venerdì 25 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°16 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo n°16 – Luglio 2025
“Quando tutto va a rotoli, lei c’è sempre (e non serve nemmeno il Green Pass!)”

C'è un dettaglio che si ripete in tutte le cliniche, ospedali, ambulatori e case di cura d’Italia.
No, non è la macchinetta del caffè che sputa bicchieri roventi.
Non è nemmeno la sedia di plastica scricchiolante in sala d'attesa.
È lei, la Madonnina di corridoio, ferma lì in un angolo, a metà tra il silenzio e il miracolo.

Ieri mattina salgo le scale del reparto oncologico, rigorosamente a piedi per tenermi “in forma”, anche se a ogni gradino il cuore sembrava urlare “ma chi me l’ha fatto fare?”.
Alzo gli occhi, e come ogni volta, eccola lì, con le mani aperte, lo sguardo sereno, avvolta da un'aura che sa di cerotti e speranza.

Se tutto va a rotoli, lei c'è sempre. E un motivo ci sarà.

Sarà che in certi luoghi si respira fragilità, si tocca la sofferenza, si accarezza la paura...
E allora lì, accanto alle flebo e alle cartelle cliniche, compare sempre una figura familiare, silenziosa ma presente, immobile ma fortissima: la Madonna.

Pensateci un attimo.
Chi di noi non l’ha mai vista?
In ogni corsia, sopra un mobile, in cima a una colonna, su un altarino con centrino ricamato e fiori finti?
È una costante.
Come il “torni tra sei mesi” o il “deve attendere il suo turno”.

Ed è proprio lì che ti chiedi: ma perché, in ogni reparto, in ogni clinica, c’è una Madonnina?

La risposta non è tecnica, ma umana.
Perché quando non sai più a chi rivolgerti, ti rivolgi a chiunque possa ascoltarti anche senza parlare.
E lei è lì per questo: per chi crede, per chi spera, per chi ha finito le parole ma ha ancora una lacrima da versare.

Non sono un cristiano modello, lo ammetto.
Non vado in chiesa, né la domenica né il mercoledì di metà settimana.
Ma quando la vita ti sbatte in faccia la sua durezza, anche il più laico tra gli uomini si appende a una preghiera sgrammaticata.

E poi, non è una cosa nuova.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, nei campi di battaglia e negli ospedali da campo, la prima cosa che i soldati e le infermiere facevano era sistemare un’icona della Madonna accanto al ferito.
Non c’erano antibiotici, né rianimazioni, ma una carezza al cuore faceva miracoli anche senza bisturi.

Anche mia madre, che da brava donna del Sud ha più fede che Wi-Fi in casa, ogni volta che mi chiama mi dice la stessa frase:

> “Affidati a Lei, la Madonnina non lascia nessuno solo.”

E io ci penso.
Forse non sarà miracolosa, non mi curerà lei…
Ma intanto mi guarda. E non scappa.

E se la fede è un salvagente, io in questi giorni me lo stringo forte, anche se sgonfio, anche se malandato, perché mi aiuta a rimanere a galla in questo mare che ogni tanto fa paura.

Quindi sì, ieri salendo quelle scale l’ho vista e l’ho salutata.
Non ad alta voce, non con un’Ave Maria, ma con uno sguardo e un pensiero:

> “Oh Madò, stammi vicino... che qui ci stanno cose che manco la scienza capisce.”

🎭 E voi che leggete, vi dico questo:
Se vi capita di passare davanti a una Madonnina in corsia, non abbiate timore di fermarvi.
Anche solo un secondo, anche solo per dire "grazie" o "aiutami" o solo per stringere gli occhi e respirare.
Lei non giudica.
Lei non fa diagnosi.
Ma sa ascoltare senza mai interromperti.

E se proprio va male... beh, una preghiera può fare più di una TAC.
O quanto meno, ti fa sentire meno solo in sala d’attesa.

giovedì 24 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°15 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°15 | Luglio 2025
"Prima seduta… e sono ancora qua, eh già!"

Ebbene sì, amici miei.
Sono ancora vivo, spossato ma vivo.
E già solo questo è motivo sufficiente per brindare — idealmente, eh, che lo spumantino per adesso resta un miraggio proibito!

Ma andiamo con ordine.

Ore 8:15. Puntualissimo come sempre (che se c’è da pagare una multa arrivo in ritardo, ma se c’è da affrontare la chemio mi presento in smoking e cravatta mezz’ora prima).
Stamattina ho guidato io, ma con la consapevolezza che al ritorno avrei lasciato il volante a mio figlio, perché dopo certe infusioni non si gioca a fare l’Ayrton Senna di Statte.

Arrivo in clinica, bypasso l’ascensore come un ventenne atletico (almeno nella testa) e affronto le scale.
Ad ogni piano trovo la Madonnina, quella statuina di gesso che ormai è più presente della sanità pubblica.
La osservo, le faccio l’occhiolino e penso: “Tranquilla, ce la metto tutta. Ma se puoi, dammi una spintarella invisibile ogni tanto, che male non fa.”

Al secondo piano la sala è gremita.
Un’aria silenziosa, sospesa. Ci sono parenti che aspettano, pazienti già sotto terapia e io…
Curioso come un bambino che sbircia dietro il sipario prima dello spettacolo, mi aggiro per il corridoio alla ricerca della stanza del destino.

Ed eccola lì: una porticina discreta, due lettini, atmosfera sobria.
Tranquilli, nessuno strumento di tortura medievale in vista, solo flebo, aghi e un silenzio rotto dai bip e dai pensieri.

Arriva lei: l’infermiera tuttofare.
L’unica, la sola, la donna invisibile ma onnipresente che fa tutto: ti accoglie, ti consola, ti infila l’ago con la delicatezza di un origamista giapponese, ti dà consigli, ti cambia la biancheria del letto e – se potesse – ti farebbe pure il caffè.
Una professionista vera, una di quelle che se ne avessimo tre per reparto, altro che sanità a rischio collasso.

Alle 9 in punto mi accomodo sul lettino, di fianco a un altro paziente.
Disorientato, dimentico perfino di salutarlo (e sì che io di solito stringo mani anche agli alberi!).
La terapia parte. Il tempo si ferma. O forse rallenta.

Per due ore e mezza mi fa compagnia il cellulare e i messaggi di mio figlio, che da fuori stanza insieme a mia moglie mi accompagna col pensiero e col cuore.

Poi... il bip finale.
È fatta.
Mi alzo, con la grazia di un elefante uscito da una centrifuga, e vado via.

L'uscita dall’ospedale è epica.
Caldo torrido, sole a picco, tre passi e già rimpiango l’aria condizionata del reparto.
Mi sento come un reduce dalla battaglia, ma con una medaglia al collo invisibile: quella del coraggio quotidiano.

E ora che sono qui, a casa, stanco ma integro,
conservo dentro di me la forza silenziosa di chi ha affrontato la prima tappa di un lungo viaggio.
Un viaggio che non ho scelto, ma che affronto con la mia solita ironia, con le scarpe ben allacciate e lo sguardo avanti.

A chi è nella mia stessa situazione, o ci finirà,
voglio dire questo: la chemio non ti definisce, la tua forza sì.
E anche quando tutto sembra difficile, ricordati che ogni singolo giorno vissuto con dignità e coraggio è una vittoria.

Alla prossima puntata, amici.
Restate connessi, che la nave continua a navigare.
Anche tra le onde più alte.
p.s. in un prossimo capitolo vi parlerò della madonnina onnipresente in ogni luogo di cura con alcune mie riflessioni.

📘 Diario di bordo – N°14 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°14 | Luglio 2025
"Notte prima degli esami... anzi no, della chemio!".

E sì, amici miei cari, mentre il mondo si divide tra chi balla al ritmo del reggaeton in spiaggia, chi accende il barbecue con 40 gradi all’ombra e chi suda solo al pensiero di camminare fino al frigo, io... mi preparo alla mia prima "appuntamicina" con la signorina Chemio.

È la notte prima del “grande giorno”.
Altro che maturità o test universitari.
Io domani alle 9 spaccate, mica devo compilare quiz a crocette o scrivere un tema d’italiano.
No no.
Io ho appuntamento con un cocktail esplosivo, shakerato dalla farmacologia moderna, servito direttamente, senza olive e con un retrogusto di "vinca alcaloide con note agrumate di nausea".

