sabato 2 agosto 2025

📝 Diario di bordo n° 20 – agosto 2025

📝 Diario di bordo n° 20 – agosto 2025
🗣 Il diritto di respirare.

Ci sono numeri che fanno più rumore del silenzio.
Numeri che non hanno bisogno di essere urlati, perché gridano da soli.
Undicimilacinquecentocinquanta.
È il numero dei morti stimati in sette anni per cause legate all’inquinamento industriale a Taranto. Tumori ai polmoni, malattie cardiovascolari, patologie ematologiche. Undicimila vite spente lentamente, senza processi, senza sentenze. Solo diagnosi. E funerali.

Questi non sono dati “emozionali”. Sono numeri usciti dalle aule di giustizia e dagli studi dell’ASL e della Regione Puglia. Numeri certificati da scienza e coscienza. Numeri che parlano anche di noi, di Statte, dei nostri quartieri, delle nostre famiglie.

Sì, perché anche noi di Statte siamo dentro quella mappa del dolore. Anche noi siamo parte di quel territorio ferito, contaminato, disilluso. I dati dello studio epidemiologico lo dicono chiaro: l’esposizione agli inquinanti industriali aumenta sensibilmente il rischio di tumori, infarti e morte precoce. E tra Taranto, Massafra e Statte, non c’è molta differenza: cambia il nome sulla carta d’identità, non la quantità di veleni che respiriamo.

A Statte viviamo da anni accanto a un mostro che non abbiamo voluto, ma che ci siamo ritrovati addosso. Ci hanno dato promesse, compensazioni, illusioni. E nel frattempo i nostri polmoni, i nostri cuori, i nostri linfonodi accumulavano diossina, polveri, metalli pesanti. Non per scelta, ma per prossimità.

Quante volte abbiamo sentito dire: “non ci sono prove certe”, “non si può attribuire un singolo tumore a una ciminiera”… ma adesso c’è scritto nero su bianco che vivere vicino all’industria ti accorcia la vita.
E noi che viviamo a Statte lo sappiamo già. Lo abbiamo visto sulle facce delle persone, nei corridoi d’ospedale, nei lutti troppo frequenti e nelle diagnosi che arrivano come fulmini su cieli già carichi.

Oggi più che mai sento il bisogno di dire che non si può più far finta di niente.
Statte non è solo il “vicino di casa” dell’Ilva. Statte è parte della storia industriale e ambientale di questa terra, ne è vittima e – se lo vuole – può diventare anche protagonista della rinascita.

Ma bisogna volerlo, e non solo con i proclami.
Bisogna smetterla con la rassegnazione, con il fatalismo, con la paura di disturbare.
Bisogna pretendere dati pubblici, bonifiche reali, progetti sanitari concreti.
E bisogna anche continuare a prendersi cura del proprio territorio, con gesti semplici ma profondi. Come piantare un albero. Come togliere un vetro da terra. Come raccontare una verità.

Perché ogni albero che piantiamo è un atto di resistenza. Ogni parola detta è un seme di coscienza.
E perché alla fine, quello che si stà chiedendo non è niente di straordinario: vogliamo solo il diritto di respirare senza ammalarci.

E quando vedo le mani sporche di terra dei bambini che piantano un alberello, penso che forse c’è ancora speranza: quella pianta crescerà insieme a loro, e con lei potrebbe nascere un futuro diverso, più giusto, più verde, più umano.

📝 Diario di bordo n° 19 – Agosto 2025

📝 Diario di bordo n° 19 – Agosto 2025
"Tranquilli, è tutto sotto controllo. Anche la follia."

Le giornate scorrono, e con loro anche i pensieri che fanno a gara tra chi riesce a urlare di più nella mia testa.
Cerco di vivere normalmente, come se nulla fosse.
Ogni tanto ci riesco: mi dimentico di tutto, perfino del fatto che ho una malattia da trattare come un ospite non invitato che ha deciso di piazzarsi in soggiorno.
Altre volte invece no, crolla il sipario e rimango lì, con la mente che corre, riflette, si arrabbia, si confonde… e si incazza.
Sì, si incazza parecchio.

Mi guardo intorno e vedo che la politica, quella vera, è finita sotto la suola delle scarpe di chi recita la parte del finto equilibrato, cercando di non pestare calli a nessuno, ma finendo per pestare la dignità di tutti.
Un equilibrio finto come la panna spray: gonfia ma senza sostanza.

Viviamo in un Paese dove l’essere umano è diventato una variabile scomoda.
È più importante “mantenere i consensi” che mantenere le promesse.
È più facile parlare di bandiere che di persone.
Più comodo occuparsi di propaganda che occuparsi dei malati, dei poveri, dei lavoratori, dei figli e dei padri che non ce la fanno più.

E mentre questi equilibristi del nulla giocano al circo delle dichiarazioni da salotto, fuori c’è la vita vera.
Quella fatta di corpi che tremano, di anime che lottano, di gente che spera di arrivare alla fine del mese, ma anche alla fine della settimana senza perdere la testa.
E in mezzo ci sono loro: i bugiardi professionisti, i tuttologi del “secondo me”, quelli che parlano senza sapere, che manipolano senza vergogna, che dichiarano tutto il contrario di tutto.
A volte mi chiedo se il virus più pericoloso non sia proprio la disinformazione con la camicia stirata e il sorriso da talk show.

E poi ci sono io.
Che mentre affronto un tumore, mi ritrovo a combattere anche con le tossine del mondo esterno.
E mi dico: Giovanni, ma sei ancora sano di mente?
Ti preoccupi della giustizia, dell’ambiente, della verità, della gente… ma chi te lo fa fare?

Eppure no, non riesco a smettere.
Non riesco a disattivare questa mia coscienza, questa mia dannata voglia di cambiamento.
È come se, anche dentro un corpo malato, il mio spirito restasse sano e incazzato.
È come se la malattia del mondo mi facesse più male di quella del mio corpo.

E allora sì, oggi sono un po’ filosofo, un po’ rivoluzionario, un po’ malato… e un po’ Giovanni.
Il Giovanni che non smetterà mai di sperare, di lottare e di dire le cose come stanno, anche quando tremano le gambe e il cuore va più piano.

Perché alla fine, la vera salute è restare umani.
Anche quando attorno tutto sembra impazzire.
Anche quando il dolore bussa e ti dice: "tocca a te".

E se un giorno qualcuno mi chiederà cosa ho fatto nella mia vita, risponderò così:
“Ho combattuto. Anche quando era più facile stare zitto. Anche quando ero stanco. Anche quando avevo paura. Ma non ho mai chiuso gli occhi davanti all’ingiustizia. Mai.”

giovedì 31 luglio 2025

📝 Diario di bordo n°18 – Luglio 2025

📝 Diario di bordo n°18 – Luglio 2025
"Chemioterapia e altre passeggiate di salute"

Ebbene sì, amici miei, anche questa è andata. La seconda seduta è archiviata, incartata e spedita nel reparto dei "non ci volevi andare, ma ci sei andato comunque".
Testa che gira come una trottola natalizia, gambe come marmellata calda e quella sensazione di stanchezza che ti fa sembrare anche la panchina più scomoda del mondo un letto a cinque stelle. Ma niente paura: sono ancora in piedi.

E mentre facevo la mia terapia, a pochi passi da me c’era un ragazzo – dieci anni meno di me, stessa battaglia, stesso nemico. Lavora in una ditta dell’ex ILVA.
Un altro figlio di questa città che paga, sulla propria pelle, il prezzo del silenzio di chi avrebbe dovuto proteggerci.
Abbiamo parlato. Di malattia, certo. Ma anche di vita. Perché la chemio fa male, ma la verità detta ad alta voce è come un analgesico per l’anima.
E ho capito che nessun rimborso, nessun indennizzo, nessuna parola detta in ritardo può restituire quello che ci è stato tolto.

Ma oggi non me ne sono tornato direttamente a casa. No.
Ho chiesto a mia moglie e a mio figlio di portarmi in centro. Avevo bisogno di vedere la mia città, Taranto, negli occhi.
Avevo bisogno di sentire il suo respiro, le sue grida, i suoi silenzi.
In queste ore la città sta scegliendo il proprio destino. I suoi figli si ribellano, gridano, lottano.
E la politica? Beh… quella locale, come al solito, nicchia, svicola, attende.
Ma Taranto mia… tu meriti molto di più. Meriti coraggio, verità, dignità.
E meriti di guarire anche tu, come noi malati, da quel tumore industriale che ti divora da decenni.

