“Incontri ravvicinati con la dottoressa (umana), camici volanti e supercazzole terapeutiche.”
Allora, amici miei… ieri è stata “la giornata della conoscenza”.
No, non sono andato in pellegrinaggio da Alberto Angela, ma finalmente ho conosciuto colei che avrà il coraggioso compito di curare settimanalmente il mio "problemino" (che tanto ino non è, ma fa fine dirlo così).
E vi dico subito: donna simpatica, cordiale, empatica, esaustiva… in una parola: umana.
Praticamente l’antitesi vivente del vasetto di yogurt scaduto lasciato sotto il sole, alias il dottore che mi ha mandato l’esito istologico via WhatsApp all’alba come se fosse l’offerta del giorno su Amazon Prime.
Ma andiamo con ordine, come si dice nelle migliori cronache giudiziarie.
La notte prima dell’incontro, non ho chiuso occhio.
Sarà stata la tensione, sarà stata la testa che frullava peggio di un frullatore senza coperchio, sarà stato il classico effetto ansia pre-visita… fatto sta che se ho dormito due ore, è un miracolo degno di Lourdes.
Alle 11:00 ero già pronto. Alle 12:00 l’appuntamento.
Un’ora di anticipo, perché da bravo ex lavoratore puntualissimo se arrivo solo in orario, mi sento in ritardo.
In testa ho una lista mentale di domande che nemmeno Mentana nel suo Tg delle 20.
Arrivo nel reparto, cerco di individuare la famosa “dottoressa X” tra una miriade di camici bianchi che sfrecciano avanti e indietro come astronavi nell’iperspazio.
Intanto, intravedo delle stanzette: due lettini, un lavandino, e fuori seduti alcuni pazienti...
Mi viene il dubbio:
“Ma vuoi vedere che queste sono le famigerate stanze della tortura?"
Ops, volevo dire: “della cura”? 😅
Poi, come nelle migliori scene da film, compare lei: camice bianco, biondina, minuta, con un accenno di sorriso che vale più di mille parole.
Mi fiondo su di lei come un fan su una rockstar e chiedo:
“Lei è la dottoressa X?”
E lei, con calma olimpica:
“Sì, sono io.”
A quel punto, presentazioni, stretta di mano e… via, nello studio.
Con voce un po’ incrinata ma dignitosa, le spiego tutto il malloppone della mia storia clinica che avevo diligentemente preparato, manco dovessi sostenere la tesi di laurea.
Lei mi ascolta. Davvero.
Mi guarda negli occhi. Davvero.
E risponde con chiarezza, empatia, competenza.
In dieci minuti, riesce a farmi capire più lei che l’urologo in dieci settimane.
(Non è che ci volesse molto, eh. Ma lasciatemi esagerare).
E così, ecco il verdetto:
👉 Dal 24 luglio si parte.
👉 Il percorso sarà un po’ tosto.
👉 I cicli non saranno caramelle balsamiche.
Ma io stringerò i denti e andrò avanti.
Perché se non vi ammorbo io con le mie sventure tragicomiche… chi lo fa? 😜
E se qualcuno si stufa, beh, può sempre:
✅ bypassare i miei scritti,
✅ silenziarmi educatamente,
✅ o nella peggiore delle ipotesi, bloccarmi su Facebook e vivere felice.
Ma io, modestamente, vi lascio con una scena che nemmeno “Amici Miei” avrebbe osato scrivere:
> “Mi raccomando, dottoressa, quando cominceremo la terapia faccia attenzione a non interrompere l’azione del ciclo mediante una rotazione delle fiale con la disinvoltura della supercazzola prematurata, perché se la trombositocitosi interagisce col radicale libero del doppio saluto, la biondina rischia l’effetto zingarata, e lì ci vuole un dosaggio di spirito d’iniziativa con contorno di ottimismo e mezza flebo di ironia, sennò mi si scompone l’animo come una carbonara col parmigiano!”
E adesso vi lascio con un pensiero dedicato a tutti quelli come me, che stanno affrontando o stanno per affrontare un ciclo di chemioterapia… e anche a chi gli sta accanto, quei santi laici chiamati amici, figli, mogli, parenti, vicini di poltrona e di cuore.
Ricordatevi sempre una cosa:
questa non è una guerra, perché la guerra è brutta e fa schifo.
Questa è una sfida. Una scalata. Una corsa a ostacoli.
E sì, ogni tanto inciampiamo, ci scappano le lacrime, il nervosismo, le notti insonni…
Ma poi ci si rialza.
Con stile, col sorriso e – se possibile – anche con una bella battuta pronta.
A chi comincia ora dico: non temere.
Sarai più forte di quanto immagini, e quando crederai di aver finito la benzina…
scoprirai che vai avanti a risate, carezze e spruzzate di ironia.
A chi ci accompagna dico:
abbracciate forte, anche solo con lo sguardo.
Non dite “tutto andrà bene”, ma piuttosto “sono qui”.
E ogni tanto, offriteci un gelato o un meme cretino: valgono quanto una flebo di allegria.
E se proprio non sapete cosa fare…
mettete un camice, fingete di essere infermieri e portateci il caffè.
Male non fa, e almeno per un momento, ci sentiremo meno pazienti e più umani.
Dunque avanti tutta.
A testa alta, stomaco forte e cuore leggero.
Che poi, come diceva il saggio (forse uno zio ubriaco):
> "La chemio è come una partita a scacchi con la vita: ogni tanto perdi un pezzo… ma se tieni duro, fai scacco matto col sorriso!"
Alla prossima, con la solita ironia, qualche globulo bianco in più e la voglia matta di rompere le scatole.