Dovrei dormire, lo so.
Invece?
Google è il mio psicoterapeuta notturno.
Cerco:
“Effetti collaterali chemio prima seduta”,
“sintomi più comuni chemio”,
“come sopravvivere al primo giorno di chemio senza sembrare un cencio da spolvero”.
Risultato?
Un horror degno di Stephen King.
Vomito, nausea, debolezza, stanchezza, sbalzi d’umore, crisi esistenziale, voglia di mangiare solo crackers e guardare fiction turche.

E mentre leggo tutto ciò, tra una ansia e l’altra, il termometro fuori segna 27 gradi alle 01:47.
Certo, perché se devi affrontare la chemio, almeno che non sia in piena estate, perchè ti tocca sudare come un ghiacciolo dimenticato sul cofano di una Panda del ‘95. Invece a me tocca proprio il periodo peggiore, l'estate di fuoco. 😱

Ma sapete una cosa?
Nonostante tutto questo, domani io ci vado.
Sì, ci vado con il sorriso, con lo zaino pronto e una playlist di battute idiote da sparare all’infermiera, se la trovo di buon umore (altrimenti le offro un caffè).
Perché non sarà la chemio a decidere il mio umore. Lo decido io.

E quando leggerete questo post — programmato per essere pubblicato alle ore 9 precise di giovedì 24 luglio, mentre io sarò già lì, sdraiato su un lettino a fare amicizia con la flebo — sappiate che non sarò solo. Oltre a mia moglie e mio figlio in clinica con me, ci sarete tutti voi.
Perché questa avventura voglio viverla condivisa, con sarcasmo, cuore e quella sottile arte dell’auto-supercazzolamento, che salva l’anima anche quando il corpo è sotto attacco.
Quindi forza, signora Chemio.
Si accomodi.
Ma sappia che io non mi piego. Al massimo mi stendo un attimo, poi mi rialzo.

Ci vediamo dopo, cari lettori.
Ora poso il cellulare, mi avvolgo nel lenzuolo come un involtino primavera e provo a dormire.
Che domani si parte, e il coraggio, come sempre, lo porto io.

lunedì 21 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°13 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°13 | Luglio 2025
Un racconto tra l’assurdo e il tragicomico, con una punta di Fantozzi e una dose intera di quell’ironia che sa sopravvivere anche quando la sanità pubblica ti dà appuntamento… con l’eternità.

“La visita cardiologica e il viaggio nel tempo”.

Qualche settimana fa, carico di speranza e con la potenza del mio nuovissimo codice 048 — quello che dovrebbe aprirti le porte della sanità pubblica come Mosè con il Mar Rosso — mi siedo alla scrivania, apro il portatile e accedo al celebre portale “Puglia Salute”.
Obiettivo: prenotare una visita cardiologica.

Inserisco tutti i dati, codice fiscale, esenzione, magari pure l’oroscopo, e...
✨MAGIA!✨
Compare una disponibilità per il 21 luglio presso l’ospedale di Grottaglie.
"Ma guarda un po’!", esclamo tra me e me, quasi commosso.
Altro che liste d’attesa eterne… stavolta ho avuto culo!
(Scusate il francesismo, ma quando ci vuole, ci vuole).

Prenoto online, stampo la ricevuta con la stessa fierezza di uno che ha appena ricevuto il passaporto per la Svizzera… sanitaria.
Per una volta, niente strutture private, niente bonifici, niente vendite di organi su eBay per potermi curare.

E oggi eccoci qui.
21 luglio.
Mi sveglio, doccia, barba, deodorante sotto le ascelle (che non si sa mai).
Ore 10:00, salgo in macchina con Google Maps in modalità “eroico”.
Mezz’ora dopo sono a Grottaglie, girovago 15 minuti per trovare parcheggio — perché l’ospedale è giustamente circondato da un deserto... tranne che per i parcheggi, dove c'è la densità di Tokyo.

Entro nel reparto.
Sala d’attesa piena di anime pazienti — nel vero senso della parola.
Chiedo come segnalare la mia presenza.
“Attenda… prima o poi qualcuno uscirà”, mi dicono con lo stesso tono con cui si descrive l’apparizione della Madonna a Lourdes.
Finalmente si apre una porta.
Scatta il riflesso da Usain Bolt:
consegno orgogliosamente la prenotazione.
Un’infermiera gentile la prende e mi dice che ci sono solo due pazienti prima di me.
Bene! Penso. Stavolta fila tutto liscio.
Ma...
Plot twist.
Una seconda infermiera esce dalla stanza e chiede con tono solenne:
“Chi è il signor Pugliese?”
Eccomi! Dico io, col sorriso del bambino a cui stanno per dare il gelato.
“Signor Pugliese, vede... il giorno è corretto, il mese anche... ma purtroppo l’anno è sbagliato: la sua prenotazione è per il 21 luglio 2026”.

DUEMILAVENTISEI !!!

In quel momento ho visto la mia anima separarsi dal corpo e dirigersi verso il distributore automatico per cercare conforto in una crostatina del 2019.
Mi sentivo come Fantozzi davanti alla visita col professor Kranz, con in sottofondo un coro di “TAA-TA-TA-TAAA”.

Mestamente, sono tornato a casa.
Muto. Sconfitto. Un uomo. Un 048. Ma soprattutto… un viaggiatore del tempo.
Forse dovrei cominciare a prenotare anche la colonoscopia del 2030, che non si sa mai.

E quindi, miei cari lettori di disavventure sanitarie:
alla fine mi sa che toccherà di nuovo pagare di tasca mia, come sempre, perché tra le liste d’attesa e le speranze disilluse, qui il cuore rischia di scoppiare prima di essere visitato.

Ma attenzione, perché noi non molliamo!
Anzi, la prossima volta magari provo a prenotare con una DeLorean.
O con Doc di Ritorno al Futuro al centralino.

Nel frattempo…
resistiamo, ridiamo, ci curiamo — quando ci riescono — e continuiamo a raccontarla, perché la risata, anche quella amara, è pur sempre medicina.

sabato 19 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°12 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°12 | Luglio 2025
“Chiamarlo per nome”

Il giorno si avvicina.
Quel famoso 24 luglio ormai è lì, dietro l’angolo, che mi guarda come a dire: “Allora, sei pronto?”
E io?
Io lo guardo a mia volta. Lo squadro. Lo scruto. Lo osservo con un misto di sfida e rispetto.
Perché sì, lo ammetto, la notte qualche pensiero si affaccia senza bussare, e non sempre riesco a mandarlo via.
Si insinua come una corrente d’aria che passa sotto la porta, invisibile ma presente.
Mi giro, mi rigiro, e poi mi alzo a bere un sorso d’acqua o a fissare il soffitto, come se lì sopra ci fosse scritta qualche risposta.

Ma poi mi dico:
Pazienza.
Perché non è tempo di piangersi addosso.
È tempo di guardarlo in faccia, questo male.
Chiamarlo per nome.
Parlargli con il tono fermo di chi non si arrende.
Dargli del tu.
Senza paura, senza deferenza, senza farlo diventare più grosso di quello che è.
È un ospite indesiderato, arrogante, entrato senza chiedere permesso.
E allora io lo tratto per quello che è: un abusivo da cacciare.

Non sarà semplice, lo so.
Me lo ha detto la dottoressa. Me lo dice il corpo. Me lo dice la testa.
Ma non sono solo.
Sono circondato da amici, familiari, conoscenti, e perfino da chi non conosco bene ma mi scrive parole che arrivano dritte al cuore.
Sono quelle parole, quei gesti, quei silenzi pieni di presenza, che mi aiutano a non perdere il passo.

Il 24 sarà un giorno qualunque e insieme un giorno speciale.
Segnerà l’inizio di un nuovo tratto di strada.
Un percorso magari accidentato, pieno di curve e qualche salita.
Ma, come ho già detto, se la strada è in salita, vorrà dire che sto andando verso l’alto.

E allora, anche stanotte se non dormirò, pazienza.
Anche se il cuore peserà più del corpo, pazienza.
Mi stringerò la mano da solo, e poi mi ricorderò di tutte le mani che mi tengono stretto da lontano.