Taranto è come una madre ferita che continua a cucinare per i suoi figli anche se ha il cuore a pezzi.
È come un campo di papaveri rossi cresciuti sopra un terreno avvelenato.
È come un sorriso stanco che non vuole spegnersi.
Taranto è poesia che sanguina, è l’ultima pagina di un libro scritto con lacrime e acciaio.
E oggi più che mai, è anche lei una malata che lotta per guarire.

Mi sono seduto su una panchina. Ho bisogno di scrivervi, di buttare giù queste sensazioni.
E proprio mentre scrivo, si avvicina una signora.
“Signore, posso leggerti la mano?”
La guardo perplesso.
Poi sorrido e le rispondo:
“Signora mia, ho già la mia oncologa che mi legge i referti… e sa predirmi il futuro molto meglio di una mano aperta, e quel futuro per me è stato momentaneamente già scritto.”

Sorrido ancora. Sorrido a lei, a voi, a me stesso.
Perché in fondo la forza è questa: non perdere mai il senso dell’ironia, neanche nei giorni più tosti.

E adesso, permettetemi di chiudere come si deve.

A te, Taranto.
Guarda avanti, anche se tremi.
Cammina, anche se zoppichi.
Ama, anche se ti hanno tradita.
Respira, anche se l’aria pesa.
Guarisci, Taranto mia. Guarisci anche tu.
Perché se io, con tutti i miei acciacchi, posso affrontare questo mostro a testa alta…
allora anche tu puoi.
Perché tu non sei acciaio: sei carne, cuore e fuoco che non si spegne.
E stavolta, vinceremo noi.

Alla prossima battaglia. E ricordate: si cade, ma ci si rialza. Sempre.

mercoledì 30 luglio 2025

📘 Diario di bordo n°17 – luglio 2025

📘 Diario di bordo n°17 – luglio 2025
"Domani... un altro giorno (ma poteva pure aspettare, eh!)"

Ed eccoci qui, cari amici e lettori di questo diario tragicomico in pillole (che però le pillole vere, mannaggia, son tutte per nausea e vomito), alla vigilia della seconda seduta.

Domani è il 31 luglio, e mentre la maggior parte delle persone si prepara per la partenza al mare, io mi preparo per la partenza... verso il lettino deluxe della chemio room, quella con vista flebo e sottofondo musicale "tic tic" delle gocce che scendono come la pazienza in un ufficio postale a fine mese.

Se mi chiedete come sto, vi rispondo come i vecchi saggi di paese:

> "Meglio che se stessi peggio, peggio di come stessi prima."

Eh sì, l’apprensione c’è. Non è che vado lì con il sorriso di chi ha prenotato un lettino a Porto Cesareo. Però ci vado. Con la testa alta, lo sguardo fiero e l’ombelico contratto dalla nausea.
La guerra è guerra. E io ho già indossato l’elmetto.

Nel frattempo, fuori dalla mia piccola grande battaglia personale, Taranto bolle più del termometro che in questi giorni segnava 41°. E non solo per il caldo.
C'è chi lotta per chiudere o ridimensionare l’ex ILVA, e c'è chi, da Roma, continua a offrire tumori con il 2x1, aria irrespirabile in omaggio e lividi politici sotto la maschera dell’industria strategica.

Come se non bastasse, sul lungomare ci vogliono ormeggiare anche una nave rigassificatrice, così per gradire.
Pare sia un omaggio a qualche amico d'oltreoceano, giusto per far capire che l’aria buona è sopravvalutata e che la sicurezza energetica può benissimo coincidere con un’esplosione in slow motion.

E mentre si gioca a Risiko sulla pelle dei tarantini, io aspetto il mio turno, con la cartella clinica sotto braccio, il deodorante fresco di giornata e il classico sacchetto per l’eventuale malessere, che non è fashion ma è sempre di tendenza.

E così domani si va. Seconda seduta. Seconda puntata. Secondo round.
Quasi quasi mi porto i popcorn, che tanto lo stomaco è già in subbuglio.

Domani mattina, puntuale come sempre, varcherò le porte della clinica per la mia seconda infusione di superpoteri sintetici.

Arriverò in anticipo, come al solito, con la maglietta buona e il deodorante steso come una benedizione sotto le ascelle. Farò le scale dove mi aspetta, sempre lei, la Madonnina al secondo piano, che pare ormai mi saluti con un cenno del capo tipo:

> “Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?”

Entrerò nel reparto con il sorriso sdrucito da soldato di ritorno e troverò l’infermiera, la stessa della prima volta, che da sola fa più turni di un call center e più mansioni di un robot giapponese, eppure trova pure il tempo per regalarti una parola buona.

Poi mi sdraierò sul lettino, guardando il soffitto come se fosse il cielo della Cappella Sistina, e sentirò scendere lentamente quella pozione magica che sa di zolfo, battaglie e rinascita.

E lì, proprio in quel momento, penserò che anche questa seconda tappa è iniziata, e che comunque vada, uscirò da quella stanza come un Fantozzi moderno, sudato, confuso, e con la testa che gira, pronto a dire:

> “E anche stavolta ce la siamo cavata. Ora però, se nessuno si offende, vado a svenire con dignità sul sedile della macchina... lato passeggero!”

Perché in questa vita, anche quando la sceneggiatura fa schifo, l'importante è restare protagonisti, ridere quando si può e lottare sempre.
E domani, statene certi, ci sarà un altro capitolo da scrivere, una nuova scena da vivere e, magari, un’altra battuta da inventare per alleggerire tutto questo.

venerdì 25 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°16 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo n°16 – Luglio 2025
“Quando tutto va a rotoli, lei c’è sempre (e non serve nemmeno il Green Pass!)”

C'è un dettaglio che si ripete in tutte le cliniche, ospedali, ambulatori e case di cura d’Italia.
No, non è la macchinetta del caffè che sputa bicchieri roventi.
Non è nemmeno la sedia di plastica scricchiolante in sala d'attesa.
È lei, la Madonnina di corridoio, ferma lì in un angolo, a metà tra il silenzio e il miracolo.

Ieri mattina salgo le scale del reparto oncologico, rigorosamente a piedi per tenermi “in forma”, anche se a ogni gradino il cuore sembrava urlare “ma chi me l’ha fatto fare?”.
Alzo gli occhi, e come ogni volta, eccola lì, con le mani aperte, lo sguardo sereno, avvolta da un'aura che sa di cerotti e speranza.

Se tutto va a rotoli, lei c'è sempre. E un motivo ci sarà.

Sarà che in certi luoghi si respira fragilità, si tocca la sofferenza, si accarezza la paura...
E allora lì, accanto alle flebo e alle cartelle cliniche, compare sempre una figura familiare, silenziosa ma presente, immobile ma fortissima: la Madonna.

Pensateci un attimo.
Chi di noi non l’ha mai vista?
In ogni corsia, sopra un mobile, in cima a una colonna, su un altarino con centrino ricamato e fiori finti?
È una costante.
Come il “torni tra sei mesi” o il “deve attendere il suo turno”.

Ed è proprio lì che ti chiedi: ma perché, in ogni reparto, in ogni clinica, c’è una Madonnina?

La risposta non è tecnica, ma umana.
Perché quando non sai più a chi rivolgerti, ti rivolgi a chiunque possa ascoltarti anche senza parlare.
E lei è lì per questo: per chi crede, per chi spera, per chi ha finito le parole ma ha ancora una lacrima da versare.

Non sono un cristiano modello, lo ammetto.
Non vado in chiesa, né la domenica né il mercoledì di metà settimana.
Ma quando la vita ti sbatte in faccia la sua durezza, anche il più laico tra gli uomini si appende a una preghiera sgrammaticata.

E poi, non è una cosa nuova.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, nei campi di battaglia e negli ospedali da campo, la prima cosa che i soldati e le infermiere facevano era sistemare un’icona della Madonna accanto al ferito.
Non c’erano antibiotici, né rianimazioni, ma una carezza al cuore faceva miracoli anche senza bisturi.

