venerdì 15 novembre 2024

Cronaca nera, paura e diffidenza.

La cronaca nera domina da anni una parte significativa dell'informazione italiana, diventando una lente di ingrandimento attraverso cui guardiamo le nostre città, il mondo intorno e le storie dei nostri connazionali. Tra talk show, articoli di giornale e aggiornamenti continui sui social, sembra quasi che ogni tragedia o fatto di sangue sia imperdibile. Ma cosa comporta, a lungo termine, questa scelta editoriale? E che conseguenze ha sull’ascoltatore medio?

La logica della cronaca nera: una calamita per l’attenzione

Iniziamo col dire che le notizie di cronaca nera generano attenzione, una delle risorse più preziose dell’era digitale. La morbosità e l’interesse che queste storie suscitano si legano alla nostra psicologia: crimini e tragedie colpiscono emotivamente, e le persone, spesso inconsciamente, tendono a concentrarsi su ciò che percepiscono come minaccioso o drammatico. Questi racconti di dolore e orrore creano anche un "appuntamento fisso", una narrazione in continua evoluzione che spinge chi ascolta o guarda a ritornare per avere aggiornamenti. Di fronte a un episodio di cronaca nera, i media sanno che possono costruire un’audience fidelizzata.

Le conseguenze di un’informazione focalizzata sulla paura

Con una copertura costante della cronaca nera, si rischia però di creare un clima di paura, diffidenza e persino paranoia. Gli ascoltatori si sentono come se ogni città o quartiere fosse sull’orlo del caos. Questo è particolarmente vero per la televisione, dove i titoli a effetto e i toni enfatici amplificano l’impressione di un Paese in perenne pericolo. E anche se i dati ci dicono che molti crimini sono diminuiti rispetto al passato, i media inducono un “bias della disponibilità” – ovvero, facciamo più fatica a valutare i rischi reali rispetto a ciò che ci viene più frequentemente mostrato. La cronaca nera diventa quindi una sorta di "mappa" distorta della realtà, che porta a percepire il mondo come molto più pericoloso di quanto non sia realmente.

Ansia e distacco: due reazioni contrapposte

La focalizzazione sulla cronaca nera ha due principali effetti sull’ascoltatore medio: ansia e distacco. Alcuni sviluppano un senso di insicurezza crescente, percependo ogni situazione quotidiana come potenzialmente pericolosa. In questo contesto, i genitori, ad esempio, possono arrivare a limitare l'autonomia dei propri figli, o i cittadini potrebbero assumere comportamenti di isolamento per “proteggersi” dai rischi della società.

Dall’altra parte, l’esposizione continua alla violenza e alle tragedie può generare anche una sorta di “assuefazione emotiva”: un distacco e una desensibilizzazione verso i drammi umani. Abituati a convivere con queste notizie, alcuni sviluppano un meccanismo di autodifesa psicologica che li porta a ignorare i problemi reali o ad affrontarli con indifferenza, relegando ogni tragedia a mero spettacolo. Il dramma altrui non è più percepito come qualcosa di reale, ma come una storia tra le tante.

Cronaca nera: chi paga il prezzo della spettacolarizzazione?

Un altro elemento critico è l’effetto della cronaca nera sulle persone direttamente coinvolte, spesso messe sotto una luce che sfrutta il loro dolore. Famiglie di vittime, sospettati, testimoni: tutti vengono gettati nell'arena pubblica, spesso senza considerazione per le conseguenze. Questa prassi rispecchia un problema etico enorme, perché spesso la vita privata di chi è coinvolto in tragedie viene ridotta a dettaglio strumentalizzato, sacrificando la dignità personale sull’altare dell'audience.

L’effetto sociale: diffidenza e populismo

La cronaca nera non solo modella le emozioni individuali, ma contribuisce anche a una cultura della diffidenza, che ha spesso risvolti politici. Alimentare la paura del crimine crea le condizioni ideali per discorsi populisti e reazionari, con la richiesta di misure estreme per garantire la sicurezza. La retorica securitaria si inserisce in questo terreno fertile, offrendo soluzioni drastiche che in alcuni casi si rivelano non solo inefficaci, ma persino dannose per i diritti civili e il clima sociale. Un ascoltatore bombardato da cronaca nera potrebbe infatti perdere la fiducia nelle istituzioni, che sembrano incapaci di garantire un livello di sicurezza adeguato.

Uscire dall’ossessione per la cronaca nera

Per contrastare questi effetti negativi, sarebbe auspicabile che i media adottassero una maggiore varietà di contenuti, offrendo anche esempi positivi di impegno civile, notizie di cronaca bianca e storie che ispirino. Un approccio più equilibrato permetterebbe di raccontare la realtà in tutte le sue sfaccettature, non solo quelle più dolorose e inquietanti. La responsabilità, poi, non è solo dei media, ma anche del pubblico, che dovrebbe prendere consapevolezza di come la cronaca nera sia solo un aspetto del mondo.