Perché questa battaglia non è solo mia.
È di tutti noi che viviamo, resistiamo, curiamo e ci facciamo curare.
È dei medici che ci trattano come persone e non come numeri.
È di chi combatte ogni giorno anche solo per tenere accesa una piccola luce dentro.

Alla prossima tappa, amici.
Con lo sguardo fiero, il passo lento ma sicuro, e il cuore che, anche se ogni tanto barcolla, non molla. Mai.

📘 Diario di bordo – N°11 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°11 | Luglio 2025

“Giovanni 048, per servirvi (con un modulo timbrato e un pizzico d’autoironia)”

Mattinata interamente dedicata a una delle attività più “entusiasmanti” che la malattia ti regala nel pacchetto completo: la burocrazia.
Già, perché oltre a ricoveri, esami, ecografie e referti spediti su WhatsApp come fossero volantini del supermercato, ti tocca pure rincorrere carte, firme e sigle come se partecipassi a un reality: “Chi vuole diventare un esente fiscale?”

Stamattina, con tutta la mia dignità ben stirata, mi sono presentato all’ASL per ottenere l’esenzione 048, quella riservata ai malati oncologici.
Sì, proprio quella.
Quella che qui a Taranto conosciamo tutti fin troppo bene, ancora prima di sapere l’ora esatta del Telegiornale.
Un numero che, come ho scritto tempo fa in un mio post, fa venire i brividi solo a pronunciarlo.

> “A Taranto basta sentire ‘048’ per sentire un brivido. Non è un numero qualsiasi: è il codice di esenzione per patologie oncologiche. Un codice che, se da un lato garantisce cure gratuite, dall’altro è un marchio silenzioso, una ferita aperta che accomuna troppe famiglie. [...]”

Quel post lo scrissi mesi fa, senza immaginare che un giorno quel codice avrebbe avuto anche il mio nome accanto.
Oggi invece, malgrado tutto, sono ufficialmente anch’io uno “048”.
Singh. 😢
Che vi devo dire… sarà stata premonizione o incoscienza. Forse ero una Cassandra con la testa tra le nuvole e i piedi ben piantati a Taranto.

Comunque sia, per la cronaca: l’intera operazione “esenzione 048” è durata appena 10 minuti.
Roba da Guinness dei primati…
(oppure era il solito caso raro in cui l’impiegata dell’ASL aveva preso il caffè buono).

Ma mica finisce qui.
Ora mi tocca passare dal CAF per la prossima puntata: la 104, quella delle “agevolazioni” che hanno sempre un’aria da “ti aiutiamo… ma prima salta 16 ostacoli, compila 12 fogli, fai una giravolta e dì grazie”.

Nel frattempo, si avvicina anche il 24 luglio, giorno di inizio terapia.
E la testa comincia a frullare come una lavatrice nel programma centrifuga.
Tanti pensieri, qualche ansia, ma anche tanta voglia di affrontare tutto con la forza che mi viene da voi.

Perché sì, lo ribadisco:
non siete solo “amici da social”.
Siete persone vere, concrete, sincere.
Grazie a voi, amici veri, ex colleghi, vecchi compagni di sindacato e di risate, che mi state vicini, mi chiamate, mi scrivete, mi sopportate.
Le vostre parole, i vostri messaggi, anche solo un “come stai oggi?”, sono la cura che non prescrive nessuno, ma funziona più della tachipirina e del cortisone messi insieme.
E io vi voglio bene, sinceramente.

E ora scusate se chiudo con un pizzico di sarcasmo – che è la mia medicina alternativa preferita – ma tra codici, esenzioni, timbri e appuntamenti, sto iniziando a credere che il tumore sia l’unica cosa che arrivi senza prenotazione, senza modulo e senza fila.

E ricordate:
non siamo solo codici. Non siamo solo malati.
Siamo anime piene di forza, coraggio, e – quando serve – anche di una sana, sacrosanta autoironia.
Ridete, amici miei.
Rideteci su.
Che la vita a volte è una bastarda, ma con la risata giusta, non vince mai.

Alla prossima, con lo zaino in spalla, i documenti in ordine, l’umore ballerino ma la volontà incrollabile.
E se proprio mi vedete assorto tra le carte, non preoccupatevi:
sto solo cercando l’ufficio giusto dove presentare la richiesta per essere ancora me stesso, nonostante tutto.

mercoledì 9 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°10 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°10 | Luglio 2025

“Incontri ravvicinati con la dottoressa (umana), camici volanti e supercazzole terapeutiche.”

Allora, amici miei… ieri è stata “la giornata della conoscenza”.
No, non sono andato in pellegrinaggio da Alberto Angela, ma finalmente ho conosciuto colei che avrà il coraggioso compito di curare settimanalmente il mio "problemino" (che tanto ino non è, ma fa fine dirlo così).
E vi dico subito: donna simpatica, cordiale, empatica, esaustiva… in una parola: umana.
Praticamente l’antitesi vivente del vasetto di yogurt scaduto lasciato sotto il sole, alias il dottore che mi ha mandato l’esito istologico via WhatsApp all’alba come se fosse l’offerta del giorno su Amazon Prime.

Ma andiamo con ordine, come si dice nelle migliori cronache giudiziarie.

La notte prima dell’incontro, non ho chiuso occhio.
Sarà stata la tensione, sarà stata la testa che frullava peggio di un frullatore senza coperchio, sarà stato il classico effetto ansia pre-visita… fatto sta che se ho dormito due ore, è un miracolo degno di Lourdes.

Alle 11:00 ero già pronto. Alle 12:00 l’appuntamento.
Un’ora di anticipo, perché da bravo ex lavoratore puntualissimo se arrivo solo in orario, mi sento in ritardo.
In testa ho una lista mentale di domande che nemmeno Mentana nel suo Tg delle 20.

Arrivo nel reparto, cerco di individuare la famosa “dottoressa X” tra una miriade di camici bianchi che sfrecciano avanti e indietro come astronavi nell’iperspazio.
Intanto, intravedo delle stanzette: due lettini, un lavandino, e fuori seduti alcuni pazienti...
Mi viene il dubbio:
“Ma vuoi vedere che queste sono le famigerate stanze della tortura?"
Ops, volevo dire: “della cura”? 😅

Poi, come nelle migliori scene da film, compare lei: camice bianco, biondina, minuta, con un accenno di sorriso che vale più di mille parole.
Mi fiondo su di lei come un fan su una rockstar e chiedo:
“Lei è la dottoressa X?”
E lei, con calma olimpica:
“Sì, sono io.”

A quel punto, presentazioni, stretta di mano e… via, nello studio.
Con voce un po’ incrinata ma dignitosa, le spiego tutto il malloppone della mia storia clinica che avevo diligentemente preparato, manco dovessi sostenere la tesi di laurea.
Lei mi ascolta. Davvero.
Mi guarda negli occhi. Davvero.
E risponde con chiarezza, empatia, competenza.
In dieci minuti, riesce a farmi capire più lei che l’urologo in dieci settimane.
(Non è che ci volesse molto, eh. Ma lasciatemi esagerare).

E così, ecco il verdetto:
👉 Dal 24 luglio si parte.
👉 Il percorso sarà un po’ tosto.
👉 I cicli non saranno caramelle balsamiche.
Ma io stringerò i denti e andrò avanti.
Perché se non vi ammorbo io con le mie sventure tragicomiche… chi lo fa? 😜

E se qualcuno si stufa, beh, può sempre:
✅ bypassare i miei scritti,
✅ silenziarmi educatamente,
✅ o nella peggiore delle ipotesi, bloccarmi su Facebook e vivere felice.

Ma io, modestamente, vi lascio con una scena che nemmeno “Amici Miei” avrebbe osato scrivere:

> “Mi raccomando, dottoressa, quando cominceremo la terapia faccia attenzione a non interrompere l’azione del ciclo mediante una rotazione delle fiale con la disinvoltura della supercazzola prematurata, perché se la trombositocitosi interagisce col radicale libero del doppio saluto, la biondina rischia l’effetto zingarata, e lì ci vuole un dosaggio di spirito d’iniziativa con contorno di ottimismo e mezza flebo di ironia, sennò mi si scompone l’animo come una carbonara col parmigiano!”

E adesso vi lascio con un pensiero dedicato a tutti quelli come me, che stanno affrontando o stanno per affrontare un ciclo di chemioterapia… e anche a chi gli sta accanto, quei santi laici chiamati amici, figli, mogli, parenti, vicini di poltrona e di cuore.