Anche mia madre, che da brava donna del Sud ha più fede che Wi-Fi in casa, ogni volta che mi chiama mi dice la stessa frase:

> “Affidati a Lei, la Madonnina non lascia nessuno solo.”

E io ci penso.
Forse non sarà miracolosa, non mi curerà lei…
Ma intanto mi guarda. E non scappa.

E se la fede è un salvagente, io in questi giorni me lo stringo forte, anche se sgonfio, anche se malandato, perché mi aiuta a rimanere a galla in questo mare che ogni tanto fa paura.

Quindi sì, ieri salendo quelle scale l’ho vista e l’ho salutata.
Non ad alta voce, non con un’Ave Maria, ma con uno sguardo e un pensiero:

> “Oh Madò, stammi vicino... che qui ci stanno cose che manco la scienza capisce.”

🎭 E voi che leggete, vi dico questo:
Se vi capita di passare davanti a una Madonnina in corsia, non abbiate timore di fermarvi.
Anche solo un secondo, anche solo per dire "grazie" o "aiutami" o solo per stringere gli occhi e respirare.
Lei non giudica.
Lei non fa diagnosi.
Ma sa ascoltare senza mai interromperti.

E se proprio va male... beh, una preghiera può fare più di una TAC.
O quanto meno, ti fa sentire meno solo in sala d’attesa.

giovedì 24 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°15 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°15 | Luglio 2025
"Prima seduta… e sono ancora qua, eh già!"

Ebbene sì, amici miei.
Sono ancora vivo, spossato ma vivo.
E già solo questo è motivo sufficiente per brindare — idealmente, eh, che lo spumantino per adesso resta un miraggio proibito!

Ma andiamo con ordine.

Ore 8:15. Puntualissimo come sempre (che se c’è da pagare una multa arrivo in ritardo, ma se c’è da affrontare la chemio mi presento in smoking e cravatta mezz’ora prima).
Stamattina ho guidato io, ma con la consapevolezza che al ritorno avrei lasciato il volante a mio figlio, perché dopo certe infusioni non si gioca a fare l’Ayrton Senna di Statte.

Arrivo in clinica, bypasso l’ascensore come un ventenne atletico (almeno nella testa) e affronto le scale.
Ad ogni piano trovo la Madonnina, quella statuina di gesso che ormai è più presente della sanità pubblica.
La osservo, le faccio l’occhiolino e penso: “Tranquilla, ce la metto tutta. Ma se puoi, dammi una spintarella invisibile ogni tanto, che male non fa.”

Al secondo piano la sala è gremita.
Un’aria silenziosa, sospesa. Ci sono parenti che aspettano, pazienti già sotto terapia e io…
Curioso come un bambino che sbircia dietro il sipario prima dello spettacolo, mi aggiro per il corridoio alla ricerca della stanza del destino.

Ed eccola lì: una porticina discreta, due lettini, atmosfera sobria.
Tranquilli, nessuno strumento di tortura medievale in vista, solo flebo, aghi e un silenzio rotto dai bip e dai pensieri.

Arriva lei: l’infermiera tuttofare.
L’unica, la sola, la donna invisibile ma onnipresente che fa tutto: ti accoglie, ti consola, ti infila l’ago con la delicatezza di un origamista giapponese, ti dà consigli, ti cambia la biancheria del letto e – se potesse – ti farebbe pure il caffè.
Una professionista vera, una di quelle che se ne avessimo tre per reparto, altro che sanità a rischio collasso.

Alle 9 in punto mi accomodo sul lettino, di fianco a un altro paziente.
Disorientato, dimentico perfino di salutarlo (e sì che io di solito stringo mani anche agli alberi!).
La terapia parte. Il tempo si ferma. O forse rallenta.

Per due ore e mezza mi fa compagnia il cellulare e i messaggi di mio figlio, che da fuori stanza insieme a mia moglie mi accompagna col pensiero e col cuore.

Poi... il bip finale.
È fatta.
Mi alzo, con la grazia di un elefante uscito da una centrifuga, e vado via.

L'uscita dall’ospedale è epica.
Caldo torrido, sole a picco, tre passi e già rimpiango l’aria condizionata del reparto.
Mi sento come un reduce dalla battaglia, ma con una medaglia al collo invisibile: quella del coraggio quotidiano.

E ora che sono qui, a casa, stanco ma integro,
conservo dentro di me la forza silenziosa di chi ha affrontato la prima tappa di un lungo viaggio.
Un viaggio che non ho scelto, ma che affronto con la mia solita ironia, con le scarpe ben allacciate e lo sguardo avanti.

A chi è nella mia stessa situazione, o ci finirà,
voglio dire questo: la chemio non ti definisce, la tua forza sì.
E anche quando tutto sembra difficile, ricordati che ogni singolo giorno vissuto con dignità e coraggio è una vittoria.

Alla prossima puntata, amici.
Restate connessi, che la nave continua a navigare.
Anche tra le onde più alte.
p.s. in un prossimo capitolo vi parlerò della madonnina onnipresente in ogni luogo di cura con alcune mie riflessioni.

📘 Diario di bordo – N°14 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°14 | Luglio 2025
"Notte prima degli esami... anzi no, della chemio!".

E sì, amici miei cari, mentre il mondo si divide tra chi balla al ritmo del reggaeton in spiaggia, chi accende il barbecue con 40 gradi all’ombra e chi suda solo al pensiero di camminare fino al frigo, io... mi preparo alla mia prima "appuntamicina" con la signorina Chemio.

È la notte prima del “grande giorno”.
Altro che maturità o test universitari.
Io domani alle 9 spaccate, mica devo compilare quiz a crocette o scrivere un tema d’italiano.
No no.
Io ho appuntamento con un cocktail esplosivo, shakerato dalla farmacologia moderna, servito direttamente, senza olive e con un retrogusto di "vinca alcaloide con note agrumate di nausea".

Dovrei dormire, lo so.
Invece?
Google è il mio psicoterapeuta notturno.
Cerco:
“Effetti collaterali chemio prima seduta”,
“sintomi più comuni chemio”,
“come sopravvivere al primo giorno di chemio senza sembrare un cencio da spolvero”.
Risultato?
Un horror degno di Stephen King.
Vomito, nausea, debolezza, stanchezza, sbalzi d’umore, crisi esistenziale, voglia di mangiare solo crackers e guardare fiction turche.

E mentre leggo tutto ciò, tra una ansia e l’altra, il termometro fuori segna 27 gradi alle 01:47.
Certo, perché se devi affrontare la chemio, almeno che non sia in piena estate, perchè ti tocca sudare come un ghiacciolo dimenticato sul cofano di una Panda del ‘95. Invece a me tocca proprio il periodo peggiore, l'estate di fuoco. 😱

Ma sapete una cosa?
Nonostante tutto questo, domani io ci vado.
Sì, ci vado con il sorriso, con lo zaino pronto e una playlist di battute idiote da sparare all’infermiera, se la trovo di buon umore (altrimenti le offro un caffè).
Perché non sarà la chemio a decidere il mio umore. Lo decido io.

E quando leggerete questo post — programmato per essere pubblicato alle ore 9 precise di giovedì 24 luglio, mentre io sarò già lì, sdraiato su un lettino a fare amicizia con la flebo — sappiate che non sarò solo. Oltre a mia moglie e mio figlio in clinica con me, ci sarete tutti voi.
Perché questa avventura voglio viverla condivisa, con sarcasmo, cuore e quella sottile arte dell’auto-supercazzolamento, che salva l’anima anche quando il corpo è sotto attacco.
Quindi forza, signora Chemio.
Si accomodi.
Ma sappia che io non mi piego. Al massimo mi stendo un attimo, poi mi rialzo.

Ci vediamo dopo, cari lettori.
Ora poso il cellulare, mi avvolgo nel lenzuolo come un involtino primavera e provo a dormire.
Che domani si parte, e il coraggio, come sempre, lo porto io.

lunedì 21 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°13 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°13 | Luglio 2025
Un racconto tra l’assurdo e il tragicomico, con una punta di Fantozzi e una dose intera di quell’ironia che sa sopravvivere anche quando la sanità pubblica ti dà appuntamento… con l’eternità.

