mercoledì 20 novembre 2024

🪶 Il Grido del Silenzio

Non sempre i silenzi sono solo vuoti da riempire. A volte, gridano più forte di qualsiasi parola. È nei momenti di silenzio che combattiamo le nostre battaglie più grandi, quelle che non vedrà mai nessuno. Ci sono maschere che indossiamo ogni giorno, maschere che sorridono, rassicurano, mostrano forza, ma dentro urlano, e quell’urlo è così potente che arriva a scuoterci l’anima.

È un grido che non ha bisogno di suono per esistere, perché è fatto di tutto ciò che non siamo capaci di dire. Sono i rimpianti, le paure, le sconfitte, ma anche le speranze che non osiamo confessare. È il grido di chi non ha una voce, di chi porta il peso del mondo sulle spalle, di chi combatte guerre invisibili.

Abbiate cura dei vostri silenzi, ascoltateli. E quando incontrate qualcuno che tace, non ignoratelo: quel silenzio potrebbe essere un grido che ha bisogno di essere accolto. Perché, alla fine, tutti abbiamo bisogno di qualcuno che non ci chieda di parlare, ma che riesca a sentire quel grido nel nostro silenzio.

Prendiamoci cura delle nostre anime e di quelle degli altri, anche quando sembrano forti. Le maschere possono cadere, e dietro ognuna c’è un mondo da scoprire.

martedì 19 novembre 2024

Il malessere trasmesso dai media: una cronaca che non cura, ma affligge

Nel panorama televisivo italiano, soprattutto nelle fasce pomeridiane, sembra che i palinsesti siano ossessionati dalla cronaca nera. RAI e Mediaset, reti pubbliche e private, appaiono accomunate da una narrativa che alimenta ansia, tristezza e rabbia. Il caso di cronaca del giorno, il dettaglio macabro, le interviste strappalacrime: tutto si trasforma in un circo mediatico che, anziché informare con equilibrio, finisce per esasperare il pubblico.

La cronaca nera ha, ovviamente, un suo ruolo legittimo nel giornalismo. Serve a informare, a denunciare ingiustizie e a stimolare dibattiti utili per la società. Tuttavia, il modo in cui viene confezionata nei talk show e nei programmi di approfondimento spesso tradisce il suo scopo. La spettacolarizzazione delle tragedie personali, l’enfasi sui dettagli più crudi, e l’abuso di esperti pronti a discutere senza empatia trasformano la sofferenza altrui in un intrattenimento morboso.

Gli effetti sulla popolazione
Questo flusso continuo di negatività non è senza conseguenze. Sempre più persone vivono un senso di oppressione e sfiducia verso il prossimo. La ripetizione martellante di storie di violenza e ingiustizia genera paura, diffidenza e, in molti casi, rabbia. La società si divide tra chi si sente vittima potenziale e chi cerca un colpevole in ogni angolo, spesso individuandolo nell’immigrato, nel giovane, o in chiunque appaia "diverso".

Il malessere si percepisce sempre di più nelle strade, nei luoghi di lavoro, persino in famiglia. Si parla meno di speranza, solidarietà o bellezza. In un mondo già segnato da crisi economiche, sociali e ambientali, la costante negatività mediatica diventa un ulteriore macigno sulle spalle degli italiani.

Le ragioni di questa deriva
Perché i media insistono su questo tipo di narrazione? La risposta potrebbe essere cinica ma semplice: l’audience. Il dolore, lo scandalo e la paura vendono. L’essere umano ha un’attrazione quasi istintiva verso ciò che lo spaventa o lo indigna. Questo fenomeno è noto come negativity bias, una predisposizione psicologica che spinge le persone a prestare maggiore attenzione alle notizie negative.

Ma c’è anche una questione più complessa e inquietante. Alimentare la paura e il senso di insicurezza potrebbe essere, almeno in parte, uno strumento per controllare e distogliere l’attenzione pubblica da problemi sistemici più profondi. Se tutti sono concentrati sulla cronaca nera, chi si occupa di discutere della crisi climatica, del precariato o del crescente divario sociale?

Verso una televisione più responsabile
Il compito dei media dovrebbe essere non solo informare, ma anche educare e ispirare. È necessario un cambio di paradigma: più spazio alla cultura, alle storie di riscatto, ai successi della comunità. La televisione potrebbe essere uno strumento per unire, anziché dividere, per incoraggiare, anziché deprimere.

La domanda rimane: Perché accade tutto questo? È solo una questione di ascolti, o c’è un disegno più sottile dietro questa costante alimentazione del malessere? E soprattutto, cosa possiamo fare noi cittadini per richiedere un’informazione più equilibrata e umana?

domenica 17 novembre 2024

Una chiacchierata con Seneca sul futuro dell'Italia.

Stanotte ho fatto un sogno che mi ha trasportato in un luogo fuori dal tempo, sotto un maestoso castagno. La sua chioma ampia offriva un riparo rassicurante, e lì, seduto accanto a me, c'era Lucio Anneo Seneca, il grande filosofo stoico. Il suo sguardo era sereno, come quello di chi ha visto il mondo attraverso l'occhio della saggezza e ne ha compreso le contraddizioni.

Non ho esitato a porgli la domanda che più mi tormenta: "Seneca, quale futuro ci attende? L’Italia sembra avvolta in una spirale di disillusione e conflitti, e la gente non sa più dove cercare speranza."

Seneca mi ha fissato per un istante, poi ha risposto con quella calma che solo i saggi possiedono:
"Giovanni, l’Italia che descrivi somiglia a Roma nei suoi momenti di maggiore incertezza. Tuttavia, ricorda: nulla è mai perduto fintanto che l’uomo possiede virtù e ragione. Il problema non è il caos, ma la mancanza di disciplina interiore. Chi guida un popolo deve essere saldo, non per potere, ma per esempio."

"Ma come si può guidare senza cadere nel cinismo o nell'opportunismo?" gli ho chiesto, pensando alla classe politica attuale.

"Chi governa," ha risposto Seneca, "deve nutrirsi di umiltà e sapere che il suo compito non è dominare, ma servire. Il potere non è un diritto, ma un fardello da portare con dignità. La decadenza della politica nasce quando si antepone l'interesse personale al bene comune. Insegna agli uomini che il vero successo non è l’accumulo di ricchezze o gloria, ma il vivere secondo giustizia e virtù."

"Seneca, in questo tempo sembra che regni la divisione. La società si frantuma in fazioni sempre più distanti."

"Ogni divisione," mi ha spiegato, "nasce dalla paura. E la paura è figlia dell'ignoranza. Il popolo, quando è lasciato nell’oscurità, cerca sicurezza nelle illusioni più semplici e nei conflitti più superficiali. Per unire, Giovanni, devi istruire. Non nel senso sterile della conoscenza, ma nell’arte del pensare criticamente e nel riconoscere l’umanità dell’altro. La pace non si costruisce con la forza, ma con la comprensione."