Ricordatevi sempre una cosa:
questa non è una guerra, perché la guerra è brutta e fa schifo.
Questa è una sfida. Una scalata. Una corsa a ostacoli.
E sì, ogni tanto inciampiamo, ci scappano le lacrime, il nervosismo, le notti insonni…
Ma poi ci si rialza.
Con stile, col sorriso e – se possibile – anche con una bella battuta pronta.

A chi comincia ora dico: non temere.
Sarai più forte di quanto immagini, e quando crederai di aver finito la benzina…
scoprirai che vai avanti a risate, carezze e spruzzate di ironia.

A chi ci accompagna dico:
abbracciate forte, anche solo con lo sguardo.
Non dite “tutto andrà bene”, ma piuttosto “sono qui”.
E ogni tanto, offriteci un gelato o un meme cretino: valgono quanto una flebo di allegria.

E se proprio non sapete cosa fare…
mettete un camice, fingete di essere infermieri e portateci il caffè.
Male non fa, e almeno per un momento, ci sentiremo meno pazienti e più umani.

Dunque avanti tutta.
A testa alta, stomaco forte e cuore leggero.
Che poi, come diceva il saggio (forse uno zio ubriaco):

> "La chemio è come una partita a scacchi con la vita: ogni tanto perdi un pezzo… ma se tieni duro, fai scacco matto col sorriso!"

Alla prossima, con la solita ironia, qualche globulo bianco in più e la voglia matta di rompere le scatole.

sabato 5 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°9 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°9 | Luglio 2025

“Incontri ravvicinati del terzo tipo… con l’urologo.”

Stamattina, alla buon’ora, incrociando le dita (non per cambiare l’esito dell’istologico – quello era già arrivato in anteprima esclusiva su WhatsApp con tanto di emoji mancata – ma solo per una piccola speranza), speravo che il medico che mi ha operato il 4 giugno si fosse svegliato col piede giusto.
Perché diciamocelo chiaramente: più che un medico, a volte sembra un vasetto di yogurt scaduto, dimenticato da mesi sotto il sole d’agosto su un muretto di Statte.
E attenzione: non metto in discussione la sua professionalità, che anzi, è indiscutibile.
Ma il carattere... ecco, quello sì. Difficile da digerire, come un panzerotto fritto alle sei del mattino.

Arrivo nel suo studio. Attendo il mio turno con l’agitazione di chi sta per fare l’esame di maturità, ma senza la colonna sonora di sottofondo.
Finalmente mi riceve.
E prima ancora che possa dire “si accomodi”, gli sparo subito:
“Pugliese. Dottore, sono Giovanni Pugliese, operato il 4 giugno. Quello del referto su WhatsApp.”

A quel punto lui si ricorda (o finge bene) e parte a scrivere come se stesse compilando una letterina a Babbo Natale, indirizzata però al medico oncologo che dovrà prendersi cura del mio futuro.
Scrive, scrive, firma, piega e consegna.
Dieci minuti. Tempo record.
Più che una visita medica sembrava il ritiro di una raccomandata in posta: “Ecco qui il suo pacco, firmi qui, buona giornata e in bocca al lupo.”
Che dire, l’efficienza è una virtù, ma quando parliamo di corpi, paure, speranze e umanità… magari qualche minuto in più non guasterebbe, dottò!

Riassunto della puntata?
📍 Ho le indicazioni per affrontare l’estate a colpi di terapie e appuntamenti.
📍 Tra tre mesi circa, si torna in clinica.
📍 Altra operazione, altro prelievo, altra analisi.
Insomma: il tour continua. Non è esattamente quello di Vasco, ma siamo lì… solo che qui i biglietti non li paghi in euro, ma in pazienza e coraggio.

E mentre vi scrivo, sospiro.
Profondamente.
Non per commuovermi, ma per dare fiato a quella vocina dentro di me che ogni tanto sussurra:
“Ma perché proprio io?”
E a cui io rispondo, ogni volta:
“Perché chi se non io? Chi ha più ironia, testardaggine e voglia di prenderla con un sorriso amaro se non questo testone pugliese?”

Mi prendo in giro, sì.
Perché se non rido io, chi lo fa?
E perché ridere, anche nel mezzo del buio, è la mia forma preferita di resistenza.

venerdì 4 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°8 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°8 | Luglio 2025

“Tra buche, cerini e promesse: diario semiserio di un cittadino che non si arrende.”

Quando ti ritrovi ad affrontare un problema di salute – e parlo ancora dalle fasi iniziali, quindi il bello (si fa per dire) deve ancora venire – succede qualcosa di particolare.
Ti si apre un mondo.
Un mondo popolato da tante, troppe persone che vivono situazioni simili alla tua, spesso in silenzio, spesso con dignità, sempre con una dose di forza che fa tremare le ginocchia.

Qualcuno potrebbe dire:
“Eh, vabbè, magra consolazione sapere di non essere soli…”
E avete anche ragione.
Non è una consolazione.
È un dato di fatto, crudo e nudo.
Ma proprio per questo, lo prendo come un motivo in più per dire a tutti voi: fate controlli, prevenite, non aspettate che il motore vada in avaria.

Perché, vedete, la differenza tra noi e tanti altri è come quella tra chi viaggia su un’auto in autostrada fresca d’asfalto, e chi – come noi – cerca di schivare buche, crateri e tombini ribelli nelle strade del Sud.
Ora ditemi: secondo voi chi ha bisogno di fare manutenzione prima?
Chi viaggia sul velluto o chi guida tra le scosse sismiche dell’asfalto urbano?

Già, benvenuti nel nostro meridione, terra bellissima e sgangherata, dove anche il corpo umano, per sopravvivere, deve fare l’equilibrista tra smog, veleni e speranza.

In questi giorni, intanto, va in scena l’ennesimo teatrino istituzionale.
Una vera "querelle all’italiana", con lo Stato da una parte e gli enti locali dall’altra, che si passano un cerino acceso come se fosse una patata bollente.
Quel cerino si chiama ex ILVA – sì, proprio quella – la “fabbrica dei veleni”, la multinazionale del disastro ambientale.

E io lo dico con il cuore:
dello Stato non possiamo più fidarci, perché ci ha condannati da tempo.
Ma almeno dei nostri sindaci, quelli che dovrebbero rappresentare la comunità e difendere la salute pubblica, vorrei fidarmi ancora.

A voi, cari sindaci, non chiedo miracoli.
Chiedo coerenza. Coraggio. Onestà. E una cosa che sembra piccola ma è enorme: ascolto.
Non ascoltate solo gli amici di partito, i consulenti di fiducia o gli esperti delle mezze verità.
Ascoltate i cittadini, le associazioni, chi da anni studia, denuncia, propone.
E soprattutto, ricordatevi cosa dicevate in campagna elettorale quando promettevate partecipazione, trasparenza, ascolto.
Sì, proprio voi, quelli del "ascolteremo tutti", "la salute prima di tutto", "basta con le promesse vuote".

Ecco, è arrivato il momento di dimostrarlo.
Perché fare le interviste con parole vaghe, dicendo tutto e il contrario di tutto, non vi fa più apparire intelligenti: vi fa apparire complici.
E il vecchio gioco delle tre carte, francamente, ci ha rotto i cogl...ni.
Ops, scusate il francesismo… sarà la colecisti che ancora parla al posto mio 😅

Cari sindaci e amministratori, ci aspettiamo una decisione politica e non una scelta tecnica.
Perché la salute dei cittadini non si baratta.
Non basta un timbro, un progetto tecnico o un calcolo sulla carta.
Serve chi ha il coraggio di scegliere, di dire no a interessi economici che mettono a rischio la vita delle persone. Serve coerenza, trasparenza, ascolto vero — e soprattutto azione politica.

Perché di gente che si ammala, di figli che non possono respirare e di madri che piangono ce ne sono già fin troppi.
E da voi ci aspettiamo molto di più di belle parole: chiediamo responsabilità politica concreta.
Non per un favore, ma per un diritto: il diritto alla salute. 🌱

Concludo con una frase semplice:
Siate uomini. Siate umani. E vogliate davvero bene alla vostra gente.
Perché il rispetto non si impone, si guadagna.
E oggi il popolo ha bisogno di verità, non di slogan.