In conclusione, una nazione che si nutre di cronaca nera rischia di diventare un Paese in cui paura e diffidenza prevalgono su solidarietà e apertura. Serve quindi uno sforzo collettivo per uscire da questa spirale e costruire una visione del mondo più equilibrata e meno focalizzata sulla paura, perché ciò che ascoltiamo quotidianamente modella il nostro modo di vedere gli altri, la nostra comunità e il nostro futuro.

Amianto killer

🔴📰 AMIANTO, KILLER SILENZIOSO

L'amianto, noto anche come asbesto, è stato largamente impiegato nel passato in molti settori, grazie alle sue proprietà isolanti, ignifughe e di resistenza. Tuttavia, nonostante i suoi vantaggi funzionali, è ormai accertato che l'amianto rappresenta un grave pericolo per la salute umana, tanto che è stato vietato in Italia dal 1992. Eppure, i suoi effetti continuano a farsi sentire a causa della sua massiccia presenza in molti edifici, strutture pubbliche e private, capannoni industriali e perfino in alcune tubature. La problematica del suo smaltimento è, oggi, una questione urgente e complessa, che richiede una chiara consapevolezza da parte dei cittadini e un impegno costante da parte delle istituzioni.

Perché l'amianto è pericoloso?

La pericolosità dell'amianto risiede nelle sue fibre microscopiche, che possono essere facilmente inalate e depositarsi nei polmoni, causando gravi malattie respiratorie e oncologiche. Tra le principali patologie provocate dall'amianto ci sono:

1. Asbestosi: una malattia polmonare progressiva che si manifesta con cicatrici nel tessuto polmonare, compromettendo la capacità respiratoria.

2. Mesotelioma: un tumore maligno che colpisce il mesotelio, una membrana che riveste i polmoni e altri organi interni. È una delle forme di cancro più aggressive e difficili da trattare.

3. Cancro al polmone: i soggetti esposti all’amianto hanno un rischio molto più alto di sviluppare il cancro polmonare.

4. Altri tumori: oltre ai polmoni, anche organi come laringe, ovaie e altre aree del tratto respiratorio possono essere colpite da tumori legati all’esposizione all’amianto.

Il problema maggiore è che queste patologie possono manifestarsi anche a distanza di decenni dall'esposizione iniziale, rendendo difficile sia la prevenzione che la cura.

Come smaltire l'amianto?

La rimozione e lo smaltimento dell'amianto devono essere gestiti con estrema attenzione, perché il rischio di contaminazione e di esposizione alle fibre durante le operazioni di rimozione è molto alto. La legge italiana prevede che solo personale qualificato possa effettuare la rimozione e il trasporto dell’amianto. Ecco i passaggi principali per lo smaltimento:

1. Individuazione e Mappatura: è fondamentale individuare le zone in cui è presente amianto e valutare il suo stato. Questa operazione è spesso effettuata da tecnici qualificati in collaborazione con aziende specializzate.

2. Encapsulamento o Confinamento: in alcune situazioni, anziché rimuovere l'amianto, si può optare per un trattamento di encapsulamento (ricopertura delle superfici con resine speciali) o confinamento (isolamento del materiale). Queste soluzioni sono temporanee e di solito richiedono manutenzione periodica.

3. Rimozione e Smaltimento: quando si decide per la rimozione, l’amianto deve essere prelevato da tecnici esperti e trasportato in discariche autorizzate. Durante il trasporto, il materiale viene sigillato per evitare la dispersione di fibre.

4. Bonifica e Monitoraggio: una volta rimosso, è importante bonificare la zona, verificando che non ci siano più tracce di fibre residue. Inoltre, il monitoraggio ambientale è essenziale per garantire la sicurezza di chi frequenta la zona in futuro.

Il Ruolo delle istituzioni e delle imprese

Il problema dell’amianto è complesso e richiede interventi coordinati da parte delle istituzioni e delle aziende. Le aziende che hanno utilizzato amianto in passato o che ne sono responsabili devono provvedere alla messa in sicurezza e allo smaltimento, mentre le istituzioni, sia a livello locale che nazionale, dovrebbero garantire una gestione sicura e sostenibile dei siti contaminati.

In Italia, il Piano Nazionale Amianto (PNA), elaborato dal Ministero della Salute, rappresenta uno strumento chiave per mappare i siti contaminati e promuovere azioni di prevenzione e bonifica. Tuttavia, ci sono ancora molte aree che non sono state completamente mappate, e la carenza di risorse economiche e burocratiche ostacola il progresso delle operazioni di bonifica.