"Ma oggi, chi ci insegna a pensare? Le voci più alte sono quelle che urlano, e il silenzio della riflessione è sopraffatto."

"Tu stesso," disse con un sorriso, "sei parte della risposta. Ogni uomo che si interroga, che semina idee, che pianta un albero – come fai tu – è un maestro. Non attendere che siano i potenti a cambiare il corso della storia. Sono gli uomini semplici che, con azioni ripetute, trasformano il mondo. Ricorda: la vera grandezza è costruire per chi verrà dopo di noi."

Il vento passava tra i rami del castagno, portando con sé il profumo delle foglie cadute. Ho sentito il bisogno di confessargli un ultimo pensiero.
"Ho paura che questa Italia, che io amo tanto, perda la sua identità. Che diventi un luogo in cui non ci si riconosce più."

Seneca ha annuito con gravità.
"L’identità non è ciò che ereditate, ma ciò che scegliete di custodire e rinnovare. Le tue radici italiane sono forti, ma non lasciarle seccare per mancanza di cura. Siate fieri non solo della vostra storia, ma anche della vostra capacità di adattarvi, di accogliere e di evolvere. Un’identità che non si trasforma è destinata a spegnersi. Non temere il cambiamento: temine solo il vuoto."

A quelle parole, il sogno è sfumato, ma il messaggio di Seneca mi è rimasto inciso nell’anima. Quando mi sono svegliato, ho guardato dalla finestra: il cielo di Statte era terso, e la giornata prometteva bene. Ho deciso di fare quello che posso, come posso, per seminare speranza.

L’Italia ha un futuro, ma spetta a ciascuno di noi nutrirlo. Seneca mi ha ricordato che la vera trasformazione non avviene attraverso grandi rivoluzioni, ma nei piccoli gesti quotidiani. E così, passo dopo passo, possiamo costruire un Paese che non solo ricordi chi è stato, ma sappia immaginare chi può diventare.

sabato 16 novembre 2024

Dialogo sull’uomo della casacca multicolore.

Socrate: Dimmi, caro amico, qual è la virtù più alta che deve possedere colui che guida il popolo?

Glaucone: Non è forse la giustizia, Socrate? O, forse, la fermezza nelle proprie convinzioni?

Socrate: Bene hai parlato, Glaucone. Ma dimmi, allora, che cosa diresti di quell’uomo che oggi proclama la giustizia da un lato, e domani si volge al lato opposto, tradendo il popolo che lo ha eletto e gli ideali che aveva giurato di difendere?

Glaucone: Io lo chiamerei un traditore, Socrate.

Socrate: Eppure, caro amico, costui si difenderebbe dicendo che il suo mutamento non è tradimento, bensì saggezza. Dirà che egli "adatta la sua azione alle circostanze" e che tutto ciò che fa è "per il bene comune".

Glaucone: Ma, Socrate, non è forse una perversione dell’anima cambiare posizione solo per ottenere vantaggi personali? È questa la saggezza che guida la città?

Socrate: Ahimè, Glaucone, costoro non sono filosofi, né uomini d’onore. Sono artigiani della menzogna, che confezionano casacche di vari colori per piacere al mercato delle passioni altrui. Non seguono il bene della città, ma quello del loro borsello, saltando di parte in parte come un attore da un ruolo all’altro.

Glaucone: E quale sarà, Socrate, il destino della città che si affida a uomini così?

Socrate: Una città guidata da costoro non sarà mai un luogo di giustizia, ma un teatro di inganni. E i cittadini, anziché ammirare la virtù, apprenderanno l’arte del tradimento. Il bene comune verrà sacrificato sull’altare dell’interesse personale, e l’armonia della città sarà distrutta.

Glaucone: Ma allora, Socrate, come potremo liberarci di tali uomini?

Socrate: Solo quando i cittadini impareranno a distinguere l’uomo giusto dal mercante di casacche, allora tornerà la luce della virtù. Fino ad allora, Glaucone, la città resterà preda di questi saltimbanchi del potere, che confondono il cambiamento con la saggezza e la menzogna con la necessità.

E così, finché applaudiamo il trasformista, non possiamo lamentarci se la giustizia, come un uccello spaventato, fugge lontano dalla nostra città.

venerdì 15 novembre 2024

Cronaca nera, paura e diffidenza.

La cronaca nera domina da anni una parte significativa dell'informazione italiana, diventando una lente di ingrandimento attraverso cui guardiamo le nostre città, il mondo intorno e le storie dei nostri connazionali. Tra talk show, articoli di giornale e aggiornamenti continui sui social, sembra quasi che ogni tragedia o fatto di sangue sia imperdibile. Ma cosa comporta, a lungo termine, questa scelta editoriale? E che conseguenze ha sull’ascoltatore medio?

La logica della cronaca nera: una calamita per l’attenzione

Iniziamo col dire che le notizie di cronaca nera generano attenzione, una delle risorse più preziose dell’era digitale. La morbosità e l’interesse che queste storie suscitano si legano alla nostra psicologia: crimini e tragedie colpiscono emotivamente, e le persone, spesso inconsciamente, tendono a concentrarsi su ciò che percepiscono come minaccioso o drammatico. Questi racconti di dolore e orrore creano anche un "appuntamento fisso", una narrazione in continua evoluzione che spinge chi ascolta o guarda a ritornare per avere aggiornamenti. Di fronte a un episodio di cronaca nera, i media sanno che possono costruire un’audience fidelizzata.

Le conseguenze di un’informazione focalizzata sulla paura

Con una copertura costante della cronaca nera, si rischia però di creare un clima di paura, diffidenza e persino paranoia. Gli ascoltatori si sentono come se ogni città o quartiere fosse sull’orlo del caos. Questo è particolarmente vero per la televisione, dove i titoli a effetto e i toni enfatici amplificano l’impressione di un Paese in perenne pericolo. E anche se i dati ci dicono che molti crimini sono diminuiti rispetto al passato, i media inducono un “bias della disponibilità” – ovvero, facciamo più fatica a valutare i rischi reali rispetto a ciò che ci viene più frequentemente mostrato. La cronaca nera diventa quindi una sorta di "mappa" distorta della realtà, che porta a percepire il mondo come molto più pericoloso di quanto non sia realmente.

Ansia e distacco: due reazioni contrapposte

La focalizzazione sulla cronaca nera ha due principali effetti sull’ascoltatore medio: ansia e distacco. Alcuni sviluppano un senso di insicurezza crescente, percependo ogni situazione quotidiana come potenzialmente pericolosa. In questo contesto, i genitori, ad esempio, possono arrivare a limitare l'autonomia dei propri figli, o i cittadini potrebbero assumere comportamenti di isolamento per “proteggersi” dai rischi della società.

Dall’altra parte, l’esposizione continua alla violenza e alle tragedie può generare anche una sorta di “assuefazione emotiva”: un distacco e una desensibilizzazione verso i drammi umani. Abituati a convivere con queste notizie, alcuni sviluppano un meccanismo di autodifesa psicologica che li porta a ignorare i problemi reali o ad affrontarli con indifferenza, relegando ogni tragedia a mero spettacolo. Il dramma altrui non è più percepito come qualcosa di reale, ma come una storia tra le tante.