📘 Diario di bordo – N°7 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°7 | Luglio 2025

“Ci sono carezze che non passano dalle mani, ma dalle parole.”

In questi giorni in cui la mia strada si è fatta più incerta, piena di curve strette e salite impreviste, ho ricevuto un’ondata di messaggi, parole, abbracci virtuali e anche reali.
E sapete che vi dico?
Mi hanno fatto un gran bene.
Mi hanno dato quella spinta che serve quando hai le gambe molli e il cuore un po’ in disordine.
Perché dentro ogni vostro messaggio ho trovato carburante puro per l’anima, di quello buono, senza emissioni nocive.
E io lo trasformo in forza. In voglia di lottare. In gratitudine profonda.

Io sono quello che leggete.
Quello che non sa fingere.
Quello che ha fatto della trasparenza uno stile di vita, anche quando sarebbe stato più comodo starsene zitti o dietro le quinte.
Ho sempre pensato che la vita vada vissuta a volto scoperto, con tutte le rughe, le cicatrici e i graffi che ti porti addosso.
Il mio modo di essere è questo: darmi agli altri con ciò che so, che ho imparato, che ho sbagliato.
A volte mi espongo troppo, sì, e prendo delle sonore “botte”.
Ma fa parte del gioco.
Se sei vero, rischi sempre. Ma non potrei fare diversamente.

E sì, può darsi che a volte appaia scontroso.
Ogni tanto ho l’espressione da “guardia giurata della verità” e lo sguardo da “non rompere che già ho i miei pensieri”.
Ma ve lo dico col cuore in mano: non chiedetemi mai di scegliere tra “o con me o contro di me”.
Perché in quel caso – senza rancore ma con chiarezza – mi troverete contro.
Per me la libertà di pensiero è sacra. Più di un decreto, più di un partito, più di un dogma.

Adoro l’umiltà.
Le persone umili mi insegnano cose che nessuna enciclopedia potrà mai spiegarmi.
Sono il peggior nemico degli arroganti, dei furbetti, degli “esperti di tutto”, di quelli che sanno tutto ma non hanno capito niente.

E poi, diciamocelo:
in questo mondo pieno di gente che parla a caso, restare umani è già un atto rivoluzionario.
Quindi grazie a voi, amici miei, per esserci.
Perché in questa traversata un po’ burrascosa, le vostre parole sono state e saranno il mio giubbotto di salvataggio… e pure una pacca sulla spalla.

E ora vado.
Mi prendo cinque minuti di pausa per pensare…
Magari in silenzio… magari no…
Magari litigo con l’ecografo (che continuo a sospettare sia un porta sfiga professionista 😅).

giovedì 3 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°6 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°6 | Luglio 2025

“Quando il tempo rallenta, anche i pensieri fanno più rumore… e a volte pure la cistifellea.”

Inizia così questo nuovo capitolo.
Due giorni, due schiaffi. Uno fisico, l’altro morale.
Perché il 1° luglio, giorno del mio compleanno, invece di spegnere candeline e farmi gli auguri da solo davanti a una fetta di torta, ho pensato bene di regalarmi…
una bella ecografia.

Non una cena romantica, non un brindisi con gli amici, no, io sono il tipo che si festeggia con una visita medica, rigorosamente a pagamento, perché se aspetti l’ASL ti danno appuntamento direttamente nel presepe vivente del 2026.
Motivo?
Un dolore acuto e persistente sotto le costole a destra, che da un po’ si faceva sentire e che, giustamente, il mio corpo ha deciso di intensificare proprio nel giorno in cui avrei voluto solo pensare al futuro con un filo di leggerezza.

Risultato?
Dalla serie “quando piove, piove sul bagnato”:
un grosso calcolo alla cistifellea, accompagnato da altri piccoletti ben più pericolosi.
Diagnosi: da operare.
🎁 Buon compleanno a me e alla mia cistifellea!
Eccecavolooooooo!!!

E non è finita qui.
Perché il giorno dopo, 2 luglio, così – giusto per non farci mancare niente – mi arriva l’esito dell’istologico.
Via WhatsApp.
Sì, proprio così.
Nessuna chiamata, nessuna voce, una notifica e via. Come se ti dicessero che è finita la promozione sul tonno al supermercato.
Un referto che avrebbe meritato uno sguardo umano, un confronto, un tono di voce rassicurante...
E invece: bling, e ti crolla il respiro.

Sembra che mi tocchi una strada lunga, delicata, complicata.
E sinceramente, spero solo che non sia tutta in salita, perché oggi come oggi, moralmente non so se ho fiato e forza per arrivare in cima.

Ci provo, eh.
Mi alzo ogni giorno e ci provo.
A credere che ce la farò, che la vita può ancora sorprendermi in positivo, che il dolore non è per sempre.
Ma oggi – ve lo dico sinceramente – il sorriso lo porto fuori solo con lo scontrino.

Ringrazio chi mi sta vicino, chi mi scrive, chi mi legge in silenzio.
Scrivere è l’unico modo che conosco per tenere in ordine il caos.
E se ogni tanto uso l’ironia, è perché è la mia corazza più leggera e onesta.

E ora lasciatemi fare una domanda che mi tormenta da giorni...
Ma non sarà che è proprio l’ecografo che mi porta sfiga?! 😅

mercoledì 2 luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°5 | Luglio 2025

📘 Diario di bordo – N°5 | Luglio 2025

“Quello che non vorresti mai leggere, e invece lo leggi. E ti cambia il respiro.”

Quello che non volevo sentire…
Quello che avrei voluto rimandare all’infinito…
E invece è arrivato.
Con la freddezza di un messaggino WhatsApp.
Sì, proprio così: un esito istologico comunicato via WhatsApp, come fosse la lista della spesa o un meme da condividere.
Una notizia che meriterebbe silenzio, tatto, voce. Invece: bing, notifica, gelo.

È dura, amici miei.
Sembra che mi tocchi una lunga strada da percorrere.
E sinceramente, spero con tutto il cuore che non sia tutta in salita… perché oggi, così come mi sento ora, moralmente non so se avrò il fiato per arrivare in cima.

Mi sto sforzando di non crollare.
Mi ripeto che il coraggio non è non avere paura, ma affrontarla anche quando tremi dentro.
Ma lasciatemelo dire: oggi il mio coraggio è in mutua.

C’è una parte di me che vorrebbe scomparire per un po’, spegnere il mondo, mettere in pausa tutto.
E poi ce n’è un’altra, testarda, che mi sussurra: “non è finita, la salita forse ti mostrerà orizzonti che nemmeno immagini…”

A chi sta affrontando battaglie simili alla mia: vi stringo forte.
A chi mi vorrà restare accanto: grazie, di cuore.
Non so dove mi porterà questa strada, ma una cosa è certa: non la farò fingendo di stare bene, ma affrontandola per quella che è. Con le mie fragilità, i miei silenzi e, quando possibile, con un sorriso vero.

Oggi niente frasi ironiche.
Oggi solo la cruda verità.
Ma anche nei giorni più duri, questo diario resta aperto.
Perché scrivere è il mio modo di non perdere il filo, di tenermi aggrappato alla vita.

📘 Diario di bordo – N°4 | Giugno 2025

📘 Diario di bordo – N°4 | Giugno 2025

🚴‍♂️ GIRO COMPLETATO. CIMA RAGGIUNTA. ORA LA DISCESA (sperando che i freni tengano!)

Ed eccoci qui. Altro giro, altra tappa. È il mio compleanno. Un giorno come gli altri? Forse. Ma si sa: ogni giro di boa va celebrato, anche solo con un sorriso ironico e un respiro profondo.

🎂 Gli anni cominciano ad essere un bel pacco gara… e quella famosa “cima”, quella del mito, l’abbiamo raggiunta. Sì, ho già “scollinato”. Ora sono in discesa, e se tutto va bene, senza mani! Ma con la speranza che i freni reggano, soprattutto quelli del buon senso e della salute.

🛠️ Ovviamente, come ogni buon ciclista di lungo corso, ho dovuto fermarmi a fare qualche pit-stop: un tagliando qui, una revisione là, un check ai battiti, uno sguardo ai pensieri storti. Perché la meccanica – soprattutto quella umana – ogni tanto fa i capricci. Ma siamo ancora in corsa, e con dignità.