L’amianto è una "bomba a orologeria" ancora presente nelle nostre città, un rischio silenzioso che continua a minare la salute di chi vive e lavora vicino ai materiali contaminati. È quindi essenziale una maggiore consapevolezza tra i cittadini e un impegno più deciso da parte delle istituzioni. Gli interventi di bonifica devono essere prioritari, e le risorse stanziate per affrontare questo problema devono essere sufficienti.

Solo una forte collaborazione tra enti pubblici, aziende e cittadini può garantire che questo killer silenzioso sia finalmente eliminato dalle nostre comunità. Agire adesso è una necessità per garantire un futuro più sicuro per le generazioni presenti e future.

🖊 GP

© free

giovedì 14 novembre 2024

Il mito della caverna

📰 Il mito della caverna di Platone ci dà un’immagine potente che, nonostante risalga a duemila anni fa, continua a descrivere in modo attuale la nostra realtà, specie in una società sempre più dominata dai media. 
Nel mito, Platone ci chiede di immaginare degli uomini incatenati dentro una caverna, costretti a guardare solo una parete davanti a loro. 
Su questa parete vengono proiettate delle ombre, generate da figure trasportate dietro di loro, in un passaggio illuminato da un fuoco. Per i prigionieri, quelle ombre sono la realtà. Non conoscono nulla oltre a esse e non immaginano che il mondo fuori dalla caverna sia ben diverso e più ricco.

In chiave moderna, la caverna rappresenta il mondo costruito dai media e dai social: spesso noi, come i prigionieri, osserviamo solo una porzione limitata della realtà, modellata e proiettata da un filtro di informazioni selezionate e spesso manipolate. 
I media costruiscono “ombre” sotto forma di notizie semplificate, sensazionalistiche o addirittura false, che creano in noi una percezione distorta del mondo.

▪️Esempio concreto: la bolla dei social media

I social media, come Facebook o Instagram, creano vere e proprie "caverne" digitali. Questi network funzionano attraverso algoritmi che selezionano per noi i contenuti che “potrebbero piacerci di più”. Il risultato è che vediamo solo ciò che conferma le nostre idee e interessi, rafforzando le nostre opinioni preesistenti. Questo fenomeno è noto come filtro-bolla: una sorta di isolamento informativo in cui le persone interagiscono solo con informazioni che rispecchiano i loro gusti, evitando ogni confronto con visioni diverse.

Se pensiamo ai prigionieri nella caverna, vediamo che essi non hanno idea di cosa ci sia al di fuori della loro limitata prospettiva. 
Allo stesso modo, noi possiamo finire per credere che la realtà dei nostri social sia la realtà assoluta, senza mai aprirci a punti di vista differenti. 
Ad esempio, se una persona segue solo pagine o profili che pubblicano contenuti cospirazionisti, finirà per vivere in una realtà parallela in cui ogni evento sembra il frutto di complotti. Non verrà mai a conoscenza di informazioni che possano contraddire quelle idee.

▪️Le "ombre" della televisione e dei notiziari

Anche la televisione, con i suoi telegiornali e programmi di intrattenimento, ci offre una versione parziale e, spesso, manipolata della realtà. Il modo in cui le notizie vengono selezionate, l’ordine con cui vengono presentate e il tono utilizzato servono a costruire una narrativa. 
Pensiamo a come alcuni media enfatizzino certe notizie di cronaca nera o di pericolo incombente, generando paura e insicurezza. È una forma di “ombra” che impedisce di vedere il mondo in modo equilibrato: concentrandoci solo sulle notizie sensazionalistiche, possiamo arrivare a credere che il mondo sia pericoloso, instabile e pieno di minacce, ignorando tutto ciò che non fa notizia.

▪️Il cinema e il mito della bellezza

Un altro esempio è il modo in cui il cinema e la pubblicità creano immagini ideali della bellezza, del successo e della felicità. 
Queste immagini, spesso irraggiungibili, diventano il nostro metro di giudizio: se non corrispondiamo agli standard che ci vengono presentati, ci sentiamo inadeguati. Le figure patinate delle pubblicità o le star del cinema sono un’ombra illusoria, che riflette solo uno stereotipo, non la realtà. 
La caverna moderna, in questo caso, è il mondo dell’intrattenimento, che ci porta a misurare noi stessi con standard irreali.

▪️La realtà oltre la caverna: verso un’informazione critica

Platone immaginava che uno dei prigionieri riuscisse a liberarsi e uscisse dalla caverna. All’inizio, sarebbe stato accecato dalla luce del sole, perché non abituato alla realtà. Piano piano, però, si sarebbe reso conto di quanto il mondo fuori fosse più complesso e colorato di quelle ombre. 
Tornato nella caverna per raccontare agli altri prigionieri ciò che aveva visto, sarebbe stato deriso e rifiutato. 
Anche oggi, chi cerca di raccontare la realtà senza filtrarla, proponendo fatti e dati complessi o non allineati con l’opinione prevalente, spesso incontra resistenza.