Cronaca nera: chi paga il prezzo della spettacolarizzazione?

Un altro elemento critico è l’effetto della cronaca nera sulle persone direttamente coinvolte, spesso messe sotto una luce che sfrutta il loro dolore. Famiglie di vittime, sospettati, testimoni: tutti vengono gettati nell'arena pubblica, spesso senza considerazione per le conseguenze. Questa prassi rispecchia un problema etico enorme, perché spesso la vita privata di chi è coinvolto in tragedie viene ridotta a dettaglio strumentalizzato, sacrificando la dignità personale sull’altare dell'audience.

L’effetto sociale: diffidenza e populismo

La cronaca nera non solo modella le emozioni individuali, ma contribuisce anche a una cultura della diffidenza, che ha spesso risvolti politici. Alimentare la paura del crimine crea le condizioni ideali per discorsi populisti e reazionari, con la richiesta di misure estreme per garantire la sicurezza. La retorica securitaria si inserisce in questo terreno fertile, offrendo soluzioni drastiche che in alcuni casi si rivelano non solo inefficaci, ma persino dannose per i diritti civili e il clima sociale. Un ascoltatore bombardato da cronaca nera potrebbe infatti perdere la fiducia nelle istituzioni, che sembrano incapaci di garantire un livello di sicurezza adeguato.

Uscire dall’ossessione per la cronaca nera

Per contrastare questi effetti negativi, sarebbe auspicabile che i media adottassero una maggiore varietà di contenuti, offrendo anche esempi positivi di impegno civile, notizie di cronaca bianca e storie che ispirino. Un approccio più equilibrato permetterebbe di raccontare la realtà in tutte le sue sfaccettature, non solo quelle più dolorose e inquietanti. La responsabilità, poi, non è solo dei media, ma anche del pubblico, che dovrebbe prendere consapevolezza di come la cronaca nera sia solo un aspetto del mondo.

In conclusione, una nazione che si nutre di cronaca nera rischia di diventare un Paese in cui paura e diffidenza prevalgono su solidarietà e apertura. Serve quindi uno sforzo collettivo per uscire da questa spirale e costruire una visione del mondo più equilibrata e meno focalizzata sulla paura, perché ciò che ascoltiamo quotidianamente modella il nostro modo di vedere gli altri, la nostra comunità e il nostro futuro.

Amianto killer

🔴📰 AMIANTO, KILLER SILENZIOSO

L'amianto, noto anche come asbesto, è stato largamente impiegato nel passato in molti settori, grazie alle sue proprietà isolanti, ignifughe e di resistenza. Tuttavia, nonostante i suoi vantaggi funzionali, è ormai accertato che l'amianto rappresenta un grave pericolo per la salute umana, tanto che è stato vietato in Italia dal 1992. Eppure, i suoi effetti continuano a farsi sentire a causa della sua massiccia presenza in molti edifici, strutture pubbliche e private, capannoni industriali e perfino in alcune tubature. La problematica del suo smaltimento è, oggi, una questione urgente e complessa, che richiede una chiara consapevolezza da parte dei cittadini e un impegno costante da parte delle istituzioni.

Perché l'amianto è pericoloso?

La pericolosità dell'amianto risiede nelle sue fibre microscopiche, che possono essere facilmente inalate e depositarsi nei polmoni, causando gravi malattie respiratorie e oncologiche. Tra le principali patologie provocate dall'amianto ci sono:

1. Asbestosi: una malattia polmonare progressiva che si manifesta con cicatrici nel tessuto polmonare, compromettendo la capacità respiratoria.

2. Mesotelioma: un tumore maligno che colpisce il mesotelio, una membrana che riveste i polmoni e altri organi interni. È una delle forme di cancro più aggressive e difficili da trattare.

3. Cancro al polmone: i soggetti esposti all’amianto hanno un rischio molto più alto di sviluppare il cancro polmonare.

4. Altri tumori: oltre ai polmoni, anche organi come laringe, ovaie e altre aree del tratto respiratorio possono essere colpite da tumori legati all’esposizione all’amianto.

Il problema maggiore è che queste patologie possono manifestarsi anche a distanza di decenni dall'esposizione iniziale, rendendo difficile sia la prevenzione che la cura.

Come smaltire l'amianto?

La rimozione e lo smaltimento dell'amianto devono essere gestiti con estrema attenzione, perché il rischio di contaminazione e di esposizione alle fibre durante le operazioni di rimozione è molto alto. La legge italiana prevede che solo personale qualificato possa effettuare la rimozione e il trasporto dell’amianto. Ecco i passaggi principali per lo smaltimento:

1. Individuazione e Mappatura: è fondamentale individuare le zone in cui è presente amianto e valutare il suo stato. Questa operazione è spesso effettuata da tecnici qualificati in collaborazione con aziende specializzate.

2. Encapsulamento o Confinamento: in alcune situazioni, anziché rimuovere l'amianto, si può optare per un trattamento di encapsulamento (ricopertura delle superfici con resine speciali) o confinamento (isolamento del materiale). Queste soluzioni sono temporanee e di solito richiedono manutenzione periodica.

3. Rimozione e Smaltimento: quando si decide per la rimozione, l’amianto deve essere prelevato da tecnici esperti e trasportato in discariche autorizzate. Durante il trasporto, il materiale viene sigillato per evitare la dispersione di fibre.

4. Bonifica e Monitoraggio: una volta rimosso, è importante bonificare la zona, verificando che non ci siano più tracce di fibre residue. Inoltre, il monitoraggio ambientale è essenziale per garantire la sicurezza di chi frequenta la zona in futuro.

Il Ruolo delle istituzioni e delle imprese

Il problema dell’amianto è complesso e richiede interventi coordinati da parte delle istituzioni e delle aziende. Le aziende che hanno utilizzato amianto in passato o che ne sono responsabili devono provvedere alla messa in sicurezza e allo smaltimento, mentre le istituzioni, sia a livello locale che nazionale, dovrebbero garantire una gestione sicura e sostenibile dei siti contaminati.

In Italia, il Piano Nazionale Amianto (PNA), elaborato dal Ministero della Salute, rappresenta uno strumento chiave per mappare i siti contaminati e promuovere azioni di prevenzione e bonifica. Tuttavia, ci sono ancora molte aree che non sono state completamente mappate, e la carenza di risorse economiche e burocratiche ostacola il progresso delle operazioni di bonifica.

L’amianto è una "bomba a orologeria" ancora presente nelle nostre città, un rischio silenzioso che continua a minare la salute di chi vive e lavora vicino ai materiali contaminati. È quindi essenziale una maggiore consapevolezza tra i cittadini e un impegno più deciso da parte delle istituzioni. Gli interventi di bonifica devono essere prioritari, e le risorse stanziate per affrontare questo problema devono essere sufficienti.