“La visita cardiologica e il viaggio nel tempo”.

Qualche settimana fa, carico di speranza e con la potenza del mio nuovissimo codice 048 — quello che dovrebbe aprirti le porte della sanità pubblica come Mosè con il Mar Rosso — mi siedo alla scrivania, apro il portatile e accedo al celebre portale “Puglia Salute”.
Obiettivo: prenotare una visita cardiologica.

Inserisco tutti i dati, codice fiscale, esenzione, magari pure l’oroscopo, e...
✨MAGIA!✨
Compare una disponibilità per il 21 luglio presso l’ospedale di Grottaglie.
"Ma guarda un po’!", esclamo tra me e me, quasi commosso.
Altro che liste d’attesa eterne… stavolta ho avuto culo!
(Scusate il francesismo, ma quando ci vuole, ci vuole).

Prenoto online, stampo la ricevuta con la stessa fierezza di uno che ha appena ricevuto il passaporto per la Svizzera… sanitaria.
Per una volta, niente strutture private, niente bonifici, niente vendite di organi su eBay per potermi curare.

E oggi eccoci qui.
21 luglio.
Mi sveglio, doccia, barba, deodorante sotto le ascelle (che non si sa mai).
Ore 10:00, salgo in macchina con Google Maps in modalità “eroico”.
Mezz’ora dopo sono a Grottaglie, girovago 15 minuti per trovare parcheggio — perché l’ospedale è giustamente circondato da un deserto... tranne che per i parcheggi, dove c'è la densità di Tokyo.

Entro nel reparto.
Sala d’attesa piena di anime pazienti — nel vero senso della parola.
Chiedo come segnalare la mia presenza.
“Attenda… prima o poi qualcuno uscirà”, mi dicono con lo stesso tono con cui si descrive l’apparizione della Madonna a Lourdes.
Finalmente si apre una porta.
Scatta il riflesso da Usain Bolt:
consegno orgogliosamente la prenotazione.
Un’infermiera gentile la prende e mi dice che ci sono solo due pazienti prima di me.
Bene! Penso. Stavolta fila tutto liscio.
Ma...
Plot twist.
Una seconda infermiera esce dalla stanza e chiede con tono solenne:
“Chi è il signor Pugliese?”
Eccomi! Dico io, col sorriso del bambino a cui stanno per dare il gelato.
“Signor Pugliese, vede... il giorno è corretto, il mese anche... ma purtroppo l’anno è sbagliato: la sua prenotazione è per il 21 luglio 2026”.

DUEMILAVENTISEI !!!

In quel momento ho visto la mia anima separarsi dal corpo e dirigersi verso il distributore automatico per cercare conforto in una crostatina del 2019.
Mi sentivo come Fantozzi davanti alla visita col professor Kranz, con in sottofondo un coro di “TAA-TA-TA-TAAA”.

Mestamente, sono tornato a casa.
Muto. Sconfitto. Un uomo. Un 048. Ma soprattutto… un viaggiatore del tempo.
Forse dovrei cominciare a prenotare anche la colonoscopia del 2030, che non si sa mai.

E quindi, miei cari lettori di disavventure sanitarie:
alla fine mi sa che toccherà di nuovo pagare di tasca mia, come sempre, perché tra le liste d’attesa e le speranze disilluse, qui il cuore rischia di scoppiare prima di essere visitato.

Ma attenzione, perché noi non molliamo!
Anzi, la prossima volta magari provo a prenotare con una DeLorean.
O con Doc di Ritorno al Futuro al centralino.

Nel frattempo…
resistiamo, ridiamo, ci curiamo — quando ci riescono — e continuiamo a raccontarla, perché la risata, anche quella amara, è pur sempre medicina.

sabato 19 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°12 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°12 | Luglio 2025
“Chiamarlo per nome”

Il giorno si avvicina.
Quel famoso 24 luglio ormai è lì, dietro l’angolo, che mi guarda come a dire: “Allora, sei pronto?”
E io?
Io lo guardo a mia volta. Lo squadro. Lo scruto. Lo osservo con un misto di sfida e rispetto.
Perché sì, lo ammetto, la notte qualche pensiero si affaccia senza bussare, e non sempre riesco a mandarlo via.
Si insinua come una corrente d’aria che passa sotto la porta, invisibile ma presente.
Mi giro, mi rigiro, e poi mi alzo a bere un sorso d’acqua o a fissare il soffitto, come se lì sopra ci fosse scritta qualche risposta.

Ma poi mi dico:
Pazienza.
Perché non è tempo di piangersi addosso.
È tempo di guardarlo in faccia, questo male.
Chiamarlo per nome.
Parlargli con il tono fermo di chi non si arrende.
Dargli del tu.
Senza paura, senza deferenza, senza farlo diventare più grosso di quello che è.
È un ospite indesiderato, arrogante, entrato senza chiedere permesso.
E allora io lo tratto per quello che è: un abusivo da cacciare.

Non sarà semplice, lo so.
Me lo ha detto la dottoressa. Me lo dice il corpo. Me lo dice la testa.
Ma non sono solo.
Sono circondato da amici, familiari, conoscenti, e perfino da chi non conosco bene ma mi scrive parole che arrivano dritte al cuore.
Sono quelle parole, quei gesti, quei silenzi pieni di presenza, che mi aiutano a non perdere il passo.

Il 24 sarà un giorno qualunque e insieme un giorno speciale.
Segnerà l’inizio di un nuovo tratto di strada.
Un percorso magari accidentato, pieno di curve e qualche salita.
Ma, come ho già detto, se la strada è in salita, vorrà dire che sto andando verso l’alto.

E allora, anche stanotte se non dormirò, pazienza.
Anche se il cuore peserà più del corpo, pazienza.
Mi stringerò la mano da solo, e poi mi ricorderò di tutte le mani che mi tengono stretto da lontano.

Perché questa battaglia non è solo mia.
È di tutti noi che viviamo, resistiamo, curiamo e ci facciamo curare.
È dei medici che ci trattano come persone e non come numeri.
È di chi combatte ogni giorno anche solo per tenere accesa una piccola luce dentro.

Alla prossima tappa, amici.
Con lo sguardo fiero, il passo lento ma sicuro, e il cuore che, anche se ogni tanto barcolla, non molla. Mai.

📘 Diario di bordo – N°11 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°11 | Luglio 2025

“Giovanni 048, per servirvi (con un modulo timbrato e un pizzico d’autoironia)”

Mattinata interamente dedicata a una delle attività più “entusiasmanti” che la malattia ti regala nel pacchetto completo: la burocrazia.
Già, perché oltre a ricoveri, esami, ecografie e referti spediti su WhatsApp come fossero volantini del supermercato, ti tocca pure rincorrere carte, firme e sigle come se partecipassi a un reality: “Chi vuole diventare un esente fiscale?”

Stamattina, con tutta la mia dignità ben stirata, mi sono presentato all’ASL per ottenere l’esenzione 048, quella riservata ai malati oncologici.
Sì, proprio quella.
Quella che qui a Taranto conosciamo tutti fin troppo bene, ancora prima di sapere l’ora esatta del Telegiornale.
Un numero che, come ho scritto tempo fa in un mio post, fa venire i brividi solo a pronunciarlo.

> “A Taranto basta sentire ‘048’ per sentire un brivido. Non è un numero qualsiasi: è il codice di esenzione per patologie oncologiche. Un codice che, se da un lato garantisce cure gratuite, dall’altro è un marchio silenzioso, una ferita aperta che accomuna troppe famiglie. [...]”

Quel post lo scrissi mesi fa, senza immaginare che un giorno quel codice avrebbe avuto anche il mio nome accanto.
Oggi invece, malgrado tutto, sono ufficialmente anch’io uno “048”.
Singh. 😢
Che vi devo dire… sarà stata premonizione o incoscienza. Forse ero una Cassandra con la testa tra le nuvole e i piedi ben piantati a Taranto.

Comunque sia, per la cronaca: l’intera operazione “esenzione 048” è durata appena 10 minuti.
Roba da Guinness dei primati…
(oppure era il solito caso raro in cui l’impiegata dell’ASL aveva preso il caffè buono).