😄 Non corro più per dimostrare nulla, ma per godermi il vento in faccia, le storie vissute, gli abbracci veri e i progetti che ancora bruciano sotto la pelle. La strada è meno lunga di ieri, ma è tutta da vivere.

🧠 E poi c’è il carattere. Il mio. Un po’ scontroso a volte, vero. Non sempre facile da domare, ma mai fasullo. Non mi sono mai piegato ai venti del convenzionale, e ho sempre preferito una parola sincera a cento inchini inutili. La vita è una ruota, gira per tutti, e quando sei in salita impari chi sei. Ma anche in discesa serve equilibrio. Ed è lì che si vede la stoffa.

💬 Non sono perfetto, ma sono autentico. Ho il vizio di dire la mia, anche quando sarebbe più comodo stare zitto. Ma l’ho imparato col tempo: chi tace sempre, a furia di ingoiare, si dimentica il gusto della verità.

🎈Oggi ringrazio chi ha corso con me, chi ha tenuto il passo, chi mi ha aspettato ai box, chi mi ha fatto compagnia anche solo per un tratto. E un pensiero a chi non c’è più, ma ha lasciato segni preziosi sulla mia mappa interiore.

La corsa continua. Più lenta? Forse. Ma ancora con la voglia di guardare avanti e vivere con la catena ben oliata e il cuore in salita.
Buon compleanno a me. 🎂🥂

giovedì 26 giugno 2025

📘 Diario di bordo – N°3 | Giugno 2025.

📘 Diario di bordo – N°3 | Giugno 2025.

Riflessioni serali in un momento di fantasia sfrenata durante un attacco di leggera paranoia (versione soft).

C’è un momento, quasi sempre dopo cena, in cui la mia mente — invece di rilassarsi — decide di fare le prove generali per una nuova serie Netflix dal titolo: “Ma dove stiamo andando a finire?”
La trama è semplice: il mondo è nel caos, la gente impazzisce, la politica deraglia, la natura si ribella… e io sogno.

Sì, sogno.
Sogno un posto come quello della foto che ho davanti agli occhi.
Una spiaggia al tramonto, una coperta, due cuscini, un falò, una bottiglia di vino, e il silenzio interrotto solo dal suono delle onde.
Niente notifiche, niente bollette, niente telegiornali che sembrano horror, niente polemiche social da tastiera.
Solo natura, calma e un briciolo di pace interiore che non guasta mai.

Nel frattempo, nella realtà, il mondo si comporta come un bambino capriccioso con la febbre a 40.
Le guerre aumentano, i prezzi salgono, i diritti scendono e la stupidità... vola.
Sembra che la serenità collettiva sia stata dichiarata fuorilegge o peggio ancora, considerata comunismo romantico.

E allora mi rifugio in questi pensieri.
Sogno di brindare con qualcuno che non parli di guerra, ma di sogni.
Di guardare il fuoco e non il fuoco incrociato di notizie che fanno a pugni con la verità.
Di stare in riva al mare come se fosse l’unica vera patria possibile.

Lo so, magari è una fuga.
Ma a volte evadere con la mente è l’unico atto rivoluzionario rimasto.

Perciò, se mi cercate, sappiate che mentalmente sono lì.
Sulla sabbia.
A discutere con le stelle e a ridere con la luna.
Col bicchiere mezzo pieno (di rosso), anche se – diciamolo – il vino mi è stato rigorosamente proibito dal medico.
Quindi sì, lo ammetto: è una trasgressione puramente immaginaria, un brindisi alla salute fatto solo con la mente.
Ma che volete… anche la fantasia ogni tanto ha bisogno di ubriacarsi di libertà.

📘 Diario di bordo – N°2 | Giugno 2025

📘 Diario di bordo – N°2 | Giugno 2025

Ieri pomeriggio ho ricevuto uno di quei messaggi che ti cambiano il battito per qualche secondo, ma poi ti rimettono in pace con il mondo.
Un mio caro amico, ex collega di lavoro, mi ha scritto per dirmi che dopo circa 70 lunghissimi giorni ha finalmente ricevuto l’esito della sua biopsia.
Ed è tutto ok.
Sospiro di sollievo e un gran sorriso.

Sono felicissimo per lui.
Perché è una di quelle persone che ti fanno ancora credere nella bontà umana: sincero, genuino, leale.
E non lo dico tanto per dire. Durante i miei giorni di ricovero, si è preso la briga di venirmi a trovare in clinica. E sai, non è scontato. Quelle visite che sembrano piccole, ma ti scaldano il cuore come una coperta in pieno inverno.
Un gesto che porta dentro una stima profonda, vera.

Caro amico mio, questa vittoria è anche un po’ mia.
E ora incrocio le dita per me. 🤞

L’attesa del referto, come ben sai, è una di quelle esperienze che ti fanno diventare un misto tra un monaco zen e una pentola a pressione.
Cerchi di respirare, ma dentro ti sale un nervosismo che nemmeno tre camomille e un corso di yoga tantrico riescono a placare.
Eppure si resiste. Si va avanti.
Io non demordo. Aspetto. Con il sorriso (o almeno ci provo).

Ah, quasi dimenticavo:
in molti mi avete scritto chiedendomi dove acquistare il mio libro.
Ora, lasciate che ve lo dica chiaro:
non ho scritto nessun libro!
Non ho firmato contratti con Mondadori, non mi hanno chiamato da Feltrinelli, e nemmeno mia zia mi ha proposto di farmi stampare qualche pagina su carta da forno. 😅

Dovete accontentarvi dei miei "sfoghi social" dove, come un piccolo giullare digitale, metto in piazza emozioni, pensieri, battute e riflessioni.
Con un pizzico di ironia, una spruzzata di sarcasmo, e quel tocco di colore che serve per sdrammatizzare le cose serie e rendere leggere anche le giornate più pesanti.

E ora scusate, ma vado a controllare se per caso nel frattempo è arrivato l’esito anche per me...
(altrimenti, passo direttamente alla fase 2: interrogare le stelle o corrompere il postino!) 🌠📬😄

A presto amici miei.
Con affetto e sempre con un pizzico di follia (quella buona).
p.s. sopportatemi per quello che sono. 🤷‍♂️

lunedì 23 giugno 2025

📔 Diario di Bordo – N.1, Giugno 2025"Ospedali, odori e umanità perduta (o forse ritrovata)"

📔 Diario di Bordo – N.1, Giugno 2025
"Ospedali, odori e umanità perduta (o forse ritrovata)"

Dopo essere uscito dalla clinica per quel "problemino" che, più o meno, tutti quanti sapete (e gli altri lo immaginano), mi faccio coraggio e decido di tornarci… ma solo per chiedere la copia della cartella clinica.
Un’operazione semplice, penserete voi. E invece no. Perché nulla è semplice in Italia, soprattutto in sanità pubblica… soprattutto se il termometro segna temperature da deserto del Sahara.

Arrivo, cerco di individuare una fila che fila non è: una massa informe di esseri umani, chi con la faccia smarrita, chi con la pazienza già terminata, chi con l’aria di chi si è arreso da tempo. Tentar non nuoce, mi dico, e provo a mettermi in coda, o meglio… in una coda, perché di code vere non ce n'è. Intuisco a istinto chi potrebbe essere arrivato prima, cerco sguardi complici, sorrido con fare mansueto, ma l'ordine di arrivo resta una scienza arcana.
Nel frattempo, la calura rende l’aria densa. Vi giuro che le narici imploravano pietà. La situazione, per capirci, era in pieno stile tragico Fantozzi, con gli effluvi delle ascelle dei presenti che avrebbero potuto stendere anche un elefante africano.

Mentre sto per svenire – più per lo sconforto che per gli odori – noto una coppia di anziani. Lui visibilmente preoccupato, lei piegata dal dolore, in piedi a stento. Una scena che ti stringe il cuore. Mi permetto, con rispetto, di dire che potevano passare avanti. Qualcuno mormora, ma io me ne frego: in certi casi, l’umanità deve prevalere sul formalismo.

Quando arrivano allo sportello del CUP, ascolto con attenzione. Hanno bisogno di una TAC urgente. La risposta? "Non prima di sei mesi." La disperazione negli occhi di quei due è una lama. Lui, con uno scatto di dignità, dice:
"Allora pago, ma la facciamo subito."
Prezzo? 400 euro.
Lei, con un filo di voce e le lacrime che scendono come pioggia leggera, gli sussurra:
"Lascia stare… non possiamo permettercelo."