Solo una forte collaborazione tra enti pubblici, aziende e cittadini può garantire che questo killer silenzioso sia finalmente eliminato dalle nostre comunità. Agire adesso è una necessità per garantire un futuro più sicuro per le generazioni presenti e future.

🖊 GP

© free

giovedì 14 novembre 2024

Il mito della caverna

📰 Il mito della caverna di Platone ci dà un’immagine potente che, nonostante risalga a duemila anni fa, continua a descrivere in modo attuale la nostra realtà, specie in una società sempre più dominata dai media. 
Nel mito, Platone ci chiede di immaginare degli uomini incatenati dentro una caverna, costretti a guardare solo una parete davanti a loro. 
Su questa parete vengono proiettate delle ombre, generate da figure trasportate dietro di loro, in un passaggio illuminato da un fuoco. Per i prigionieri, quelle ombre sono la realtà. Non conoscono nulla oltre a esse e non immaginano che il mondo fuori dalla caverna sia ben diverso e più ricco.

In chiave moderna, la caverna rappresenta il mondo costruito dai media e dai social: spesso noi, come i prigionieri, osserviamo solo una porzione limitata della realtà, modellata e proiettata da un filtro di informazioni selezionate e spesso manipolate. 
I media costruiscono “ombre” sotto forma di notizie semplificate, sensazionalistiche o addirittura false, che creano in noi una percezione distorta del mondo.

▪️Esempio concreto: la bolla dei social media

I social media, come Facebook o Instagram, creano vere e proprie "caverne" digitali. Questi network funzionano attraverso algoritmi che selezionano per noi i contenuti che “potrebbero piacerci di più”. Il risultato è che vediamo solo ciò che conferma le nostre idee e interessi, rafforzando le nostre opinioni preesistenti. Questo fenomeno è noto come filtro-bolla: una sorta di isolamento informativo in cui le persone interagiscono solo con informazioni che rispecchiano i loro gusti, evitando ogni confronto con visioni diverse.

Se pensiamo ai prigionieri nella caverna, vediamo che essi non hanno idea di cosa ci sia al di fuori della loro limitata prospettiva. 
Allo stesso modo, noi possiamo finire per credere che la realtà dei nostri social sia la realtà assoluta, senza mai aprirci a punti di vista differenti. 
Ad esempio, se una persona segue solo pagine o profili che pubblicano contenuti cospirazionisti, finirà per vivere in una realtà parallela in cui ogni evento sembra il frutto di complotti. Non verrà mai a conoscenza di informazioni che possano contraddire quelle idee.

▪️Le "ombre" della televisione e dei notiziari

Anche la televisione, con i suoi telegiornali e programmi di intrattenimento, ci offre una versione parziale e, spesso, manipolata della realtà. Il modo in cui le notizie vengono selezionate, l’ordine con cui vengono presentate e il tono utilizzato servono a costruire una narrativa. 
Pensiamo a come alcuni media enfatizzino certe notizie di cronaca nera o di pericolo incombente, generando paura e insicurezza. È una forma di “ombra” che impedisce di vedere il mondo in modo equilibrato: concentrandoci solo sulle notizie sensazionalistiche, possiamo arrivare a credere che il mondo sia pericoloso, instabile e pieno di minacce, ignorando tutto ciò che non fa notizia.

▪️Il cinema e il mito della bellezza

Un altro esempio è il modo in cui il cinema e la pubblicità creano immagini ideali della bellezza, del successo e della felicità. 
Queste immagini, spesso irraggiungibili, diventano il nostro metro di giudizio: se non corrispondiamo agli standard che ci vengono presentati, ci sentiamo inadeguati. Le figure patinate delle pubblicità o le star del cinema sono un’ombra illusoria, che riflette solo uno stereotipo, non la realtà. 
La caverna moderna, in questo caso, è il mondo dell’intrattenimento, che ci porta a misurare noi stessi con standard irreali.

▪️La realtà oltre la caverna: verso un’informazione critica

Platone immaginava che uno dei prigionieri riuscisse a liberarsi e uscisse dalla caverna. All’inizio, sarebbe stato accecato dalla luce del sole, perché non abituato alla realtà. Piano piano, però, si sarebbe reso conto di quanto il mondo fuori fosse più complesso e colorato di quelle ombre. 
Tornato nella caverna per raccontare agli altri prigionieri ciò che aveva visto, sarebbe stato deriso e rifiutato. 
Anche oggi, chi cerca di raccontare la realtà senza filtrarla, proponendo fatti e dati complessi o non allineati con l’opinione prevalente, spesso incontra resistenza.

Per uscire dalla “caverna mediatica” servono spirito critico e curiosità. La “luce” di oggi potrebbe essere la nostra capacità di cercare informazioni da più fonti, di confrontarci con idee diverse, di approfondire i temi senza fermarci al titolo o al post sensazionalistico. Solo così possiamo riconoscere le “ombre” e avvicinarci a una visione più completa della realtà.

Il mito della caverna, quindi, non è solo un racconto filosofico antico, ma una metafora attuale della nostra condizione nella società dell'informazione. 
Sta a noi decidere se accontentarci delle ombre o uscire alla ricerca della verità.

🖊 GP

Intervista a Enrico Berlinguer

📰 L’intervista immaginaria a Enrico Berlinguer sulla politica italiana attuale e sul futuro della sinistra

Nell’immaginare quest’intervista impossibile, ma al tempo stesso vicina allo spirito e alla visione di uno dei leader più amati della sinistra italiana, Enrico Berlinguer, ho voluto dare voce a una prospettiva che tanti ancora sentono attuale. Quest’intervista non è che un esercizio di fantasia, ma chissà che non rispecchi qualcosa che, se fosse vivo, Berlinguer stesso avrebbe potuto dirci.

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🔸️ Intervista

▫️Domanda: Buongiorno, segretario Berlinguer. Oggi, in questo mondo immaginario, ci troviamo di fronte a una sinistra italiana in cerca di identità. Se potesse, cosa direbbe agli attuali dirigenti dei partiti di sinistra per indirizzarli su un cammino che si allinei davvero con i bisogni della gente?

Enrico Berlinguer: Grazie a voi per questa “possibilità di parola” che mi concedete. A chi si definisce leader della sinistra, vorrei dire che il punto di partenza deve essere l’autenticità. La sinistra può tornare ad avere senso solo se la gente sentirà che è tornata ad ascoltare, non da distante, ma in mezzo alle persone, nelle strade, nei mercati, nelle fabbriche, nei luoghi dove si svolge la vita vera.

Serve che la politica sia prima di tutto trasparente e che il lavoro torni a essere dignitoso. Al centro del nostro programma ci dev’essere il lavoro, inteso non come slogan, ma come diritto fondamentale, perché è nel lavoro che le persone trovano non solo il pane, ma anche la dignità, l'autostima e un ruolo attivo nella società. Bisogna tornare a dare priorità a chi non ha mezzi e difendere gli sfruttati, chi non arriva a fine mese, i giovani senza prospettive, i pensionati che vedono ridursi il loro potere d’acquisto. Questo è ciò che una vera sinistra deve fare.

