sabato 2 agosto 2025

📝 Diario di bordo n° 20 – agosto 2025

📝 Diario di bordo n° 20 – agosto 2025
🗣 Il diritto di respirare.

Ci sono numeri che fanno più rumore del silenzio.
Numeri che non hanno bisogno di essere urlati, perché gridano da soli.
Undicimilacinquecentocinquanta.
È il numero dei morti stimati in sette anni per cause legate all’inquinamento industriale a Taranto. Tumori ai polmoni, malattie cardiovascolari, patologie ematologiche. Undicimila vite spente lentamente, senza processi, senza sentenze. Solo diagnosi. E funerali.

Questi non sono dati “emozionali”. Sono numeri usciti dalle aule di giustizia e dagli studi dell’ASL e della Regione Puglia. Numeri certificati da scienza e coscienza. Numeri che parlano anche di noi, di Statte, dei nostri quartieri, delle nostre famiglie.

Sì, perché anche noi di Statte siamo dentro quella mappa del dolore. Anche noi siamo parte di quel territorio ferito, contaminato, disilluso. I dati dello studio epidemiologico lo dicono chiaro: l’esposizione agli inquinanti industriali aumenta sensibilmente il rischio di tumori, infarti e morte precoce. E tra Taranto, Massafra e Statte, non c’è molta differenza: cambia il nome sulla carta d’identità, non la quantità di veleni che respiriamo.

A Statte viviamo da anni accanto a un mostro che non abbiamo voluto, ma che ci siamo ritrovati addosso. Ci hanno dato promesse, compensazioni, illusioni. E nel frattempo i nostri polmoni, i nostri cuori, i nostri linfonodi accumulavano diossina, polveri, metalli pesanti. Non per scelta, ma per prossimità.

Quante volte abbiamo sentito dire: “non ci sono prove certe”, “non si può attribuire un singolo tumore a una ciminiera”… ma adesso c’è scritto nero su bianco che vivere vicino all’industria ti accorcia la vita.
E noi che viviamo a Statte lo sappiamo già. Lo abbiamo visto sulle facce delle persone, nei corridoi d’ospedale, nei lutti troppo frequenti e nelle diagnosi che arrivano come fulmini su cieli già carichi.

Oggi più che mai sento il bisogno di dire che non si può più far finta di niente.
Statte non è solo il “vicino di casa” dell’Ilva. Statte è parte della storia industriale e ambientale di questa terra, ne è vittima e – se lo vuole – può diventare anche protagonista della rinascita.

Ma bisogna volerlo, e non solo con i proclami.
Bisogna smetterla con la rassegnazione, con il fatalismo, con la paura di disturbare.
Bisogna pretendere dati pubblici, bonifiche reali, progetti sanitari concreti.
E bisogna anche continuare a prendersi cura del proprio territorio, con gesti semplici ma profondi. Come piantare un albero. Come togliere un vetro da terra. Come raccontare una verità.

Perché ogni albero che piantiamo è un atto di resistenza. Ogni parola detta è un seme di coscienza.
E perché alla fine, quello che si stà chiedendo non è niente di straordinario: vogliamo solo il diritto di respirare senza ammalarci.

E quando vedo le mani sporche di terra dei bambini che piantano un alberello, penso che forse c’è ancora speranza: quella pianta crescerà insieme a loro, e con lei potrebbe nascere un futuro diverso, più giusto, più verde, più umano.

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