“Il pranzo è servito!”
A dirlo non è uno chef in smoking né un maître con guanti bianchi, ma la nostra meravigliosa inserviente, che sbuca sulla soglia della stanza come un annuncio del destino, con la mitica frase di rito:
“Chi si può alzare e chi no?”
Al che, io — con un moto d’orgoglio, una fiammella di dignità appena riaccesa e la postura di chi ha vinto almeno una battaglia — rispondo pronto:
“Io posso, finalmente ho finito l’agonia del pranzo a letto!”
Lei sorride, sincera, e con quella dolcezza che solo chi fa questo lavoro con il cuore può avere, dice:
“Benissimo, sono veramente contenta per voi.”
E no, cari lettori, queste non sono frasi di circostanza.
Per chi è qui dentro, lontano dal suo letto, dai suoi oggetti, dalle sue abitudini, ogni parola gentile è un balsamo, ogni frase sentita è una carezza che sfiora l’anima.
E ora passiamo al piatto forte del giorno: il pranzo.
Ebbene sì, siamo tornati al solido.
Dite quello che volete, ma dopo giorni di semiliquidi dal colore incerto, vedere un piatto di pasta con zucchine ha avuto lo stesso effetto di una cena stellata.
Pur non essendo un fan di questo genere di minestra (anzi, a casa mia le zucchine solitamente hanno vita breve e destino infelice), oggi ne ho mangiata metà porzione con gusto e senza fiatare.
Secondo piatto?
Stelle di pollo impanate, probabilmente al forno, con contorno di verdura cotta.
Un piatto sobrio, onesto, dignitoso, che mi ha fatto sentire, almeno per mezz’ora, un uomo riconciliato con la digestione.
Frutta: una banana.
Pane: il solito piccolo panino, sempre più piccolo, quasi simbolico, ma ormai parte integrante dell’esperienza spirituale.
E mentre gustavo il tutto, seduto (!!!) al tavolino, con una mano sulla forchetta e l’altra sul cuore, riflettevo su quanto conti il sostegno vero.
Perché i messaggi che ricevo, le chiamate, i commenti sotto i miei post… sono il termometro dell’affetto sincero.
Quello che non dipende da ruoli, da incarichi, da “posti che contano”.
Quello che resta quando non hai più nulla da dare se non la tua sincerità, la tua umanità, nuda e cruda.
Grazie. Davvero.
A voi che leggete, a voi che mi scrivete, a voi che ci siete.
Perché anche da un letto di clinica, con una banana come dessert e un lenzuolo che pizzica, ci si può sentire amati.
Alla prossima puntata,
che magari si intitolerà: “Il misterioso ritorno della camminata autonoma”… ma non corriamo troppo.