▫️Domanda: Oggi molti giovani sembrano distanti dalla politica e disillusi. Come convincerli a tornare a partecipare, a credere che la politica può davvero essere una leva di cambiamento?

Enrico Berlinguer: Quella disillusione non mi sorprende. Troppi hanno visto promesse non mantenute, e il linguaggio della politica è ormai spesso incomprensibile, distaccato, autoreferenziale. È fondamentale che i giovani vedano nella politica una leva di cambiamento reale e non un sistema chiuso e poco accessibile.

Serve quindi una visione a lungo termine, che parli alle loro preoccupazioni. Parlo dell’emergenza climatica, della precarietà lavorativa, dei diritti sociali e civili. È necessario che la sinistra proponga leggi per un lavoro stabile, che offra un programma economico che non sia di austerità ma di investimenti in settori sostenibili, e che protegga chi è in difficoltà. Dobbiamo costruire una società in cui i giovani si sentano sicuri e rappresentati. E’ dovere della sinistra fare in modo che ogni ragazzo o ragazza non debba sentirsi un peso, ma parte attiva nella costruzione di una società giusta.

▫️Domanda: A proposito di società giusta, una delle tematiche che Lei affrontava spesso era quella della “questione morale”. Qual è oggi il significato di questo concetto?

Enrico Berlinguer: La “questione morale” è sempre stata una delle mie più grandi preoccupazioni, ed è quanto mai attuale. Il potere deve essere esercitato per servire, non per arricchirsi, per promuovere interessi pubblici, non per nascondere traffici e corruzioni. Oggi assistiamo a uno spettacolo che, in troppe occasioni, va nella direzione opposta. La sinistra deve fare della pulizia e della trasparenza la sua bandiera: chi gestisce la cosa pubblica deve essere al di sopra di ogni sospetto, deve rispettare le leggi e fare della legalità il primo punto del proprio programma.

▫️Domanda: Veniamo al programma di governo. Che cosa proporrebbe concretamente per rilanciare l’Italia in questo momento?

Enrico Berlinguer: Prima di tutto, bisogna lavorare per un’economia che rispetti l’ambiente e che dia priorità ai cittadini. Questo significa investire in settori strategici come le energie rinnovabili, la digitalizzazione etica, l’istruzione, la sanità pubblica. Serve un piano di investimenti pubblici che non si limiti a rincorrere i profitti immediati, ma guardi al benessere a lungo termine, a creare posti di lavoro dignitosi e a dare futuro ai territori che soffrono di disoccupazione cronica.

Alla sanità pubblica, poi, bisogna ridare centralità. Oggi è impensabile che la cura venga ridotta a una questione di profitto o che i servizi pubblici diventino luoghi di “tagli”. La sanità e l’istruzione devono essere accessibili a tutti, senza eccezioni.

Serve anche una politica fiscale giusta, che riequilibri le disuguaglianze. Chi ha di più deve contribuire di più, in maniera progressiva. Senza politiche redistributive eque non si avrà mai giustizia sociale. La sinistra deve avere il coraggio di mettere nero su bianco queste proposte, senza compromessi.

▫️Domanda: Un’ultima domanda. Si parla spesso di crisi di identità della sinistra. Come ritrovare la strada?

Enrico Berlinguer: Guardiamo alla storia, ricordiamoci chi siamo e perché siamo nati. La sinistra italiana, che fu tra le più grandi dell'Occidente, ha costruito le sue battaglie sull’uguaglianza, sui diritti, sulla dignità del lavoro e della persona. Deve smettere di inseguire mode, tendenze internazionali, o di farsi influenzare da modelli che poco hanno a che vedere con la nostra realtà.

Bisogna costruire una visione propria, che sappia interpretare il presente e dare speranza per il futuro. Se la sinistra tornerà a parlare il linguaggio della coerenza, della solidarietà e della giustizia, sono certo che la gente tornerà ad ascoltare. La strada è quella di sempre: non cedere ai compromessi e ricordarsi che noi siamo qui per difendere chi non ha voce.

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Quest’intervista immaginaria, pur frutto di un’esercitazione fantasiosa, può forse aiutarci a riflettere sulle direzioni da prendere e sul significato profondo di ciò che la sinistra potrebbe essere. Guardare indietro a Berlinguer significa anche guardare avanti, verso una politica che molti sognano ancora: pulita, giusta e veramente democratica.

🖊 GP

@mettere in evidenza

lunedì 11 novembre 2024

Mi sento un viaggiatore

Mi sento come un viaggiatore che, guardando il cammino alle sue spalle, vede tanta strada già percorsa, fatta di momenti, scelte, sacrifici, e sogni realizzati o solo sfiorati. Ma davanti, vedo ancora una parte del percorso da compiere, più breve sì, ma forse per questo ancora più preziosa.

Ho meno tempo di prima, e questo mi fa riflettere su cosa davvero conta, su ciò che desidero lasciare alle persone che amo, su ciò che vale la pena coltivare con cura. Non ho più tempo da perdere in cose vuote o in rapporti che non mi danno nulla. Il tempo per litigi inutili, per cose futili, per portare pesi che non mi appartengono... è finito.

Oggi mi sento ancora più deciso a seguire ciò che mi fa sentire vivo e vero. Ci sono alberi da piantare, sorrisi da regalare, cause in cui credo da sostenere. Perché, alla fine, siamo il frutto di ciò che scegliamo di fare con il nostro tempo, e io voglio che questo tempo resti ancorato a un senso, a un significato.

Forse la vita non si misura in anni, ma in quanta vita riusciamo a mettere nei giorni che ci restano. E così, con ogni passo che faccio, sento che il cammino vale ogni singolo istante.
🖊GP

Guardare in faccia la difficoltà, trovare il coraggio di servire

Per me, la normalità è questa: guardare in faccia chi ha bisogno e potergli dire, con semplicità e umanità, “Posso esserti utile in qualche modo?”. Spesso ci troviamo a parlare di “diversità” come di un muro che ci separa. Ma la verità è che non siamo fatti per essere fotocopie l'uno dell’altro: ciascuno di noi è unico, con le proprie esperienze, capacità e sogni.

Mi domando se sia giusto usare espressioni come “portatore di handicap”. Non sarà che a creare le vere difficoltà, il vero “handicap”, sia in realtà l’ignoranza di chi non riesce a vedere il valore che ogni persona porta con sé? Forse, chiudiamo le porte alla comprensione e alla solidarietà semplicemente perché non sappiamo come aprirle.

Tutto questo mi tocca profondamente, e mi porta a desiderare un mondo più inclusivo, più autentico. Un mondo in cui ci si riconosca non per le etichette, ma per la nostra capacità di accogliere, ascoltare e crescere insieme.

