempo e consensi, senza toccare la radice del problema.

La realtà, nuda e cruda, è che il nostro sistema pensionistico si avvia verso un equilibrio fragile: entro il 2050 ci sarà un lavoratore per ogni pensionato. Un rapporto che rende insostenibile ciò che oggi, già a fatica, regge su 1,4 occupati per pensionato.

Si sbandiera l’aumento degli occupati: un milione in più rispetto a tre anni fa. Ma il dato, se guardato da vicino, mostra un volto ben diverso: sono quasi tutti over 50, mentre giovani e donne restano esclusi. Non è crescita, è solo invecchiamento del lavoro. E senza nuove generazioni attive, senza stipendi dignitosi e contributi solidi, i numeri sono poco più che fumo negli occhi.

La Lega aveva costruito la sua fortuna promettendo di cancellare la Fornero e garantire la pensione dopo 41 anni di lavoro. Ha dovuto abbandonare lo slogan appena ha incrociato i conti pubblici. Oggi rilancia col Tfr in rendita, come fosse la panacea di tutti i mali. Ma è un trucco: significa consumare oggi ciò che dovrebbe servire domani, lasciando i futuri pensionati più poveri e più vulnerabili.

Il vero dramma è che continuiamo a barattare il domani con l’illusione di un presente accomodante. Così ipotechiamo il futuro dei nostri figli, sottraendo loro non solo una pensione, ma l’idea stessa di un patto sociale tra generazioni.

Se non avremo il coraggio di guardare oltre le scorciatoie, di investire in lavoro stabile, salari giusti, pari opportunità, ci ritroveremo davanti a un bivio: un sistema al collasso o una società costretta ad accettare nuove forme di ingiustizia come se fossero inevitabili.

Il futuro ipotecato non è frutto del destino, ma delle scelte di oggi. Sta a noi decidere se continuare a svenderlo o restituirgli valore.

🖋GP

Cronache da un futuro passato.

📰 "Cronache da un futuro passato" nasce dall’idea che tutto ciò che siamo e che pensiamo – i ricordi del nostro passato, le attese e le paure per il futuro – esiste soltanto nel presente. È qui, adesso, che si intrecciano le nostre esperienze, le ingiustizie che osserviamo, le speranze che coltiviamo.

Questa rubrica vuole essere uno spazio di riflessione e denuncia, dove il giornalismo si fa voce dei più deboli e dei senza voce, senza mai rinunciare a uno sguardo critico e acuto sulla realtà. 
Ma vuole anche essere letteratura, suggestione, visione: piccoli racconti, analisi e riflessioni che cercano di leggere il presente attraverso le lenti del passato e le proiezioni di un futuro che, forse, già ci appartiene.

In "Cronache da un futuro passato", troverete parole che colpiscono, immagini che provocano, stimoli che invitano a ragionare, discutere e soprattutto a non restare indifferenti. 
Una rubrica pensata per chi vuole guardare oltre la superficie, per chi vuole comprendere i meccanismi della società, le contraddizioni dei poteri, le vite silenziose che spesso ignoriamo.

Perché capire il presente, raccontarlo e criticarlo, significa avere la possibilità di cambiare ciò che verrà.

Stay tuned 😉

mercoledì 17 settembre 2025

📝 Diario di bordo n°40 – Settembre 2025

📝 Diario di bordo n°40 – Settembre 2025
"Dal dolore alla speranza: la bussola dell’umanità".

Questa mattina, mentre mettevo ordine tra le carte accumulate in questi mesi di ospedali, referti e cicli di chemio, mi sono chiesto quanta vita ci sia in quei fogli. 
Numeri, sigle, percentuali, referti scritti con linguaggio freddo… eppure dentro c’è la mia storia. 
Una storia che mi appartiene, ma che purtroppo appartiene a migliaia di altri come me.

Ripenso a una storia che porto nel cuore: quella di un prigioniero di Dachau che, stremato, cadde durante l’appello. Un compagno rischiò la vita per offrirgli un sorso d’acqua. 
Un gesto semplice, eppure enorme: perché non salvò solo il corpo, ma la volontà di vivere. Quella piccola goccia d’acqua era dignità, resistenza, speranza.

E penso a Taranto e a Statte. 
Noi siamo come quell’uomo caduto: provati da decenni di veleni, da un inquinamento che non ci dà tregua. Eppure, accanto a noi ci sono mani che si tendono. 
Le donne e gli uomini di buona volontà, i cittadini che piantano alberi, che resistono, che non si arrendono al degrado. 
Piccoli gesti che valgono come sorsi d’acqua: ridanno vita, fiducia e la voglia di rialzarsi. Statte spesso vive all’ombra della città grande, ma subisce gli stessi colpi. E anche qui c’è chi non smette di credere che il futuro vada difeso.

La verità è che l’umanità è merce rara, ma non scomparsa. Sta nei gesti silenziosi, ostinati, che fanno la differenza. 
E oggi, più che mai, dobbiamo rivendicarla. Perché la vera battaglia non è tra destra e sinistra, tra slogan e dichiarazioni, ma tra chi sa ancora tendere la mano e chi invece alimenta conflitti sterili.
Noi cittadini abbiamo il diritto – e il dovere – di pretendere meno chiacchiere e più fatti. 
Meno propaganda e più rispetto per la vita delle persone. Meno guerre di posizione e più coraggio di scegliere la giustizia, la salute, l’ambiente.
Se vogliamo rialzarci, come quell’uomo a Dachau, serve qualcuno che abbia il coraggio di offrirci davvero un sorso d’acqua: non promesse, ma dignità concreta.

📝 Diario di bordo n°56 – Novembre 2025

📝 Diario di bordo n°56 – Novembre 2025 “Cronache da un letto troppo freddo: istruzioni per l’uso della pazienza disperata” Ore ...