Ma mica finisce qui.
Ora mi tocca passare dal CAF per la prossima puntata: la 104, quella delle “agevolazioni” che hanno sempre un’aria da “ti aiutiamo… ma prima salta 16 ostacoli, compila 12 fogli, fai una giravolta e dì grazie”.

Nel frattempo, si avvicina anche il 24 luglio, giorno di inizio terapia.
E la testa comincia a frullare come una lavatrice nel programma centrifuga.
Tanti pensieri, qualche ansia, ma anche tanta voglia di affrontare tutto con la forza che mi viene da voi.

Perché sì, lo ribadisco:
non siete solo “amici da social”.
Siete persone vere, concrete, sincere.
Grazie a voi, amici veri, ex colleghi, vecchi compagni di sindacato e di risate, che mi state vicini, mi chiamate, mi scrivete, mi sopportate.
Le vostre parole, i vostri messaggi, anche solo un “come stai oggi?”, sono la cura che non prescrive nessuno, ma funziona più della tachipirina e del cortisone messi insieme.
E io vi voglio bene, sinceramente.

E ora scusate se chiudo con un pizzico di sarcasmo – che è la mia medicina alternativa preferita – ma tra codici, esenzioni, timbri e appuntamenti, sto iniziando a credere che il tumore sia l’unica cosa che arrivi senza prenotazione, senza modulo e senza fila.

E ricordate:
non siamo solo codici. Non siamo solo malati.
Siamo anime piene di forza, coraggio, e – quando serve – anche di una sana, sacrosanta autoironia.
Ridete, amici miei.
Rideteci su.
Che la vita a volte è una bastarda, ma con la risata giusta, non vince mai.

Alla prossima, con lo zaino in spalla, i documenti in ordine, l’umore ballerino ma la volontà incrollabile.
E se proprio mi vedete assorto tra le carte, non preoccupatevi:
sto solo cercando l’ufficio giusto dove presentare la richiesta per essere ancora me stesso, nonostante tutto.

mercoledì 9 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°10 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°10 | Luglio 2025

“Incontri ravvicinati con la dottoressa (umana), camici volanti e supercazzole terapeutiche.”

Allora, amici miei… ieri è stata “la giornata della conoscenza”.
No, non sono andato in pellegrinaggio da Alberto Angela, ma finalmente ho conosciuto colei che avrà il coraggioso compito di curare settimanalmente il mio "problemino" (che tanto ino non è, ma fa fine dirlo così).
E vi dico subito: donna simpatica, cordiale, empatica, esaustiva… in una parola: umana.
Praticamente l’antitesi vivente del vasetto di yogurt scaduto lasciato sotto il sole, alias il dottore che mi ha mandato l’esito istologico via WhatsApp all’alba come se fosse l’offerta del giorno su Amazon Prime.

Ma andiamo con ordine, come si dice nelle migliori cronache giudiziarie.

La notte prima dell’incontro, non ho chiuso occhio.
Sarà stata la tensione, sarà stata la testa che frullava peggio di un frullatore senza coperchio, sarà stato il classico effetto ansia pre-visita… fatto sta che se ho dormito due ore, è un miracolo degno di Lourdes.

Alle 11:00 ero già pronto. Alle 12:00 l’appuntamento.
Un’ora di anticipo, perché da bravo ex lavoratore puntualissimo se arrivo solo in orario, mi sento in ritardo.
In testa ho una lista mentale di domande che nemmeno Mentana nel suo Tg delle 20.

Arrivo nel reparto, cerco di individuare la famosa “dottoressa X” tra una miriade di camici bianchi che sfrecciano avanti e indietro come astronavi nell’iperspazio.
Intanto, intravedo delle stanzette: due lettini, un lavandino, e fuori seduti alcuni pazienti...
Mi viene il dubbio:
“Ma vuoi vedere che queste sono le famigerate stanze della tortura?"
Ops, volevo dire: “della cura”? 😅

Poi, come nelle migliori scene da film, compare lei: camice bianco, biondina, minuta, con un accenno di sorriso che vale più di mille parole.
Mi fiondo su di lei come un fan su una rockstar e chiedo:
“Lei è la dottoressa X?”
E lei, con calma olimpica:
“Sì, sono io.”

A quel punto, presentazioni, stretta di mano e… via, nello studio.
Con voce un po’ incrinata ma dignitosa, le spiego tutto il malloppone della mia storia clinica che avevo diligentemente preparato, manco dovessi sostenere la tesi di laurea.
Lei mi ascolta. Davvero.
Mi guarda negli occhi. Davvero.
E risponde con chiarezza, empatia, competenza.
In dieci minuti, riesce a farmi capire più lei che l’urologo in dieci settimane.
(Non è che ci volesse molto, eh. Ma lasciatemi esagerare).

E così, ecco il verdetto:
👉 Dal 24 luglio si parte.
👉 Il percorso sarà un po’ tosto.
👉 I cicli non saranno caramelle balsamiche.
Ma io stringerò i denti e andrò avanti.
Perché se non vi ammorbo io con le mie sventure tragicomiche… chi lo fa? 😜

E se qualcuno si stufa, beh, può sempre:
✅ bypassare i miei scritti,
✅ silenziarmi educatamente,
✅ o nella peggiore delle ipotesi, bloccarmi su Facebook e vivere felice.

Ma io, modestamente, vi lascio con una scena che nemmeno “Amici Miei” avrebbe osato scrivere:

> “Mi raccomando, dottoressa, quando cominceremo la terapia faccia attenzione a non interrompere l’azione del ciclo mediante una rotazione delle fiale con la disinvoltura della supercazzola prematurata, perché se la trombositocitosi interagisce col radicale libero del doppio saluto, la biondina rischia l’effetto zingarata, e lì ci vuole un dosaggio di spirito d’iniziativa con contorno di ottimismo e mezza flebo di ironia, sennò mi si scompone l’animo come una carbonara col parmigiano!”

E adesso vi lascio con un pensiero dedicato a tutti quelli come me, che stanno affrontando o stanno per affrontare un ciclo di chemioterapia… e anche a chi gli sta accanto, quei santi laici chiamati amici, figli, mogli, parenti, vicini di poltrona e di cuore.

Ricordatevi sempre una cosa:
questa non è una guerra, perché la guerra è brutta e fa schifo.
Questa è una sfida. Una scalata. Una corsa a ostacoli.
E sì, ogni tanto inciampiamo, ci scappano le lacrime, il nervosismo, le notti insonni…
Ma poi ci si rialza.
Con stile, col sorriso e – se possibile – anche con una bella battuta pronta.

A chi comincia ora dico: non temere.
Sarai più forte di quanto immagini, e quando crederai di aver finito la benzina…
scoprirai che vai avanti a risate, carezze e spruzzate di ironia.

A chi ci accompagna dico:
abbracciate forte, anche solo con lo sguardo.
Non dite “tutto andrà bene”, ma piuttosto “sono qui”.
E ogni tanto, offriteci un gelato o un meme cretino: valgono quanto una flebo di allegria.

E se proprio non sapete cosa fare…
mettete un camice, fingete di essere infermieri e portateci il caffè.
Male non fa, e almeno per un momento, ci sentiremo meno pazienti e più umani.

Dunque avanti tutta.
A testa alta, stomaco forte e cuore leggero.
Che poi, come diceva il saggio (forse uno zio ubriaco):

> "La chemio è come una partita a scacchi con la vita: ogni tanto perdi un pezzo… ma se tieni duro, fai scacco matto col sorriso!"

Alla prossima, con la solita ironia, qualche globulo bianco in più e la voglia matta di rompere le scatole.

sabato 5 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°9 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°9 | Luglio 2025

“Incontri ravvicinati del terzo tipo… con l’urologo.”

Stamattina, alla buon’ora, incrociando le dita (non per cambiare l’esito dell’istologico – quello era già arrivato in anteprima esclusiva su WhatsApp con tanto di emoji mancata – ma solo per una piccola speranza), speravo che il medico che mi ha operato il 4 giugno si fosse svegliato col piede giusto.
Perché diciamocelo chiaramente: più che un medico, a volte sembra un vasetto di yogurt scaduto, dimenticato da mesi sotto il sole d’agosto su un muretto di Statte.
E attenzione: non metto in discussione la sua professionalità, che anzi, è indiscutibile.
Ma il carattere... ecco, quello sì. Difficile da digerire, come un panzerotto fritto alle sei del mattino.