Per uscire dalla “caverna mediatica” servono spirito critico e curiosità. La “luce” di oggi potrebbe essere la nostra capacità di cercare informazioni da più fonti, di confrontarci con idee diverse, di approfondire i temi senza fermarci al titolo o al post sensazionalistico. Solo così possiamo riconoscere le “ombre” e avvicinarci a una visione più completa della realtà.

Il mito della caverna, quindi, non è solo un racconto filosofico antico, ma una metafora attuale della nostra condizione nella società dell'informazione. 
Sta a noi decidere se accontentarci delle ombre o uscire alla ricerca della verità.

🖊 GP

Intervista a Enrico Berlinguer

📰 L’intervista immaginaria a Enrico Berlinguer sulla politica italiana attuale e sul futuro della sinistra

Nell’immaginare quest’intervista impossibile, ma al tempo stesso vicina allo spirito e alla visione di uno dei leader più amati della sinistra italiana, Enrico Berlinguer, ho voluto dare voce a una prospettiva che tanti ancora sentono attuale. Quest’intervista non è che un esercizio di fantasia, ma chissà che non rispecchi qualcosa che, se fosse vivo, Berlinguer stesso avrebbe potuto dirci.

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🔸️ Intervista

▫️Domanda: Buongiorno, segretario Berlinguer. Oggi, in questo mondo immaginario, ci troviamo di fronte a una sinistra italiana in cerca di identità. Se potesse, cosa direbbe agli attuali dirigenti dei partiti di sinistra per indirizzarli su un cammino che si allinei davvero con i bisogni della gente?

Enrico Berlinguer: Grazie a voi per questa “possibilità di parola” che mi concedete. A chi si definisce leader della sinistra, vorrei dire che il punto di partenza deve essere l’autenticità. La sinistra può tornare ad avere senso solo se la gente sentirà che è tornata ad ascoltare, non da distante, ma in mezzo alle persone, nelle strade, nei mercati, nelle fabbriche, nei luoghi dove si svolge la vita vera.

Serve che la politica sia prima di tutto trasparente e che il lavoro torni a essere dignitoso. Al centro del nostro programma ci dev’essere il lavoro, inteso non come slogan, ma come diritto fondamentale, perché è nel lavoro che le persone trovano non solo il pane, ma anche la dignità, l'autostima e un ruolo attivo nella società. Bisogna tornare a dare priorità a chi non ha mezzi e difendere gli sfruttati, chi non arriva a fine mese, i giovani senza prospettive, i pensionati che vedono ridursi il loro potere d’acquisto. Questo è ciò che una vera sinistra deve fare.

▫️Domanda: Oggi molti giovani sembrano distanti dalla politica e disillusi. Come convincerli a tornare a partecipare, a credere che la politica può davvero essere una leva di cambiamento?

Enrico Berlinguer: Quella disillusione non mi sorprende. Troppi hanno visto promesse non mantenute, e il linguaggio della politica è ormai spesso incomprensibile, distaccato, autoreferenziale. È fondamentale che i giovani vedano nella politica una leva di cambiamento reale e non un sistema chiuso e poco accessibile.

Serve quindi una visione a lungo termine, che parli alle loro preoccupazioni. Parlo dell’emergenza climatica, della precarietà lavorativa, dei diritti sociali e civili. È necessario che la sinistra proponga leggi per un lavoro stabile, che offra un programma economico che non sia di austerità ma di investimenti in settori sostenibili, e che protegga chi è in difficoltà. Dobbiamo costruire una società in cui i giovani si sentano sicuri e rappresentati. E’ dovere della sinistra fare in modo che ogni ragazzo o ragazza non debba sentirsi un peso, ma parte attiva nella costruzione di una società giusta.

▫️Domanda: A proposito di società giusta, una delle tematiche che Lei affrontava spesso era quella della “questione morale”. Qual è oggi il significato di questo concetto?

Enrico Berlinguer: La “questione morale” è sempre stata una delle mie più grandi preoccupazioni, ed è quanto mai attuale. Il potere deve essere esercitato per servire, non per arricchirsi, per promuovere interessi pubblici, non per nascondere traffici e corruzioni. Oggi assistiamo a uno spettacolo che, in troppe occasioni, va nella direzione opposta. La sinistra deve fare della pulizia e della trasparenza la sua bandiera: chi gestisce la cosa pubblica deve essere al di sopra di ogni sospetto, deve rispettare le leggi e fare della legalità il primo punto del proprio programma.

▫️Domanda: Veniamo al programma di governo. Che cosa proporrebbe concretamente per rilanciare l’Italia in questo momento?