Essere diversi non ci rende distanti. Anzi, è proprio in questa diversità che possiamo trovare un punto di incontro, un’ispirazione, la forza di costruire una società che sappia mettere al centro la dignità e il rispetto per tutti.

domenica 10 novembre 2024

I gradini della vita

La vita è come una scala: ogni gradino è una scelta, una direzione che decidiamo di prendere. 
Possiamo salire, spingendo lo sguardo in avanti, o possiamo scendere, a volte frenati dalle paure o dai momenti di stanchezza. 
Ma non è la direzione a definire il valore di quel viaggio: è il modo in cui affrontiamo ogni gradino, con curiosità, pazienza e coraggio.
Ogni gradino ha qualcosa da insegnare, basta fermarsi un attimo, respirare e guardare ciò che ci circonda. 
È lì che la vita, nel suo movimento continuo, ci ricorda che siamo noi a darle significato, un passo dopo l’altro.

sabato 9 novembre 2024

I treni

I treni sono mezzi creatori di storie. 
Sali su quel vagone e, senza accorgertene, ti trovi catapultato in un viaggio che non è solo fisico, ma anche emotivo. Ogni binario rappresenta una linea temporale che collega passato, presente e futuro, e ogni stazione è una pausa dove riprendi fiato, magari ti guardi intorno, e vedi altri volti, altre vite.

A pensarci, il treno è l'unico mezzo che ci dà del 'tu' senza alcuna formalità, senza chiedere permesso. 
Scava tra i tuoi ricordi, si aggira silenzioso nel presente. E quando si avvicina alla tua destinazione, ti ricorda che il futuro è lì, che ti aspetta, e non fa sconti.
Il treno è un filo che cuce la tua storia a quelle degli altri, lasciando ricordi, riflessioni e talvolta qualche rimpianto in ogni stazione.

venerdì 8 novembre 2024

L'esempio che manca

Ci sono momenti in cui è necessario fermarsi, osservare e prendere posizione. Troppo spesso, però, ci troviamo di fronte a persone che non conoscono il limite della decenza, individui pronti a gettarsi come lupi su qualunque opportunità per il loro tornaconto, anche se il prezzo da pagare è l'umanità stessa. È una corsa all’oro, dove tutto vale, dove la parola rispetto ha perso peso e la parola dignità è dimenticata.

Ma cosa possiamo fare noi? La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo: dobbiamo essere l’esempio che manca.

Ci vuole il coraggio di difendere i valori di giustizia, di solidarietà e di rispetto. Non lasciamo che le nostre parole siano solo voci nel vento, facciamole vivere ogni giorno nei nostri gesti. Quando parliamo, non facciamolo solo per reagire, ma per costruire. E quando agiamo, pensiamo al bene di tutti, non solo al nostro.

Il mondo cambia quando qualcuno decide di essere fermo come una roccia. Non lasciamoci travolgere da chi assalta la diligenza. Piantiamo radici profonde, uniamoci e rendiamo ogni giorno migliore con piccoli atti di resistenza, affinché nessuno possa dire che abbiamo chinato la testa o girato lo sguardo.

Intervista ad un albero: la voce silenziosa della natura

Stamattina, con la luce che filtra tra i rami e una leggera brezza che sembra volermi spingere ad ascoltare, ho deciso di avvicinarmi ad un vecchio albero. La sua corteccia rugosa racconta storie di piogge e sole, di stagioni passate e uccelli che hanno trovato rifugio tra i suoi rami. Inizio un'intervista surreale, ma è come se l'albero avesse aspettato proprio questo momento per parlare.

Intervistatore: "Buongiorno, vecchio amico. Grazie per aver accettato di parlare con noi. Mi chiedo, come stai? Voglio dire, come stai davvero?"

Albero: "Oh, amico mio, come sto? Sento che sto morendo un po' ogni giorno. Vedi, non è solo la mia corteccia a farsi più fragile, o le radici a faticare a trovare acqua. È tutto quello che mi circonda che sta morendo con me. L’aria che respiro, il suolo che mi nutre, persino il canto degli uccelli è diverso, meno felice, quasi triste."

Intervistatore: "Parli di morte... non è troppo drastico?"

Albero: "Drastico? Purtroppo, è la realtà. Hai visto cosa accade alle foreste del mondo? Ogni minuto scompaiono alberi come me, spesso più giovani, più vitali, tagliati per fare spazio a campi, strade o per semplice profitto. Senti parlare di cambiamenti climatici, di riscaldamento globale, di siccità... ma quanti di voi ascoltano davvero? Ogni volta che un albero cade, è un po' di respiro che se ne va."

Intervistatore: "Cosa pensi degli umani, allora? È vero, sembriamo sempre più scollegati dalla natura."

Albero: "Non ti biasimo del tutto, sai? Non posso essere arrabbiato con tutti. Ci sono persone che ci amano, che provano a difenderci. Ma il problema è che sono poche, e le decisioni che contano le prendono sempre quelli che vedono solo profitto nei numeri, non nella vita. Mi dispiace dirlo, ma molti umani sembrano aver dimenticato che noi siamo i vostri alleati più preziosi. Senza di noi, senza le foreste, la Terra non può sopravvivere. E voi con lei."

Intervistatore: "Cos’è che ti fa più male, concretamente?"

Albero: "Dove vuoi che inizi? Gli incendi, il disboscamento selvaggio, le piogge acide, i pesticidi che avvelenano il terreno. Ogni volta che la vostra macchina sputa fumo, ogni plastica abbandonata nel bosco, ogni goccia di diserbante che usate senza pensarci... tutto questo mi arriva addosso. E non solo a me, ma anche agli insetti che vivono in simbiosi con noi, agli uccelli che fanno il nido tra i nostri rami, agli animali che trovano rifugio qui."

Intervistatore: "Eppure, non si può negare che abbiamo bisogno di tecnologia, di crescere. Non credi?"

Albero: "Non è questione di progresso. Io non sono contro la tecnologia, il cambiamento è naturale, è inevitabile. Ma c’è una differenza tra progresso e devastazione. Voi avete la capacità di costruire città, invenzioni fantastiche, ma perché non riuscite a farlo rispettando la vita? È come se aveste dimenticato il significato di equilibrio. Se mi chiedi un’opinione, direi che l’umanità è diventata cieca nel suo stesso potere."

Intervistatore: "Credi che ci sia ancora speranza?"

Albero: "Io voglio crederci. Ho visto generazioni passare, ho visto la natura rinascere persino dopo incendi e tempeste. La Terra ha un potere di resilienza straordinario, ma ha i suoi limiti. E voi, voi umani, dovete cambiare rotta. Non dico di fermare tutto, ma di imparare a vivere in armonia. Piantate, rispettate, non prendete più di quello che vi serve. Guardate noi alberi: noi diamo tutto senza chiedere nulla, e viviamo per secoli."

Intervistatore: "Un'ultima domanda: se avessi un messaggio da lasciare all'umanità, cosa diresti?"

