Il rito della sera ha inizio. Le ombre si allungano, la TV gracchia un po’ troppo alta dalla stanza accanto, e nel corridoio cominciano a farsi sentire i carrelli tintinnanti.
È l’ora della cena, signori e signore.
Un momento sacro, il terzo e ultimo spartiacque della giornata dopo colazione e pranzo. Il tempo qui dentro, l’ho detto e lo ripeto, non lo misuri con l’orologio ma con la posata.
Ed ecco che, come da copione, entra in scena Lei, la regina del carrello, la signora della cena, la maestra del menù personalizzato.
Con mossa elegante e tono familiare entra in stanza, distribuisce vassoi come se stesse servendo a Buckingham Palace e si ferma davanti a me.
Mi fissa.
Solleva il dito indice in modo solenne, un po’ da inquisitore medievale, un po’ da zia al pranzo di Natale, e…
“Io conosco tua moglie… e conosco pure te!”
😳
Silenzio.
Trattengo il cucchiaio sospeso a mezz’aria.
“Oddio,” esclamo io, con l’aria colpevole di chi ha appena rubato un biscotto di nascosto, “spero che non sia una brutta cosa…”
Ma lei ride: “Ma no, cosa dici! Siamo compaesani. Ti ho visto a Statte più volte.”
E lì scatta la svolta.
Mi si gonfia il petto, il cuore si allarga:
vuoi vedere che sto diventando un VIP a mia insaputa?
Un Ferragni del corridoio C? Un influencer di corsia?
Altro che ricovero… qui è tutto un reality, solo che invece dei followers ho i globuli bianchi e i valori delle analisi!
Così, sull’onda dell’entusiasmo e del riconoscimento popolare, le chiedo se posso immortalarla con una foto, per raccontare questo simpatico episodio nella mia saga clinica. Lei acconsente con la grazia di chi è abituata al successo, e io già penso alla caption su Facebook: “La signora che conosce tutti, Statte compresa!”
Ma torniamo al punto focale:
la cena.
Nel vassoio, l’apertura è con un minestrone di verdure con riso. Ora, diciamolo:
non è proprio il mio piatto del cuore.
Sarà che è troppo buono, sarà che ha troppe verdure, sarà che mi ricorda certi esperimenti scolastici delle mense anni ‘80, ma lo assaggio solo per educazione. Giusto un paio di cucchiaiate, come si fa con la zia che cucina male ma ci tiene tanto.
Poi passo al secondo:
fesa di tacchino con contorno di carote rosse.
E qui devo dire che il tacchino fa il suo lavoro, non entusiasma, non delude. È onesto, fa la sua parte.
Accompagno il tutto con l’immancabile panino mignon, che ormai è diventato più famoso del mio referto. Credo abbia più presenze in stanza di qualsiasi altro essere vivente.
A chiudere il banchetto, l’anguria.
Sorpresa! Fresca, dolce, quasi estiva, che a questo punto ci voleva come un ombrellone in corsia.
Insomma, una cena sobria, niente da chef stellati, ma neanche da denuncia.
D’altra parte, se volevo mangiare foie gras andavo da Cracco, non in una struttura sanitaria accreditata.
E va bene così.
Concludo questa nona puntata sorridendo, con lo stomaco semipieno e il cuore grato.
Perché anche oggi ho scoperto qualcosa: che a volte basta una frase gentile e un viso amico per sentirsi un po’ più a casa.
A domani, amici miei.
E ricordate: se una signora entra e dice di conoscervi…
state calmi. Potrebbe solo essere la vostra prossima fan! 😄
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