Enrico Berlinguer: Prima di tutto, bisogna lavorare per un’economia che rispetti l’ambiente e che dia priorità ai cittadini. Questo significa investire in settori strategici come le energie rinnovabili, la digitalizzazione etica, l’istruzione, la sanità pubblica. Serve un piano di investimenti pubblici che non si limiti a rincorrere i profitti immediati, ma guardi al benessere a lungo termine, a creare posti di lavoro dignitosi e a dare futuro ai territori che soffrono di disoccupazione cronica.

Alla sanità pubblica, poi, bisogna ridare centralità. Oggi è impensabile che la cura venga ridotta a una questione di profitto o che i servizi pubblici diventino luoghi di “tagli”. La sanità e l’istruzione devono essere accessibili a tutti, senza eccezioni.

Serve anche una politica fiscale giusta, che riequilibri le disuguaglianze. Chi ha di più deve contribuire di più, in maniera progressiva. Senza politiche redistributive eque non si avrà mai giustizia sociale. La sinistra deve avere il coraggio di mettere nero su bianco queste proposte, senza compromessi.

▫️Domanda: Un’ultima domanda. Si parla spesso di crisi di identità della sinistra. Come ritrovare la strada?

Enrico Berlinguer: Guardiamo alla storia, ricordiamoci chi siamo e perché siamo nati. La sinistra italiana, che fu tra le più grandi dell'Occidente, ha costruito le sue battaglie sull’uguaglianza, sui diritti, sulla dignità del lavoro e della persona. Deve smettere di inseguire mode, tendenze internazionali, o di farsi influenzare da modelli che poco hanno a che vedere con la nostra realtà.

Bisogna costruire una visione propria, che sappia interpretare il presente e dare speranza per il futuro. Se la sinistra tornerà a parlare il linguaggio della coerenza, della solidarietà e della giustizia, sono certo che la gente tornerà ad ascoltare. La strada è quella di sempre: non cedere ai compromessi e ricordarsi che noi siamo qui per difendere chi non ha voce.

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Quest’intervista immaginaria, pur frutto di un’esercitazione fantasiosa, può forse aiutarci a riflettere sulle direzioni da prendere e sul significato profondo di ciò che la sinistra potrebbe essere. Guardare indietro a Berlinguer significa anche guardare avanti, verso una politica che molti sognano ancora: pulita, giusta e veramente democratica.

🖊 GP

@mettere in evidenza

lunedì 11 novembre 2024

Mi sento un viaggiatore

Mi sento come un viaggiatore che, guardando il cammino alle sue spalle, vede tanta strada già percorsa, fatta di momenti, scelte, sacrifici, e sogni realizzati o solo sfiorati. Ma davanti, vedo ancora una parte del percorso da compiere, più breve sì, ma forse per questo ancora più preziosa.

Ho meno tempo di prima, e questo mi fa riflettere su cosa davvero conta, su ciò che desidero lasciare alle persone che amo, su ciò che vale la pena coltivare con cura. Non ho più tempo da perdere in cose vuote o in rapporti che non mi danno nulla. Il tempo per litigi inutili, per cose futili, per portare pesi che non mi appartengono... è finito.

Oggi mi sento ancora più deciso a seguire ciò che mi fa sentire vivo e vero. Ci sono alberi da piantare, sorrisi da regalare, cause in cui credo da sostenere. Perché, alla fine, siamo il frutto di ciò che scegliamo di fare con il nostro tempo, e io voglio che questo tempo resti ancorato a un senso, a un significato.

Forse la vita non si misura in anni, ma in quanta vita riusciamo a mettere nei giorni che ci restano. E così, con ogni passo che faccio, sento che il cammino vale ogni singolo istante.
🖊GP

Guardare in faccia la difficoltà, trovare il coraggio di servire

Per me, la normalità è questa: guardare in faccia chi ha bisogno e potergli dire, con semplicità e umanità, “Posso esserti utile in qualche modo?”. Spesso ci troviamo a parlare di “diversità” come di un muro che ci separa. Ma la verità è che non siamo fatti per essere fotocopie l'uno dell’altro: ciascuno di noi è unico, con le proprie esperienze, capacità e sogni.

Mi domando se sia giusto usare espressioni come “portatore di handicap”. Non sarà che a creare le vere difficoltà, il vero “handicap”, sia in realtà l’ignoranza di chi non riesce a vedere il valore che ogni persona porta con sé? Forse, chiudiamo le porte alla comprensione e alla solidarietà semplicemente perché non sappiamo come aprirle.

Tutto questo mi tocca profondamente, e mi porta a desiderare un mondo più inclusivo, più autentico. Un mondo in cui ci si riconosca non per le etichette, ma per la nostra capacità di accogliere, ascoltare e crescere insieme.