Albero: "Direi: smettete di distruggere per creare. Cercate la bellezza nella vita che vi circonda e ricordate che siete parte di essa. Non trattateci come se fossimo solo oggetti di legno. Noi alberi siamo i vostri fratelli silenziosi, i guardiani del tempo e dell’aria. Se ci rispetterete, vi aiuteremo a vivere. Ma se continuerete così, un giorno vi sveglierete in un mondo senza ombra, senza ossigeno, senza suoni. E quel giorno sarà troppo tardi."

L'albero è tornato silenzioso, mentre il vento accarezza le sue foglie come un ultimo saluto. Oggi ho sentito la voce di una saggezza antica, una voce che ci richiama a riflettere. Non possiamo più ignorarla.
🖊GP

venerdì 4 ottobre 2024

Adulazione del capo

In ogni gruppo, in ogni comunità, c’è sempre chi, per indole, sceglie di schierarsi senza remore dalla parte del più "potente". Non per convinzione o per ideali, ma per un mero tornaconto personale. 
Sono quelli che glorificano il capo, annientando il proprio io, incapaci di pensiero critico. Si atteggiano a fedeli seguaci, ma in realtà cercano solo di ingannare e raggirare il resto del gruppo.

Questi individui sono pericolosissimi. Non solo rinunciano alla loro dignità, ma avvelenano il contesto in cui operano, impedendo la crescita di una vera comunità basata sul dialogo, sul confronto e sull’autenticità. Chi cerca di trarre vantaggio adulando senza coscienza, rappresenta un rischio per tutti noi: crea una falsa percezione del potere, mina la fiducia reciproca e alimenta un clima di inganno e manipolazione.

A chi sostiene e incoraggia questi comportamenti va la nostra condanna. Non possiamo tollerare chi, per servilismo o paura, rinuncia a se stesso e tradisce la fiducia di chi davvero cerca di fare il bene comune. La nostra forza sta nella capacità di pensare, criticare e costruire insieme, senza subalternità e senza adulazione.
Essere critici non è un atto di ribellione, ma di libertà.

venerdì 6 settembre 2024

I partiti personali

I partiti personali, fondati sull'ego smisurato dei loro leader, più che rappresentare un’ideologia o un insieme di valori collettivi, incarnano le ambizioni, le visioni e spesso le ossessioni di un singolo individuo. E questo, a mio avviso, è uno dei più grandi mali che affligge la politica contemporanea.

Quando un partito diventa la proiezione dell'ego di una persona, si perde il senso della democrazia interna, della partecipazione collettiva, e si entra in una logica che potremmo definire "monarchica". Il leader diventa il centro di tutto: le idee, le decisioni, le strategie non sono più il frutto di un dibattito o di una riflessione comune, ma derivano dalla volontà del capo. Questo crea un clima di sudditanza, dove chi osa mettere in discussione la linea imposta rischia di essere marginalizzato o espulso.

In Italia, abbiamo avuto esempi lampanti di questo fenomeno. Silvio Berlusconi con Forza Italia e poi con il Popolo della Libertà, ha fondato partiti che riflettevano in modo quasi totale la sua visione e la sua figura pubblica. Successivamente, abbiamo visto emergere altre figure, come Matteo Renzi con Italia Viva, che ha portato avanti un progetto politico fortemente personalizzato, spesso a scapito della coesione all'interno del partito stesso. Questi leader sono riusciti a imporsi grazie al loro carisma, alla loro capacità di comunicare, ma anche a un certo grado di narcisismo politico che ha messo in secondo piano l'interesse collettivo.
Anche l'attuale partito di maggioranza di governo è improntato esclusivamente sul suo leader e creatore.

Il problema dei partiti personali è che, quando il leader cade o perde consenso, l'intero progetto politico rischia di scomparire o di implodere. Questo perché non esiste una struttura solida, basata su principi e valori condivisi, che possa sostenere il partito in assenza del suo fondatore. La politica, che dovrebbe essere l'arte della mediazione, del confronto e del compromesso, diventa invece il terreno di gioco di un solo individuo, che decide chi includere e chi escludere, chi premiare e chi punire.

L'ego smisurato di alcuni leader ha portato a una frammentazione del panorama politico, con la nascita di movimenti e partiti che, invece di unire, dividono ulteriormente la società. Ogni leader cerca di costruirsi il proprio feudo, dove il dissenso non è tollerato e la fedeltà al capo diventa la virtù principale. Questo crea un impoverimento del dibattito politico, dove le idee diverse non sono viste come una risorsa, ma come una minaccia.

La politica dovrebbe essere, invece, un progetto collettivo, un processo in cui le idee e le proposte emergono dal confronto e dal dialogo. I partiti dovrebbero essere strumenti al servizio dei cittadini, non delle ambizioni personali di pochi. È fondamentale tornare a una politica fatta di partecipazione, di ascolto e di condivisione, dove il leader è una guida, ma non un despota, dove l'ego lascia spazio al bene comune.

I partiti personali, fondati sull'ego smisurato di alcuni, rappresentano un rischio enorme per la democrazia e per la qualità della politica. Solo recuperando una dimensione collettiva e partecipativa, possiamo sperare di costruire un futuro politico più giusto, inclusivo e democratico.

giovedì 5 settembre 2024

Il tempo


 Il tempo è il dono più prezioso che possiamo ricevere, perché non ha prezzo, non si accumula e non si può restituire. A differenza di qualsiasi oggetto, il tempo è qualcosa che va oltre il tangibile, si inserisce nei nostri cuori, si intreccia ai nostri ricordi e definisce le relazioni che coltiviamo. Quando qualcuno ci dona il proprio tempo, ci sta regalando una parte della propria vita, qualcosa che non recupererà mai. Non c'è gesto più generoso.

Pensaci: nel caos della vita moderna, dove tutti corriamo dietro a obiettivi, successi e impegni, il tempo sembra essere l’unica cosa che scivola via senza che ce ne accorgiamo. Eppure, è proprio in quei momenti condivisi con chi amiamo, nelle chiacchierate senza fretta, nelle risate inaspettate o nei silenzi condivisi, che troviamo la vera essenza del tempo. Ogni minuto passato con chi amiamo è un seme piantato nel giardino della nostra memoria, che fiorisce ogni volta che ci soffermiamo a ricordare.
Quando qualcuno sceglie di passare del tempo con noi, ci sta dicendo che, in quel momento, non c'è nulla di più importante. È un atto di fiducia, di vicinanza, di amore. E noi, spesso, lo diamo per scontato. Viviamo come se il tempo fosse infinito, come se ogni giornata fosse solo una tappa intermedia verso un domani migliore. Ma il tempo migliore è ora, qui, in questo momento.
La vera grandezza del tempo è che, pur nella sua finitezza, ci regala l'immortalità: attraverso i momenti vissuti con gli altri, attraverso le tracce che lasciamo nei cuori delle persone, possiamo vivere per sempre. E allora, il dono più grande che possiamo fare a qualcuno non è un oggetto costoso o un gesto plateale, ma quel bene tanto raro quanto prezioso: il nostro tempo.