Vi giuro che in quel momento ero pronto a tirar fuori i soldi e iniziare una colletta. Mi tremava il cuore. Ma non ce n’è stato bisogno. Una delle addette del CUP, una donna che voglio ringraziare pubblicamente anche se non conosco il nome, prende il telefono e dopo dieci minuti, che sono sembrati un secolo, riesce a fissare la TAC per il giorno dopo all’ospedale Di Venere di Bari.

Ecco, la buona sanità non è solo fatta di sistemi informatici all’avanguardia, sale operatorie high-tech o direttori generali in giacca e cravatta. La buona sanità è fatta dalle persone, da chi mette cuore e testa oltre le regole, oltre i protocolli. È fatta da chi, anche in un’Italia sgangherata, non si dimentica mai di essere umano.

Faccio appena in tempo a commuovermi e a gioire per il lieto fine, che arriva il mio turno. È fatta, penso, con l’ingenuità di un bambino davanti al gelato.
Inserisco la carta nel POS… e la linea comincia a dare i numeri. Tre tentativi, quattro, cinque… sudore freddo e rischio blocco carta.
Nel frattempo gli odori in sala raggiungono picchi da allarme chimico.
Finalmente, dopo un’esalazione particolarmente letale che mi ricorda l’inferno dantesco, il pagamento passa.

Cartella richiesta. Ora attendo. Anzi no, resisto!

E se qualcuno pensa che mi basti questo piccolo traguardo… beh, si sbaglia.
Sono pronto alla prossima missione, magari con un kit di sopravvivenza da CUP: mascherina profumata, bottiglietta d’acqua e, perché no, un po’ di fiducia nel genere umano.

Alla prossima, con meno ascellari e più umanità.
🖋– Giovanni, viaggiatore instancabile nelle corsie della nostra sanità pubblica.

mercoledì 11 giugno 2025

🏥 🩺 Un racconto interrotto. E una riflessione amara sulla libertà e la dignità.

Oggi ho ricevuto un messaggio che mi ha stretto il cuore. Una delle protagoniste dei miei racconti, con grande educazione e dispiacere, mi scrive e mi chiede, dietro disposizioni ricevute dalla struttura, di rimuovere dai social le foto e i nomi che racconto nelle mie giornate in clinica. Un racconto semplice, umano, senza polemiche. Un modo per alleggerire il peso di un ricovero, per condividere con delicatezza momenti di cura, di incontri, di speranza.

Le immagini erano state già oscurate nei volti, nel pieno rispetto della privacy di tutti. Nei miei scritti non c’era una sola parola fuori posto verso la struttura, né verso chi ci lavora. Anzi: ho cercato solo di restituire dignità e leggerezza a una degenza, di testimoniare che si può vivere anche un ricovero senza perdere il sorriso, il contatto con l’altro, l’umanità.

Eppure, qualcosa ha infastidito la dirigenza. Forse non erano le immagini il problema. Forse erano proprio le parole. Soprattutto quelle finali, in cui osavo parlare di tutele, lavoro, precarietà, referendum, diritti.

Forse lì ho disturbato il manovratore. Forse lì ho superato un confine non scritto: quello che impone di non parlare, non pensare, non rivendicare.

E allora succede questo: ti chiedono, con garbo ma con timore, di cancellare tutto. Di far sparire ciò che è reale. Di tornare al silenzio. E tu, per rispetto di chi te lo chiede e per non creare problemi a chi è già precario e vulnerabile, lo fai. Ma dentro… ti si spezza qualcosa.

Perché non è solo una foto che sparisce, o un nome cancellato. È un pezzo di realtà che viene sepolta. È la paura che torna a vincere. È la dignità che arretra.

Nel frattempo, il referendum sul lavoro è stato affossato. Era prevedibile, ma non per questo meno doloroso. Gli italiani hanno voltato le spalle a una possibilità di riscatto. La classe lavoratrice si è lasciata sedurre dal silenzio, dall’indifferenza, dalla paura. Ha scelto la resa.

E io, oggi, mi chiedo: con quale spirito tornerò in quella clinica?
Con rispetto, certo. Ma anche con tristezza. Perché so che lì dentro ci sono tante persone splendide, professionisti e umani straordinari… che però non possono parlare. Che devono piegare la schiena, abbassare lo sguardo, fingere che tutto vada bene.

Non li giudico. Li comprendo. Perché so quanto è difficile alzare la testa e il costo da pagare.
Ma io, Giovanni, ho deciso di non smettere di raccontare, di riflettere, di denunciare.

Anche se devo oscurare un volto. Anche se devo cancellare un post. Perché la realtà non si cancella. E la dignità, quando la perdi, non la recuperi più.

domenica 8 giugno 2025

Cronache di un ricovero in clinica – Sedicesima (e probabilmente ultima) puntata. Senza orario. Solo il tempo delle emozioni.

Questa volta niente orari precisi, niente sveglie alle 6 per misurare la pressione, né rumori di carrelli che scivolano nei corridoi come navi nella nebbia.
Stavolta bisogna riavvolgere il nastro e tornare a quel 22 maggio, quando tutto ebbe inizio.

Entravo in clinica per un day hospital con il cuore gonfio di paura, come un bambino il primo giorno di scuola.
Avevo in tasca la carta d’identità, la tessera sanitaria e… una montagna di pensieri.
Il mio corpo era lì, seduto in sala d’attesa, ma la mia mente era un vortice: e se succede qualcosa? E se l’anestesia fa male? E se non ce la faccio?

Un via vai di persone. Medici, pazienti, infermieri.
Tutti con la loro storia, i loro silenzi, i loro sguardi bassi.
E poi, in mezzo a quel frastuono composto, una voce: “Pugliese? Chi è Pugliese?”
Alzo lo sguardo e incontro un sorriso che rompe il muro della paura.

Lei è Ilaria. Un’infermiera giovane, sveglia, sicura.
Ma soprattutto gentile, di quella gentilezza rara, spontanea, che non si può insegnare.
Mi accompagna per i prelievi, per l’elettrocardiogramma, e tra una fiala e un cerotto inizia anche a curare le mie ansie.
Le confesso con tono tra il serio e il tragicomico che “l’epidurale mi fa più paura dell'operazione.
Lei sorride. Ma non ride di me. Mi capisce. E trova le parole giuste.

Ed è proprio lei, davanti all’anestesista, che con voce ferma suggerisce:

> “Dottore, meglio un leggero sedativo prima dell’epidurale. Lo aiuterà a stare più tranquillo.”
Ecco, quel momento non lo dimenticherò mai.
Non era solo professionalità.
Era umanità. Era prendersi cura. Era mettersi nei panni dell’altro.

Le dissi con la voce incrinata dall’emozione:

> “Mi hai dato coraggio. Mi hai fatto sentire meno solo.”
E lei, quasi sorpresa:
“Dici davvero?”
Certo che dico davvero. E lo ridirei cento volte.

>"Stai tranquillo, ci vediamo il 4 giugno in reparto" esclama lei, "sono una delle infermiere del reparto dove sarai di stanza". 😇

Quando poi, il 4 giugno, arriva il momento dell’intervento, la ritrovo lì, con lo stesso sorriso e la stessa dolcezza.
Si affaccia nella stanza, mi saluta con un “ciao” luminoso e io capisco in un istante che tutto andrà bene.
Perché in fondo, anche nei momenti più bui, basta una luce. Anche piccola. Ma vera.

Ecco, cari lettori, questa è la fine (forse) della mia cronaca.
Non so se vi ho fatto sorridere, riflettere o magari solo compagnia.
So solo che ho cercato, con un pizzico di ironia e una dose abbondante di cuore, di trasformare la paura in racconto, il dolore in condivisione, la fragilità in forza collettiva.

Adesso mi aspetta l’attesa del referto, quella che non si racconta mai nei film, ma che tutti i pazienti conoscono bene.
Un’attesa fatta di silenzi lunghi e pensieri che vanno e vengono.
Ma oggi so una cosa in più: non siamo mai davvero soli.

C’è sempre una mano tesa, un sorriso inaspettato, una parola che ci fa sentire visti e ascoltati.