Essere diversi non ci rende distanti. Anzi, è proprio in questa diversità che possiamo trovare un punto di incontro, un’ispirazione, la forza di costruire una società che sappia mettere al centro la dignità e il rispetto per tutti.

domenica 10 novembre 2024

I gradini della vita

La vita è come una scala: ogni gradino è una scelta, una direzione che decidiamo di prendere. 
Possiamo salire, spingendo lo sguardo in avanti, o possiamo scendere, a volte frenati dalle paure o dai momenti di stanchezza. 
Ma non è la direzione a definire il valore di quel viaggio: è il modo in cui affrontiamo ogni gradino, con curiosità, pazienza e coraggio.
Ogni gradino ha qualcosa da insegnare, basta fermarsi un attimo, respirare e guardare ciò che ci circonda. 
È lì che la vita, nel suo movimento continuo, ci ricorda che siamo noi a darle significato, un passo dopo l’altro.

sabato 9 novembre 2024

I treni

I treni sono mezzi creatori di storie. 
Sali su quel vagone e, senza accorgertene, ti trovi catapultato in un viaggio che non è solo fisico, ma anche emotivo. Ogni binario rappresenta una linea temporale che collega passato, presente e futuro, e ogni stazione è una pausa dove riprendi fiato, magari ti guardi intorno, e vedi altri volti, altre vite.

A pensarci, il treno è l'unico mezzo che ci dà del 'tu' senza alcuna formalità, senza chiedere permesso. 
Scava tra i tuoi ricordi, si aggira silenzioso nel presente. E quando si avvicina alla tua destinazione, ti ricorda che il futuro è lì, che ti aspetta, e non fa sconti.
Il treno è un filo che cuce la tua storia a quelle degli altri, lasciando ricordi, riflessioni e talvolta qualche rimpianto in ogni stazione.

venerdì 8 novembre 2024

L'esempio che manca

Ci sono momenti in cui è necessario fermarsi, osservare e prendere posizione. Troppo spesso, però, ci troviamo di fronte a persone che non conoscono il limite della decenza, individui pronti a gettarsi come lupi su qualunque opportunità per il loro tornaconto, anche se il prezzo da pagare è l'umanità stessa. È una corsa all’oro, dove tutto vale, dove la parola rispetto ha perso peso e la parola dignità è dimenticata.

Ma cosa possiamo fare noi? La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo: dobbiamo essere l’esempio che manca.

Ci vuole il coraggio di difendere i valori di giustizia, di solidarietà e di rispetto. Non lasciamo che le nostre parole siano solo voci nel vento, facciamole vivere ogni giorno nei nostri gesti. Quando parliamo, non facciamolo solo per reagire, ma per costruire. E quando agiamo, pensiamo al bene di tutti, non solo al nostro.

Il mondo cambia quando qualcuno decide di essere fermo come una roccia. Non lasciamoci travolgere da chi assalta la diligenza. Piantiamo radici profonde, uniamoci e rendiamo ogni giorno migliore con piccoli atti di resistenza, affinché nessuno possa dire che abbiamo chinato la testa o girato lo sguardo.

Intervista ad un albero: la voce silenziosa della natura

Stamattina, con la luce che filtra tra i rami e una leggera brezza che sembra volermi spingere ad ascoltare, ho deciso di avvicinarmi ad un vecchio albero. La sua corteccia rugosa racconta storie di piogge e sole, di stagioni passate e uccelli che hanno trovato rifugio tra i suoi rami. Inizio un'intervista surreale, ma è come se l'albero avesse aspettato proprio questo momento per parlare.

Intervistatore: "Buongiorno, vecchio amico. Grazie per aver accettato di parlare con noi. Mi chiedo, come stai? Voglio dire, come stai davvero?"

Albero: "Oh, amico mio, come sto? Sento che sto morendo un po' ogni giorno. Vedi, non è solo la mia corteccia a farsi più fragile, o le radici a faticare a trovare acqua. È tutto quello che mi circonda che sta morendo con me. L’aria che respiro, il suolo che mi nutre, persino il canto degli uccelli è diverso, meno felice, quasi triste."

Intervistatore: "Parli di morte... non è troppo drastico?"

Albero: "Drastico? Purtroppo, è la realtà. Hai visto cosa accade alle foreste del mondo? Ogni minuto scompaiono alberi come me, spesso più giovani, più vitali, tagliati per fare spazio a campi, strade o per semplice profitto. Senti parlare di cambiamenti climatici, di riscaldamento globale, di siccità... ma quanti di voi ascoltano davvero? Ogni volta che un albero cade, è un po' di respiro che se ne va."

Intervistatore: "Cosa pensi degli umani, allora? È vero, sembriamo sempre più scollegati dalla natura."

Albero: "Non ti biasimo del tutto, sai? Non posso essere arrabbiato con tutti. Ci sono persone che ci amano, che provano a difenderci. Ma il problema è che sono poche, e le decisioni che contano le prendono sempre quelli che vedono solo profitto nei numeri, non nella vita. Mi dispiace dirlo, ma molti umani sembrano aver dimenticato che noi siamo i vostri alleati più preziosi. Senza di noi, senza le foreste, la Terra non può sopravvivere. E voi con lei."

