Stamattina, mentre ero in auto, immerso nei miei pensieri, la radio ha iniziato a suonare Generale di Francesco De Gregori. Una canzone che non ascoltavo da un po', ma che ogni volta mi scava dentro. Ed è stato proprio in quel momento, mentre guidavo in silenzio e le parole di De Gregori scorrevano tra un ricordo e l’altro, che mi è tornato in mente cosa ha significato per tanti ragazzi, in quegli anni, la leva obbligatoria. Così nasce questo post. Da una suggestione. Da un’emozione. Dal desiderio di fissare su carta – o meglio, sui social – una memoria collettiva.
Per chi è nato tra gli anni ’50 e ’80, la “naia” è stata molto più di un dovere civile: è stata una tappa obbligata della vita, un salto nel vuoto che molti affrontavano a denti stretti. Ricevere la cartolina precetto era un colpo al cuore: ti cambiava i piani, ti sradicava dalla tua quotidianità, ti spediva lontano, spesso dall’altra parte dell’Italia.
C’era chi partiva piangendo, chi facendo lo spavaldo, chi semplicemente rassegnato. Ma dietro ogni zaino c’era un giovane con mille domande e poche certezze. Le prime settimane erano durissime: sveglie all’alba, urla, divisa, marce, regole incomprensibili, gerarchie ferree. Ma con il passare del tempo, quella caserma diventava una piccola patria, fatta di camerati che condividevano tutto: dalle fatiche ai sorrisi.
Si facevano amicizie che duravano anni, si scoprivano dialetti, abitudini, mondi diversi. Ragazzi del Sud mandati al Nord, e viceversa. Tutti insieme, sotto la stessa coperta ruvida, con lo stesso piatto di rancio davanti. In mezzo a tutto questo, si cresceva. A volte anche in fretta, spesso senza accorgersene.
Ma non era tutto rose e fiori. C’erano anche lati oscuri: il nonnismo, la noia, il disagio di chi non accettava quell’ambiente. Ed è anche da queste esperienze che è nato, negli anni ’90, il movimento degli obiettori di coscienza e il servizio civile come alternativa.
Eppure, ancora oggi, per chi l’ha vissuta, la leva è una parentesi che non si dimentica. Un’esperienza che ti porti dentro, nel bene e nel male. Una scuola di vita, per molti. Per altri, una ferita. Ma per tutti, un passaggio.
Poi è arrivato il 2005, e con la sospensione della leva obbligatoria si è chiuso un capitolo della nostra storia. Da allora siamo cambiati. Siamo diventati più liberi, forse. Ma anche più soli.
Oggi, nell’auto, mentre De Gregori cantava la malinconia di una giovinezza andata, ho capito che era giusto ricordare. Per chi c’era, per chi non c’è più. Perché anche la naja, in fondo, è stata Italia. Una parte vera, ruvida e intensa della nostra vita.
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