Ricordi di un’epoca senza smartphone: Il gioco della bottiglia

Prima che gli smartphone entrassero nelle nostre vite, c’era un modo molto più semplice e genuino per esprimere i nostri desideri e sentimenti: il gioco della bottiglia. Ricordate quelle serate in compagnia, con il cerchio di amici che si formava spontaneamente attorno a una semplice bottiglia di vetro? Quel gioco aveva una magia tutta sua, fatta di sguardi, sorrisi timidi e cuori che battevano forte.

Era un rito di passaggio, una sorta di campo minato emotivo in cui ogni giro di bottiglia poteva trasformarsi in una dichiarazione d’amore, o in un bacio tanto desiderato quanto temuto. E certo, a volte finiva con un litigio, ma anche quello faceva parte del gioco. Era un modo per prendere coraggio, per dire ciò che si aveva dentro senza il filtro di uno schermo. Non c'erano "like", nessuna notifica, solo il coraggio di guardare negli occhi la persona che ti piaceva e sperare che la bottiglia si fermasse proprio su di lei.

Quel gioco creava legami, metteva in moto emozioni vere, e ogni giro di bottiglia era un passo verso la scoperta di noi stessi e degli altri. Si rideva, ci si imbarazzava, ma alla fine, c’era sempre un senso di complicità che univa tutti i partecipanti. Oggi, in un mondo dominato dai social network, è facile dimenticare quanto fosse importante quel contatto umano diretto, quelle parole sussurrate e quegli sguardi rubati.

Forse, dovremmo prendere esempio dal passato e ritrovare un po’ di quella semplicità. Chissà, magari anche solo per una sera, mettere giù il telefono e ritrovare il coraggio di girare una vecchia bottiglia sul pavimento, senza preoccuparci di chi vedrà o commenterà, ma solo di vivere il momento. 

E voi avete mai giocato a questo gioco?
Avete qualche ricordo in merito?

L'auto esaltazione del proprio io

L'auto esaltazione del proprio io è una delle trappole più sottili e pericolose per l'essere umano, e paradossalmente è spesso considerata una forza. Ma sotto la superficie di questa ostentata sicurezza, c'è una fragilità che diventa evidente solo con il tempo. Perché l'autoesaltazione è una debolezza? Proviamo a ragionarci insieme.

Prima di tutto, chi ha bisogno di autoesaltarsi di solito cerca una compensazione. È come se gridare al mondo le proprie qualità fosse un modo per convincere se stessi della propria validità. Ma chi ha davvero fiducia in sé, non ha bisogno di continui applausi o conferme esterne: l'autentica sicurezza è silenziosa. La necessità di autocelebrarsi rivela quindi un vuoto, una fragilità interiore che non viene colmata da risultati reali, ma solo da una percezione superficiale di successo.

L'autoesaltazione isola. Quando metti continuamente te stesso al centro di ogni discorso, di ogni situazione, allontani gli altri. Le relazioni basate sull'autocompiacimento non sono genuine, ma solo apparenti. Chi ti circonda non è attratto dalla tua personalità, ma dal potere che ostenti. E, una volta che questo potere crolla – e prima o poi crolla – ti ritrovi solo.

C’è poi un altro aspetto: l'autoesaltazione blocca la crescita personale. Quando ti convinci di essere il migliore, il più brillante o il più capace, smetti di imparare. L'umiltà, quella qualità tanto bistrattata, è in realtà ciò che permette di crescere, di ascoltare gli altri, di riconoscere i propri limiti e superarli. Chi si autoesalta non fa altro che rinchiudersi in una gabbia dorata, un'immagine di sé che non è aperta al cambiamento e che, alla fine, diventa sterile.

Inoltre, l'autoesaltazione ti mette in una posizione di difesa perenne. Se vivi con l'immagine di essere perfetto, ogni critica diventa un attacco personale. Invece di usare le critiche come strumento di crescita, chi si autoesalta le respinge con veemenza, perdendo opportunità preziose di miglioramento. È un paradosso: nel tentativo di proteggere un’immagine idealizzata di sé, si finisce per diventare più vulnerabili e meno capaci di adattarsi alle sfide della vita.

Infine, c’è una questione sociale. In un mondo che già spinge verso la competizione e l’egoismo, l’autoesaltazione crea ulteriore divisione. Le società che prosperano sono quelle basate sulla cooperazione, sulla solidarietà e sul riconoscimento delle capacità altrui. Esaltarsi a discapito degli altri, invece, alimenta l’invidia, il risentimento e, a lungo andare, disgrega i legami sociali.

Se davvero vogliamo essere forti, dobbiamo imparare a guardare oltre il nostro ego, a riconoscere il valore degli altri e a coltivare quella sana umiltà che ci permette di evolvere.

venerdì 23 agosto 2024

Jukebox

Che emozione rievocare quei giorni, quando il mondo sembrava più semplice e bastava poco per sentirsi felici. Caro Jukebox, sei più di una macchina, sei un forziere di ricordi, un ponte che mi riporta alle estati infinite di Ginosa Marina. Il tuo suono meccanico, quel clic quando la puntina toccava il disco, era il segnale che il momento magico stava per iniziare. La musica riempiva l'aria, si mescolava con il rumore delle onde e le risate dei ragazzi che si sfidavano al biliardino.

Ogni moneta che scivolava nella tua fessura era un biglietto per un viaggio nel tempo, per un sogno ad occhi aperti. I pezzi dei grandi artisti dell'epoca non erano solo canzoni, erano colonna sonora di piccoli momenti di vita. Mentre noi, ragazzini con il cuore che batteva forte, facevamo finta di essere disinvolti davanti alle ragazze in vacanza, cercando il coraggio di chiedere un ballo o semplicemente un sorriso.

Era la magia degli anni ’70, un’epoca in cui la semplicità era regina. Bastavano pochi spicci, un panzerotto caldo tra le mani e una Coca-Cola fresca per sentirsi in paradiso. Non avevamo bisogno di molto, perché quel poco era tutto ciò che ci serviva.

Grazie, caro Jukebox, per custodire quei frammenti di felicità che ancora oggi, a distanza di anni, riscaldano il cuore e ci ricordano che la vera ricchezza sta nei piccoli piaceri condivisi. Perché in fondo, quei momenti spensierati non sono mai veramente andati via; sono lì, ogni volta che chiudiamo gli occhi e torniamo a quei giorni, con il mare davanti e una canzone che ci fa sorridere.

Ecco, questo era il bello di quegli anni. Semplicità, sorrisi sinceri e quella sensazione di libertà che solo l'infanzia e la giovinezza possono dare. Che fortuna aver vissuto tutto questo.

🪶 Il Grido del Silenzio

Non sempre i silenzi sono solo vuoti da riempire. A volte, gridano più forte di qualsiasi parola. È nei momenti di silenzio che ...