Intervistatore: "Cos’è che ti fa più male, concretamente?"

Albero: "Dove vuoi che inizi? Gli incendi, il disboscamento selvaggio, le piogge acide, i pesticidi che avvelenano il terreno. Ogni volta che la vostra macchina sputa fumo, ogni plastica abbandonata nel bosco, ogni goccia di diserbante che usate senza pensarci... tutto questo mi arriva addosso. E non solo a me, ma anche agli insetti che vivono in simbiosi con noi, agli uccelli che fanno il nido tra i nostri rami, agli animali che trovano rifugio qui."

Intervistatore: "Eppure, non si può negare che abbiamo bisogno di tecnologia, di crescere. Non credi?"

Albero: "Non è questione di progresso. Io non sono contro la tecnologia, il cambiamento è naturale, è inevitabile. Ma c’è una differenza tra progresso e devastazione. Voi avete la capacità di costruire città, invenzioni fantastiche, ma perché non riuscite a farlo rispettando la vita? È come se aveste dimenticato il significato di equilibrio. Se mi chiedi un’opinione, direi che l’umanità è diventata cieca nel suo stesso potere."

Intervistatore: "Credi che ci sia ancora speranza?"

Albero: "Io voglio crederci. Ho visto generazioni passare, ho visto la natura rinascere persino dopo incendi e tempeste. La Terra ha un potere di resilienza straordinario, ma ha i suoi limiti. E voi, voi umani, dovete cambiare rotta. Non dico di fermare tutto, ma di imparare a vivere in armonia. Piantate, rispettate, non prendete più di quello che vi serve. Guardate noi alberi: noi diamo tutto senza chiedere nulla, e viviamo per secoli."

Intervistatore: "Un'ultima domanda: se avessi un messaggio da lasciare all'umanità, cosa diresti?"

Albero: "Direi: smettete di distruggere per creare. Cercate la bellezza nella vita che vi circonda e ricordate che siete parte di essa. Non trattateci come se fossimo solo oggetti di legno. Noi alberi siamo i vostri fratelli silenziosi, i guardiani del tempo e dell’aria. Se ci rispetterete, vi aiuteremo a vivere. Ma se continuerete così, un giorno vi sveglierete in un mondo senza ombra, senza ossigeno, senza suoni. E quel giorno sarà troppo tardi."

L'albero è tornato silenzioso, mentre il vento accarezza le sue foglie come un ultimo saluto. Oggi ho sentito la voce di una saggezza antica, una voce che ci richiama a riflettere. Non possiamo più ignorarla.
🖊GP

venerdì 4 ottobre 2024

Adulazione del capo

In ogni gruppo, in ogni comunità, c’è sempre chi, per indole, sceglie di schierarsi senza remore dalla parte del più "potente". Non per convinzione o per ideali, ma per un mero tornaconto personale. 
Sono quelli che glorificano il capo, annientando il proprio io, incapaci di pensiero critico. Si atteggiano a fedeli seguaci, ma in realtà cercano solo di ingannare e raggirare il resto del gruppo.

Questi individui sono pericolosissimi. Non solo rinunciano alla loro dignità, ma avvelenano il contesto in cui operano, impedendo la crescita di una vera comunità basata sul dialogo, sul confronto e sull’autenticità. Chi cerca di trarre vantaggio adulando senza coscienza, rappresenta un rischio per tutti noi: crea una falsa percezione del potere, mina la fiducia reciproca e alimenta un clima di inganno e manipolazione.

A chi sostiene e incoraggia questi comportamenti va la nostra condanna. Non possiamo tollerare chi, per servilismo o paura, rinuncia a se stesso e tradisce la fiducia di chi davvero cerca di fare il bene comune. La nostra forza sta nella capacità di pensare, criticare e costruire insieme, senza subalternità e senza adulazione.
Essere critici non è un atto di ribellione, ma di libertà.

venerdì 6 settembre 2024

I partiti personali

I partiti personali, fondati sull'ego smisurato dei loro leader, più che rappresentare un’ideologia o un insieme di valori collettivi, incarnano le ambizioni, le visioni e spesso le ossessioni di un singolo individuo. E questo, a mio avviso, è uno dei più grandi mali che affligge la politica contemporanea.

Quando un partito diventa la proiezione dell'ego di una persona, si perde il senso della democrazia interna, della partecipazione collettiva, e si entra in una logica che potremmo definire "monarchica". Il leader diventa il centro di tutto: le idee, le decisioni, le strategie non sono più il frutto di un dibattito o di una riflessione comune, ma derivano dalla volontà del capo. Questo crea un clima di sudditanza, dove chi osa mettere in discussione la linea imposta rischia di essere marginalizzato o espulso.