Arrivo nel suo studio. Attendo il mio turno con l’agitazione di chi sta per fare l’esame di maturità, ma senza la colonna sonora di sottofondo.
Finalmente mi riceve.
E prima ancora che possa dire “si accomodi”, gli sparo subito:
“Pugliese. Dottore, sono Giovanni Pugliese, operato il 4 giugno. Quello del referto su WhatsApp.”

A quel punto lui si ricorda (o finge bene) e parte a scrivere come se stesse compilando una letterina a Babbo Natale, indirizzata però al medico oncologo che dovrà prendersi cura del mio futuro.
Scrive, scrive, firma, piega e consegna.
Dieci minuti. Tempo record.
Più che una visita medica sembrava il ritiro di una raccomandata in posta: “Ecco qui il suo pacco, firmi qui, buona giornata e in bocca al lupo.”
Che dire, l’efficienza è una virtù, ma quando parliamo di corpi, paure, speranze e umanità… magari qualche minuto in più non guasterebbe, dottò!

Riassunto della puntata?
📍 Ho le indicazioni per affrontare l’estate a colpi di terapie e appuntamenti.
📍 Tra tre mesi circa, si torna in clinica.
📍 Altra operazione, altro prelievo, altra analisi.
Insomma: il tour continua. Non è esattamente quello di Vasco, ma siamo lì… solo che qui i biglietti non li paghi in euro, ma in pazienza e coraggio.

E mentre vi scrivo, sospiro.
Profondamente.
Non per commuovermi, ma per dare fiato a quella vocina dentro di me che ogni tanto sussurra:
“Ma perché proprio io?”
E a cui io rispondo, ogni volta:
“Perché chi se non io? Chi ha più ironia, testardaggine e voglia di prenderla con un sorriso amaro se non questo testone pugliese?”

Mi prendo in giro, sì.
Perché se non rido io, chi lo fa?
E perché ridere, anche nel mezzo del buio, è la mia forma preferita di resistenza.

venerdì 4 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°8 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°8 | Luglio 2025

“Tra buche, cerini e promesse: diario semiserio di un cittadino che non si arrende.”

Quando ti ritrovi ad affrontare un problema di salute – e parlo ancora dalle fasi iniziali, quindi il bello (si fa per dire) deve ancora venire – succede qualcosa di particolare.
Ti si apre un mondo.
Un mondo popolato da tante, troppe persone che vivono situazioni simili alla tua, spesso in silenzio, spesso con dignità, sempre con una dose di forza che fa tremare le ginocchia.

Qualcuno potrebbe dire:
“Eh, vabbè, magra consolazione sapere di non essere soli…”
E avete anche ragione.
Non è una consolazione.
È un dato di fatto, crudo e nudo.
Ma proprio per questo, lo prendo come un motivo in più per dire a tutti voi: fate controlli, prevenite, non aspettate che il motore vada in avaria.

Perché, vedete, la differenza tra noi e tanti altri è come quella tra chi viaggia su un’auto in autostrada fresca d’asfalto, e chi – come noi – cerca di schivare buche, crateri e tombini ribelli nelle strade del Sud.
Ora ditemi: secondo voi chi ha bisogno di fare manutenzione prima?
Chi viaggia sul velluto o chi guida tra le scosse sismiche dell’asfalto urbano?

Già, benvenuti nel nostro meridione, terra bellissima e sgangherata, dove anche il corpo umano, per sopravvivere, deve fare l’equilibrista tra smog, veleni e speranza.

In questi giorni, intanto, va in scena l’ennesimo teatrino istituzionale.
Una vera "querelle all’italiana", con lo Stato da una parte e gli enti locali dall’altra, che si passano un cerino acceso come se fosse una patata bollente.
Quel cerino si chiama ex ILVA – sì, proprio quella – la “fabbrica dei veleni”, la multinazionale del disastro ambientale.

E io lo dico con il cuore:
dello Stato non possiamo più fidarci, perché ci ha condannati da tempo.
Ma almeno dei nostri sindaci, quelli che dovrebbero rappresentare la comunità e difendere la salute pubblica, vorrei fidarmi ancora.

A voi, cari sindaci, non chiedo miracoli.
Chiedo coerenza. Coraggio. Onestà. E una cosa che sembra piccola ma è enorme: ascolto.
Non ascoltate solo gli amici di partito, i consulenti di fiducia o gli esperti delle mezze verità.
Ascoltate i cittadini, le associazioni, chi da anni studia, denuncia, propone.
E soprattutto, ricordatevi cosa dicevate in campagna elettorale quando promettevate partecipazione, trasparenza, ascolto.
Sì, proprio voi, quelli del "ascolteremo tutti", "la salute prima di tutto", "basta con le promesse vuote".

Ecco, è arrivato il momento di dimostrarlo.
Perché fare le interviste con parole vaghe, dicendo tutto e il contrario di tutto, non vi fa più apparire intelligenti: vi fa apparire complici.
E il vecchio gioco delle tre carte, francamente, ci ha rotto i cogl...ni.
Ops, scusate il francesismo… sarà la colecisti che ancora parla al posto mio 😅

Cari sindaci e amministratori, ci aspettiamo una decisione politica e non una scelta tecnica.
Perché la salute dei cittadini non si baratta.
Non basta un timbro, un progetto tecnico o un calcolo sulla carta.
Serve chi ha il coraggio di scegliere, di dire no a interessi economici che mettono a rischio la vita delle persone. Serve coerenza, trasparenza, ascolto vero — e soprattutto azione politica.

Perché di gente che si ammala, di figli che non possono respirare e di madri che piangono ce ne sono già fin troppi.
E da voi ci aspettiamo molto di più di belle parole: chiediamo responsabilità politica concreta.
Non per un favore, ma per un diritto: il diritto alla salute. 🌱

Concludo con una frase semplice:
Siate uomini. Siate umani. E vogliate davvero bene alla vostra gente.
Perché il rispetto non si impone, si guadagna.
E oggi il popolo ha bisogno di verità, non di slogan.

📘 Diario di bordo – N°7 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°7 | Luglio 2025

“Ci sono carezze che non passano dalle mani, ma dalle parole.”

In questi giorni in cui la mia strada si è fatta più incerta, piena di curve strette e salite impreviste, ho ricevuto un’ondata di messaggi, parole, abbracci virtuali e anche reali.
E sapete che vi dico?
Mi hanno fatto un gran bene.
Mi hanno dato quella spinta che serve quando hai le gambe molli e il cuore un po’ in disordine.
Perché dentro ogni vostro messaggio ho trovato carburante puro per l’anima, di quello buono, senza emissioni nocive.
E io lo trasformo in forza. In voglia di lottare. In gratitudine profonda.

Io sono quello che leggete.
Quello che non sa fingere.
Quello che ha fatto della trasparenza uno stile di vita, anche quando sarebbe stato più comodo starsene zitti o dietro le quinte.
Ho sempre pensato che la vita vada vissuta a volto scoperto, con tutte le rughe, le cicatrici e i graffi che ti porti addosso.
Il mio modo di essere è questo: darmi agli altri con ciò che so, che ho imparato, che ho sbagliato.
A volte mi espongo troppo, sì, e prendo delle sonore “botte”.
Ma fa parte del gioco.
Se sei vero, rischi sempre. Ma non potrei fare diversamente.

E sì, può darsi che a volte appaia scontroso.
Ogni tanto ho l’espressione da “guardia giurata della verità” e lo sguardo da “non rompere che già ho i miei pensieri”.
Ma ve lo dico col cuore in mano: non chiedetemi mai di scegliere tra “o con me o contro di me”.
Perché in quel caso – senza rancore ma con chiarezza – mi troverete contro.
Per me la libertà di pensiero è sacra. Più di un decreto, più di un partito, più di un dogma.

Adoro l’umiltà.
Le persone umili mi insegnano cose che nessuna enciclopedia potrà mai spiegarmi.
Sono il peggior nemico degli arroganti, dei furbetti, degli “esperti di tutto”, di quelli che sanno tutto ma non hanno capito niente.