E lasciatemi aggiungere ancora una cosa:
Tutti questi eroi in camice, questi angeli che ho conosciuto nei miei giorni in clinica, sono per la maggior parte lavoratori precari, tirocinanti, con contratti a termine.
Sono loro che ogni giorno reggono il peso della sanità, senza certezze ma con un’enorme umanità.
E pensando a loro, ai miei angeli, questa mattina andrò a votare per il referendum, e voterò SI, proprio per loro.
Perché meritano dignità, stabilità, rispetto.
Perché chi si prende cura di noi, merita di essere protetto.

E se posso concludere con un desiderio, è questo:

> Siate gentili. Sempre. Perché la gentilezza è una medicina potente. Non costa nulla, ma salva l’anima. La propria e quella degli altri.

A voi, che mi avete seguito, grazie.
Magari ci rivedremo… magari ci riscriveremo.
Intanto, abbracciate la vita. Anche nei corridoi di una clinica. Anche con un camice addosso. Anche con un referto in arrivo.

Con tutto l'amore che posso verso chi soffre,
🖋 Giovanni Pugliese.
🩺💙🌿

Cronache di un ricovero in clinica – Quindicesima puntata: Fuga per la vittoria.


Ore 11:55 – Sabato
Ebbene sì, cari lettori fedeli, l’ora X è scattata. Il dado è tratto, le dimissioni sono firmate e io – con la fierezza di chi ha appena finito una maratona tra prelievi, punture e brodaglie insipide – mi accingo a imboccare la gloriosa via del ritorno.

Saluto i miei compagni di sventura (ora compagni di rinascita), con quell’affetto tipico da ultima puntata di un reality show:

> “Oh mi raccomando, tienimi aggiornato se ti cambiano il catetere!”
“Un abbraccio, e salutami l’ossigeno!”

Lascio la stanza con passo lento, ma deciso, con il mio inseparabile trolley a ruote cigolanti – che ora pare suonare la colonna sonora di Mission: Impossible.
E mentre le rotelle stridono come se gridassero “Libertààà!”, la mente vaga, nostalgica e sorridente, attraverso i corridoi del ritorno, gli stessi che pochi giorni prima mi hanno portato qui, ignaro del piccolo tsunami emotivo che stavo per vivere.

È sabato. È quasi mezzogiorno.
E nella clinica regna un silenzio irreale, surreale quasi.
Nemmeno una flebo in sospensione, nemmeno il suono del carrello della colazione (quello che arriva sempre o troppo presto o troppo tardi).
Solo io, il mio trolley e un cuore pieno di gratitudine.

Mi scorrono davanti agli occhi i volti di tutte quelle anime belle che hanno popolato questi giorni:
– gli OSS che sanno sempre quando dire “ci vuole pazienza” (ma con l’occhio da sergente di ferro),
– gli infermieri che entrano con ago alla mano e sorriso disarmante,
– gli inservienti che col carrello delle pulizie sembrano suonatori d’arpa celestiale quando passano a sistemare le stanze.

E poi lui, il ragazzo dell’anestesia.
23 anni. Uno meno di mio figlio.
Con una calma olimpica e una voce da meditazione zen,
mi ha spiegato come sarebbe andata l’anestesia epidurale, e senza rendersene conto mi ha sbloccato il livello “coraggio plus”.
Guardandolo negli occhi ho pensato: “se lui è tranquillo, allora non posso certo fare la figura del fifone io!”
(E invece ero già pronto a fingere un malore solo per scappare via, ma non diciamolo troppo forte…)

E mentre scendo le scale (sì, le scale, perché l’ascensore è occupato da un paziente in camicia da notte e con una borsa dell’Eurospin piena di giornali vecchi – autentico mistero da reparto), mi godo questo piccolo trionfo silenzioso.

Cari amici, siamo ormai quasi al capolinea di questa rocambolesca cronaca ospedaliera, ma non posso chiudere senza parlarvi di lei.
Una figura quasi mitologica, che ha attraversato due mondi come una sorta di Virgilio del reparto.
La dolcissima Ilaria.
L’ho incontrata la prima volta al pre-ricovero, con quella sua voce pacata e rassicurante, mentre mi infilava l’ago nel braccio come se stesse raccontando una fiaba.
E poi – come in un film con i colpi di scena ben piazzati – me la ritrovo proprio nel reparto, nei giorni del ricovero.
Come a dire: “tranquillo, ci sono io, ce la facciamo.”
E io, lo ammetto, sul coraggio sono un filone, uno che al solo sentire “puntura” fa le prove generali del testamento.
Ma con lei, no. Con lei ho affrontato tutto come un eroe della mutua.

Nella prossima puntata – forse l’ultima, forse no – vi racconterò meglio di questa presenza luminosa, dolce come il miele (ma professionale come un tecnico di Formula 1), che mi ha fatto credere che anche nei momenti di debolezza, se accanto hai le persone giuste, puoi sempre ritrovare forza e serenità.

Restate sintonizzati, il sipario non è ancora calato.
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Cronache di un ricovero in clinica – Quattordicesima puntata: La valigia sul letto... quella di un lungo viaggio.


Ore 11:00
🎼 La valigia sul letto… è quella di un lungo viaggio, cantava Julio Iglesias con quel tono da conquistatore che non si spiega.
E invece la mia valigia, piazzata sul letto con nonchalance e un po’ di polvere accumulata in questi giorni, è quella del ritorno. Non un lungo viaggio, no… ma una traversata epica tra flebo, carrelli rumorosi e minestroni d’ordinanza, che, credetemi, manco Ulisse con la sua Odissea.

Telefono a casa:

> “Sto per uscire, venitemi a prendere!”
E mentre dall’altra parte sento un:
“Chiudi bene la valigia e non ti dimenticare la cartella clinica!” nella mia mente inizia a scorrere il film di questi gloriosi e grotteschi giorni trascorsi in clinica.
Altro che Netflix! Qui è roba da David di Donatello.

Rivedo come in un flashback cinematografico quel primo giorno d’ingresso:
dopo aver compilato modulistica degna di una dichiarazione dei redditi, arriva lui…
il “Caronte del corridoio”,
un signore gentile ma eternamente attaccato al telefonino, probabilmente per un dibattito filosofico esistenziale con un parente che – a giudicare dal tono – non rivedrà tanto presto per le feste comandate.

Con un gesto tra il messianico e il distratto, mi fa cenno di seguirlo.
Io, con la mia valigetta alla “Fantozzi in trasferta”, lo seguo silenzioso in un labirinto di corridoi che manco il Minotauro avrebbe avuto il coraggio di esplorare.
E dove mi parcheggia?
In uno stanzone neutro, grigio, dove trovo un'altra degente, seduta anche lei con l’aria da “chi me l’ha fatto fare”.

Passano cinque minuti e, con una grazia da mimo stanco, l’omino mi indica un altro corridoio, più buio e minaccioso, e mi dice con sguardo vago:

> “Vai lì in fondo… la tua stanza.”
Come se mi stesse indicando il portale per Narnia.

Entro e voilà: il sancta sanctorum della mia degenza.
La stanza mitica. Quella da cui è partita questa saga ospedaliera, quella dove sono nate le mie cronache, tra un misurino di pressione e una fesa di tacchino rinsecchita.
Nemmeno il tempo di posare la valigia e guardarmi attorno, che arriva un infermiere che sembrava il protagonista di un film di guerra:

> “Spogliati tutto, camice e via. Sala operatoria. In barella.”

Io, senza nemmeno sapere se avessi sbagliato porta o reparto, mi ritrovo in mutande (più spirituali che fisiche) a dover decidere quale dei tre letti occupare, come in un reality show sanitario:
Letto n.1: quello accanto alla finestra (freddo e pieno di spifferi),
Letto n.2: quello centrale (quindi il più esposto a ogni rumore),
Letto n.3: quello vicino al bagno (con ovvie conseguenze olfattive).

Dopo un rapido bim bum bam (giuro), punto sul letto a sinistra.
Scelta disgraziata.
Ma di questa scellerata decisione vi parlerò nella prossima puntata.

Spoiler: c’entrano un telecomando assente, un comodino bloccato e… un coinquilino notturno che russa come una motosega impazzita.

Restate sintonizzati: la saga continua, e non risparmierà nessuno! 😎🛏️💉

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