giovedì 24 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°15 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°15 | Luglio 2025
"Prima seduta… e sono ancora qua, eh già!"

Ebbene sì, amici miei.
Sono ancora vivo, spossato ma vivo.
E già solo questo è motivo sufficiente per brindare — idealmente, eh, che lo spumantino per adesso resta un miraggio proibito!

Ma andiamo con ordine.

Ore 8:15. Puntualissimo come sempre (che se c’è da pagare una multa arrivo in ritardo, ma se c’è da affrontare la chemio mi presento in smoking e cravatta mezz’ora prima).
Stamattina ho guidato io, ma con la consapevolezza che al ritorno avrei lasciato il volante a mio figlio, perché dopo certe infusioni non si gioca a fare l’Ayrton Senna di Statte.

Arrivo in clinica, bypasso l’ascensore come un ventenne atletico (almeno nella testa) e affronto le scale.
Ad ogni piano trovo la Madonnina, quella statuina di gesso che ormai è più presente della sanità pubblica.
La osservo, le faccio l’occhiolino e penso: “Tranquilla, ce la metto tutta. Ma se puoi, dammi una spintarella invisibile ogni tanto, che male non fa.”

Al secondo piano la sala è gremita.
Un’aria silenziosa, sospesa. Ci sono parenti che aspettano, pazienti già sotto terapia e io…
Curioso come un bambino che sbircia dietro il sipario prima dello spettacolo, mi aggiro per il corridoio alla ricerca della stanza del destino.

Ed eccola lì: una porticina discreta, due lettini, atmosfera sobria.
Tranquilli, nessuno strumento di tortura medievale in vista, solo flebo, aghi e un silenzio rotto dai bip e dai pensieri.

Arriva lei: l’infermiera tuttofare.
L’unica, la sola, la donna invisibile ma onnipresente che fa tutto: ti accoglie, ti consola, ti infila l’ago con la delicatezza di un origamista giapponese, ti dà consigli, ti cambia la biancheria del letto e – se potesse – ti farebbe pure il caffè.
Una professionista vera, una di quelle che se ne avessimo tre per reparto, altro che sanità a rischio collasso.

Alle 9 in punto mi accomodo sul lettino, di fianco a un altro paziente.
Disorientato, dimentico perfino di salutarlo (e sì che io di solito stringo mani anche agli alberi!).
La terapia parte. Il tempo si ferma. O forse rallenta.

Per due ore e mezza mi fa compagnia il cellulare e i messaggi di mio figlio, che da fuori stanza insieme a mia moglie mi accompagna col pensiero e col cuore.

Poi... il bip finale.
È fatta.
Mi alzo, con la grazia di un elefante uscito da una centrifuga, e vado via.

L'uscita dall’ospedale è epica.
Caldo torrido, sole a picco, tre passi e già rimpiango l’aria condizionata del reparto.
Mi sento come un reduce dalla battaglia, ma con una medaglia al collo invisibile: quella del coraggio quotidiano.

E ora che sono qui, a casa, stanco ma integro,
conservo dentro di me la forza silenziosa di chi ha affrontato la prima tappa di un lungo viaggio.
Un viaggio che non ho scelto, ma che affronto con la mia solita ironia, con le scarpe ben allacciate e lo sguardo avanti.

A chi è nella mia stessa situazione, o ci finirà,
voglio dire questo: la chemio non ti definisce, la tua forza sì.
E anche quando tutto sembra difficile, ricordati che ogni singolo giorno vissuto con dignità e coraggio è una vittoria.

Alla prossima puntata, amici.
Restate connessi, che la nave continua a navigare.
Anche tra le onde più alte.
p.s. in un prossimo capitolo vi parlerò della madonnina onnipresente in ogni luogo di cura con alcune mie riflessioni.

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