Ebbene sì, cari amici delle “cronache cliniche”, siamo al gran finale.
La valigia è pronta (o meglio, la borsa con due pigiami stropicciati e il dentifricio consumato).
Lo spirito è alto, le speranze alle stelle e già immagino l’aroma del caffè di casa che mi accoglie come una nonna premurosa.
Ma – e c’è sempre un “ma” – c’è ancora un’ultima prova da superare, l’ultimo livello del videogioco chiamato "ricovero": l’urina di controllo.
Eh già.
Per poter dire “ciao clinica” e tornare finalmente nel mio focolare domestico, bisogna riempire quel benedetto contenitore. Non una goccia, non due, ma la quantità minima per essere presi sul serio dal laboratorio.
Ed è qui che casca l’asino.
Non so se è colpa dell’ansia da prestazione, o di un attaccamento quasi sentimentale alle infermiere e alle OSS che mi coccolano ogni giorno, ma il mio organismo – come dire – fa orecchie da mercante.
Ho già bevuto due bottigliette d’acqua come se fossi appena tornato dal deserto del Sahara, sto per aprire la terza, ma nel contenitore… il nulla cosmico.
O quasi.
Diciamo che è più un bicchierino da degustazione che una porzione da analisi medica.
Nel frattempo, scatta la scena da commedia all’italiana.
Faccio su e giù per la stanza come un condannato in cerca della grazia, con lo sguardo perso nel vuoto e le mani giunte in preghiera laica.
Ogni tanto, si affaccia l’infermiere con quel classico “Beh?” che in realtà significa:
> “Allora, hai fatto il tuo dovere oppure ci tocca rimandare tutto?”
Io, con lo sguardo basso e un filo di voce, rispondo:
> “Ancora poco…”
Dopo mezz’ora, cambio di attori: si presenta l’OSS. Stessa scena, stessa domanda.
E io? Stessa misera risposta.
A questo punto mi sento come quei mariti degli anni ’80, vestiti male e con i baffi storti, che camminano avanti e indietro dietro il vetro della sala parto, aspettando notizie della partoriente… solo che qui il bambino è una pipì che non vuol nascere!
Sarà la sindrome del paziente? Sarà il timore inconscio di abbandonare il nido protetto della clinica, dove ogni mattina ti chiedono come stai e ti sistemano il cuscino con amore?
Non lo so.
So solo che questo flusso bloccato è diventato metafora della vita: quando tutto sembra andare per il verso giusto, c’è sempre qualcosa che ti costringe ad aspettare.
Ma io non mollo.
La casa mi aspetta.
E anche il mio bagno, il mio caffè, le pantofole e – diciamolo – la mia privacy.
E allora sì, cari amici, oggi si combatte contro l’ultimo nemico: la vescica timida.
Ma vi prometto che ce la farò.
E se tutto va come deve, la prossima puntata sarà un inno alla libertà… dalla stanza XX! 💪💧🚽
Nessun commento:
Posta un commento