E poi, diciamocelo:
in questo mondo pieno di gente che parla a caso, restare umani è già un atto rivoluzionario.
Quindi grazie a voi, amici miei, per esserci.
Perché in questa traversata un po’ burrascosa, le vostre parole sono state e saranno il mio giubbotto di salvataggio… e pure una pacca sulla spalla.

E ora vado.
Mi prendo cinque minuti di pausa per pensare…
Magari in silenzio… magari no…
Magari litigo con l’ecografo (che continuo a sospettare sia un porta sfiga professionista 😅).

giovedì 3 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°6 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°6 | Luglio 2025

“Quando il tempo rallenta, anche i pensieri fanno più rumore… e a volte pure la cistifellea.”

Inizia così questo nuovo capitolo.
Due giorni, due schiaffi. Uno fisico, l’altro morale.
Perché il 1° luglio, giorno del mio compleanno, invece di spegnere candeline e farmi gli auguri da solo davanti a una fetta di torta, ho pensato bene di regalarmi…
una bella ecografia.

Non una cena romantica, non un brindisi con gli amici, no, io sono il tipo che si festeggia con una visita medica, rigorosamente a pagamento, perché se aspetti l’ASL ti danno appuntamento direttamente nel presepe vivente del 2026.
Motivo?
Un dolore acuto e persistente sotto le costole a destra, che da un po’ si faceva sentire e che, giustamente, il mio corpo ha deciso di intensificare proprio nel giorno in cui avrei voluto solo pensare al futuro con un filo di leggerezza.

Risultato?
Dalla serie “quando piove, piove sul bagnato”:
un grosso calcolo alla cistifellea, accompagnato da altri piccoletti ben più pericolosi.
Diagnosi: da operare.
🎁 Buon compleanno a me e alla mia cistifellea!
Eccecavolooooooo!!!

E non è finita qui.
Perché il giorno dopo, 2 luglio, così – giusto per non farci mancare niente – mi arriva l’esito dell’istologico.
Via WhatsApp.
Sì, proprio così.
Nessuna chiamata, nessuna voce, una notifica e via. Come se ti dicessero che è finita la promozione sul tonno al supermercato.
Un referto che avrebbe meritato uno sguardo umano, un confronto, un tono di voce rassicurante...
E invece: bling, e ti crolla il respiro.

Sembra che mi tocchi una strada lunga, delicata, complicata.
E sinceramente, spero solo che non sia tutta in salita, perché oggi come oggi, moralmente non so se ho fiato e forza per arrivare in cima.

Ci provo, eh.
Mi alzo ogni giorno e ci provo.
A credere che ce la farò, che la vita può ancora sorprendermi in positivo, che il dolore non è per sempre.
Ma oggi – ve lo dico sinceramente – il sorriso lo porto fuori solo con lo scontrino.

Ringrazio chi mi sta vicino, chi mi scrive, chi mi legge in silenzio.
Scrivere è l’unico modo che conosco per tenere in ordine il caos.
E se ogni tanto uso l’ironia, è perché è la mia corazza più leggera e onesta.

E ora lasciatemi fare una domanda che mi tormenta da giorni...
Ma non sarà che è proprio l’ecografo che mi porta sfiga?! 😅

mercoledì 2 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°5 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°5 | Luglio 2025

“Quello che non vorresti mai leggere, e invece lo leggi. E ti cambia il respiro.”

Quello che non volevo sentire…
Quello che avrei voluto rimandare all’infinito…
E invece è arrivato.
Con la freddezza di un messaggino WhatsApp.
Sì, proprio così: un esito istologico comunicato via WhatsApp, come fosse la lista della spesa o un meme da condividere.
Una notizia che meriterebbe silenzio, tatto, voce. Invece: bing, notifica, gelo.

È dura, amici miei.
Sembra che mi tocchi una lunga strada da percorrere.
E sinceramente, spero con tutto il cuore che non sia tutta in salita… perché oggi, così come mi sento ora, moralmente non so se avrò il fiato per arrivare in cima.

Mi sto sforzando di non crollare.
Mi ripeto che il coraggio non è non avere paura, ma affrontarla anche quando tremi dentro.
Ma lasciatemelo dire: oggi il mio coraggio è in mutua.

C’è una parte di me che vorrebbe scomparire per un po’, spegnere il mondo, mettere in pausa tutto.
E poi ce n’è un’altra, testarda, che mi sussurra: “non è finita, la salita forse ti mostrerà orizzonti che nemmeno immagini…”

A chi sta affrontando battaglie simili alla mia: vi stringo forte.
A chi mi vorrà restare accanto: grazie, di cuore.
Non so dove mi porterà questa strada, ma una cosa è certa: non la farò fingendo di stare bene, ma affrontandola per quella che è. Con le mie fragilità, i miei silenzi e, quando possibile, con un sorriso vero.

Oggi niente frasi ironiche.
Oggi solo la cruda verità.
Ma anche nei giorni più duri, questo diario resta aperto.
Perché scrivere è il mio modo di non perdere il filo, di tenermi aggrappato alla vita.

📘 Diario di bordo – N°4 | Giugno 2025

📘 Diario di bordo – N°4 | Giugno 2025

🚴‍♂️ GIRO COMPLETATO. CIMA RAGGIUNTA. ORA LA DISCESA (sperando che i freni tengano!)

Ed eccoci qui. Altro giro, altra tappa. È il mio compleanno. Un giorno come gli altri? Forse. Ma si sa: ogni giro di boa va celebrato, anche solo con un sorriso ironico e un respiro profondo.

🎂 Gli anni cominciano ad essere un bel pacco gara… e quella famosa “cima”, quella del mito, l’abbiamo raggiunta. Sì, ho già “scollinato”. Ora sono in discesa, e se tutto va bene, senza mani! Ma con la speranza che i freni reggano, soprattutto quelli del buon senso e della salute.

🛠️ Ovviamente, come ogni buon ciclista di lungo corso, ho dovuto fermarmi a fare qualche pit-stop: un tagliando qui, una revisione là, un check ai battiti, uno sguardo ai pensieri storti. Perché la meccanica – soprattutto quella umana – ogni tanto fa i capricci. Ma siamo ancora in corsa, e con dignità.

😄 Non corro più per dimostrare nulla, ma per godermi il vento in faccia, le storie vissute, gli abbracci veri e i progetti che ancora bruciano sotto la pelle. La strada è meno lunga di ieri, ma è tutta da vivere.

🧠 E poi c’è il carattere. Il mio. Un po’ scontroso a volte, vero. Non sempre facile da domare, ma mai fasullo. Non mi sono mai piegato ai venti del convenzionale, e ho sempre preferito una parola sincera a cento inchini inutili. La vita è una ruota, gira per tutti, e quando sei in salita impari chi sei. Ma anche in discesa serve equilibrio. Ed è lì che si vede la stoffa.

💬 Non sono perfetto, ma sono autentico. Ho il vizio di dire la mia, anche quando sarebbe più comodo stare zitto. Ma l’ho imparato col tempo: chi tace sempre, a furia di ingoiare, si dimentica il gusto della verità.

🎈Oggi ringrazio chi ha corso con me, chi ha tenuto il passo, chi mi ha aspettato ai box, chi mi ha fatto compagnia anche solo per un tratto. E un pensiero a chi non c’è più, ma ha lasciato segni preziosi sulla mia mappa interiore.

La corsa continua. Più lenta? Forse. Ma ancora con la voglia di guardare avanti e vivere con la catena ben oliata e il cuore in salita.
Buon compleanno a me. 🎂🥂

giovedì 26 giugno 2025

📘 Diario di bordo – N°3 | Giugno 2025.

📘 Diario di bordo – N°3 | Giugno 2025.

Riflessioni serali in un momento di fantasia sfrenata durante un attacco di leggera paranoia (versione soft).

C’è un momento, quasi sempre dopo cena, in cui la mia mente — invece di rilassarsi — decide di fare le prove generali per una nuova serie Netflix dal titolo: “Ma dove stiamo andando a finire?”
La trama è semplice: il mondo è nel caos, la gente impazzisce, la politica deraglia, la natura si ribella… e io sogno.

Sì, sogno.
Sogno un posto come quello della foto che ho davanti agli occhi.
Una spiaggia al tramonto, una coperta, due cuscini, un falò, una bottiglia di vino, e il silenzio interrotto solo dal suono delle onde.
Niente notifiche, niente bollette, niente telegiornali che sembrano horror, niente polemiche social da tastiera.
Solo natura, calma e un briciolo di pace interiore che non guasta mai.

Nel frattempo, nella realtà, il mondo si comporta come un bambino capriccioso con la febbre a 40.
Le guerre aumentano, i prezzi salgono, i diritti scendono e la stupidità... vola.
Sembra che la serenità collettiva sia stata dichiarata fuorilegge o peggio ancora, considerata comunismo romantico.

E allora mi rifugio in questi pensieri.
Sogno di brindare con qualcuno che non parli di guerra, ma di sogni.
Di guardare il fuoco e non il fuoco incrociato di notizie che fanno a pugni con la verità.
Di stare in riva al mare come se fosse l’unica vera patria possibile.

Lo so, magari è una fuga.
Ma a volte evadere con la mente è l’unico atto rivoluzionario rimasto.

Perciò, se mi cercate, sappiate che mentalmente sono lì.
Sulla sabbia.
A discutere con le stelle e a ridere con la luna.
Col bicchiere mezzo pieno (di rosso), anche se – diciamolo – il vino mi è stato rigorosamente proibito dal medico.
Quindi sì, lo ammetto: è una trasgressione puramente immaginaria, un brindisi alla salute fatto solo con la mente.
Ma che volete… anche la fantasia ogni tanto ha bisogno di ubriacarsi di libertà.

📘 Diario di bordo – N°2 | Giugno 2025

📘 Diario di bordo – N°2 | Giugno 2025

Ieri pomeriggio ho ricevuto uno di quei messaggi che ti cambiano il battito per qualche secondo, ma poi ti rimettono in pace con il mondo.
Un mio caro amico, ex collega di lavoro, mi ha scritto per dirmi che dopo circa 70 lunghissimi giorni ha finalmente ricevuto l’esito della sua biopsia.
Ed è tutto ok.
Sospiro di sollievo e un gran sorriso.

Sono felicissimo per lui.
Perché è una di quelle persone che ti fanno ancora credere nella bontà umana: sincero, genuino, leale.
E non lo dico tanto per dire. Durante i miei giorni di ricovero, si è preso la briga di venirmi a trovare in clinica. E sai, non è scontato. Quelle visite che sembrano piccole, ma ti scaldano il cuore come una coperta in pieno inverno.
Un gesto che porta dentro una stima profonda, vera.

Caro amico mio, questa vittoria è anche un po’ mia.
E ora incrocio le dita per me. 🤞

L’attesa del referto, come ben sai, è una di quelle esperienze che ti fanno diventare un misto tra un monaco zen e una pentola a pressione.
Cerchi di respirare, ma dentro ti sale un nervosismo che nemmeno tre camomille e un corso di yoga tantrico riescono a placare.
Eppure si resiste. Si va avanti.
Io non demordo. Aspetto. Con il sorriso (o almeno ci provo).

Ah, quasi dimenticavo:
in molti mi avete scritto chiedendomi dove acquistare il mio libro.
Ora, lasciate che ve lo dica chiaro:
non ho scritto nessun libro!
Non ho firmato contratti con Mondadori, non mi hanno chiamato da Feltrinelli, e nemmeno mia zia mi ha proposto di farmi stampare qualche pagina su carta da forno. 😅

Dovete accontentarvi dei miei "sfoghi social" dove, come un piccolo giullare digitale, metto in piazza emozioni, pensieri, battute e riflessioni.
Con un pizzico di ironia, una spruzzata di sarcasmo, e quel tocco di colore che serve per sdrammatizzare le cose serie e rendere leggere anche le giornate più pesanti.

E ora scusate, ma vado a controllare se per caso nel frattempo è arrivato l’esito anche per me...
(altrimenti, passo direttamente alla fase 2: interrogare le stelle o corrompere il postino!) 🌠📬😄

A presto amici miei.
Con affetto e sempre con un pizzico di follia (quella buona).
p.s. sopportatemi per quello che sono. 🤷‍♂️

lunedì 23 giugno 2025

📔 Diario di Bordo – N.1, Giugno 2025"Ospedali, odori e umanità perduta (o forse ritrovata)"

📔 Diario di Bordo – N.1, Giugno 2025
"Ospedali, odori e umanità perduta (o forse ritrovata)"

Dopo essere uscito dalla clinica per quel "problemino" che, più o meno, tutti quanti sapete (e gli altri lo immaginano), mi faccio coraggio e decido di tornarci… ma solo per chiedere la copia della cartella clinica.
Un’operazione semplice, penserete voi. E invece no. Perché nulla è semplice in Italia, soprattutto in sanità pubblica… soprattutto se il termometro segna temperature da deserto del Sahara.

Arrivo, cerco di individuare una fila che fila non è: una massa informe di esseri umani, chi con la faccia smarrita, chi con la pazienza già terminata, chi con l’aria di chi si è arreso da tempo. Tentar non nuoce, mi dico, e provo a mettermi in coda, o meglio… in una coda, perché di code vere non ce n'è. Intuisco a istinto chi potrebbe essere arrivato prima, cerco sguardi complici, sorrido con fare mansueto, ma l'ordine di arrivo resta una scienza arcana.
Nel frattempo, la calura rende l’aria densa. Vi giuro che le narici imploravano pietà. La situazione, per capirci, era in pieno stile tragico Fantozzi, con gli effluvi delle ascelle dei presenti che avrebbero potuto stendere anche un elefante africano.

Mentre sto per svenire – più per lo sconforto che per gli odori – noto una coppia di anziani. Lui visibilmente preoccupato, lei piegata dal dolore, in piedi a stento. Una scena che ti stringe il cuore. Mi permetto, con rispetto, di dire che potevano passare avanti. Qualcuno mormora, ma io me ne frego: in certi casi, l’umanità deve prevalere sul formalismo.

Quando arrivano allo sportello del CUP, ascolto con attenzione. Hanno bisogno di una TAC urgente. La risposta? "Non prima di sei mesi." La disperazione negli occhi di quei due è una lama. Lui, con uno scatto di dignità, dice:
"Allora pago, ma la facciamo subito."
Prezzo? 400 euro.
Lei, con un filo di voce e le lacrime che scendono come pioggia leggera, gli sussurra:
"Lascia stare… non possiamo permettercelo."

Vi giuro che in quel momento ero pronto a tirar fuori i soldi e iniziare una colletta. Mi tremava il cuore. Ma non ce n’è stato bisogno. Una delle addette del CUP, una donna che voglio ringraziare pubblicamente anche se non conosco il nome, prende il telefono e dopo dieci minuti, che sono sembrati un secolo, riesce a fissare la TAC per il giorno dopo all’ospedale Di Venere di Bari.

Ecco, la buona sanità non è solo fatta di sistemi informatici all’avanguardia, sale operatorie high-tech o direttori generali in giacca e cravatta. La buona sanità è fatta dalle persone, da chi mette cuore e testa oltre le regole, oltre i protocolli. È fatta da chi, anche in un’Italia sgangherata, non si dimentica mai di essere umano.

Faccio appena in tempo a commuovermi e a gioire per il lieto fine, che arriva il mio turno. È fatta, penso, con l’ingenuità di un bambino davanti al gelato.
Inserisco la carta nel POS… e la linea comincia a dare i numeri. Tre tentativi, quattro, cinque… sudore freddo e rischio blocco carta.
Nel frattempo gli odori in sala raggiungono picchi da allarme chimico.
Finalmente, dopo un’esalazione particolarmente letale che mi ricorda l’inferno dantesco, il pagamento passa.

Cartella richiesta. Ora attendo. Anzi no, resisto!

E se qualcuno pensa che mi basti questo piccolo traguardo… beh, si sbaglia.
Sono pronto alla prossima missione, magari con un kit di sopravvivenza da CUP: mascherina profumata, bottiglietta d’acqua e, perché no, un po’ di fiducia nel genere umano.

Alla prossima, con meno ascellari e più umanità.
🖋– Giovanni, viaggiatore instancabile nelle corsie della nostra sanità pubblica.

🗞 Cronache da un futuro passato – N°8, Ottobre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato – N°8, Ottobre 2025 "Il gelo delle parole e il fuoco della coscienza." Resterà impres...