In Italia, abbiamo avuto esempi lampanti di questo fenomeno. Silvio Berlusconi con Forza Italia e poi con il Popolo della Libertà, ha fondato partiti che riflettevano in modo quasi totale la sua visione e la sua figura pubblica. Successivamente, abbiamo visto emergere altre figure, come Matteo Renzi con Italia Viva, che ha portato avanti un progetto politico fortemente personalizzato, spesso a scapito della coesione all'interno del partito stesso. Questi leader sono riusciti a imporsi grazie al loro carisma, alla loro capacità di comunicare, ma anche a un certo grado di narcisismo politico che ha messo in secondo piano l'interesse collettivo.
Anche l'attuale partito di maggioranza di governo è improntato esclusivamente sul suo leader e creatore.

Il problema dei partiti personali è che, quando il leader cade o perde consenso, l'intero progetto politico rischia di scomparire o di implodere. Questo perché non esiste una struttura solida, basata su principi e valori condivisi, che possa sostenere il partito in assenza del suo fondatore. La politica, che dovrebbe essere l'arte della mediazione, del confronto e del compromesso, diventa invece il terreno di gioco di un solo individuo, che decide chi includere e chi escludere, chi premiare e chi punire.

L'ego smisurato di alcuni leader ha portato a una frammentazione del panorama politico, con la nascita di movimenti e partiti che, invece di unire, dividono ulteriormente la società. Ogni leader cerca di costruirsi il proprio feudo, dove il dissenso non è tollerato e la fedeltà al capo diventa la virtù principale. Questo crea un impoverimento del dibattito politico, dove le idee diverse non sono viste come una risorsa, ma come una minaccia.

La politica dovrebbe essere, invece, un progetto collettivo, un processo in cui le idee e le proposte emergono dal confronto e dal dialogo. I partiti dovrebbero essere strumenti al servizio dei cittadini, non delle ambizioni personali di pochi. È fondamentale tornare a una politica fatta di partecipazione, di ascolto e di condivisione, dove il leader è una guida, ma non un despota, dove l'ego lascia spazio al bene comune.

I partiti personali, fondati sull'ego smisurato di alcuni, rappresentano un rischio enorme per la democrazia e per la qualità della politica. Solo recuperando una dimensione collettiva e partecipativa, possiamo sperare di costruire un futuro politico più giusto, inclusivo e democratico.

giovedì 5 settembre 2024

Il tempo


 Il tempo è il dono più prezioso che possiamo ricevere, perché non ha prezzo, non si accumula e non si può restituire. A differenza di qualsiasi oggetto, il tempo è qualcosa che va oltre il tangibile, si inserisce nei nostri cuori, si intreccia ai nostri ricordi e definisce le relazioni che coltiviamo. Quando qualcuno ci dona il proprio tempo, ci sta regalando una parte della propria vita, qualcosa che non recupererà mai. Non c'è gesto più generoso.

Pensaci: nel caos della vita moderna, dove tutti corriamo dietro a obiettivi, successi e impegni, il tempo sembra essere l’unica cosa che scivola via senza che ce ne accorgiamo. Eppure, è proprio in quei momenti condivisi con chi amiamo, nelle chiacchierate senza fretta, nelle risate inaspettate o nei silenzi condivisi, che troviamo la vera essenza del tempo. Ogni minuto passato con chi amiamo è un seme piantato nel giardino della nostra memoria, che fiorisce ogni volta che ci soffermiamo a ricordare.
Quando qualcuno sceglie di passare del tempo con noi, ci sta dicendo che, in quel momento, non c'è nulla di più importante. È un atto di fiducia, di vicinanza, di amore. E noi, spesso, lo diamo per scontato. Viviamo come se il tempo fosse infinito, come se ogni giornata fosse solo una tappa intermedia verso un domani migliore. Ma il tempo migliore è ora, qui, in questo momento.
La vera grandezza del tempo è che, pur nella sua finitezza, ci regala l'immortalità: attraverso i momenti vissuti con gli altri, attraverso le tracce che lasciamo nei cuori delle persone, possiamo vivere per sempre. E allora, il dono più grande che possiamo fare a qualcuno non è un oggetto costoso o un gesto plateale, ma quel bene tanto raro quanto prezioso: il nostro tempo.

Ricordi di un’epoca senza smartphone: Il gioco della bottiglia

Prima che gli smartphone entrassero nelle nostre vite, c’era un modo molto più semplice e genuino per esprimere i nostri desideri e sentimenti: il gioco della bottiglia. Ricordate quelle serate in compagnia, con il cerchio di amici che si formava spontaneamente attorno a una semplice bottiglia di vetro? Quel gioco aveva una magia tutta sua, fatta di sguardi, sorrisi timidi e cuori che battevano forte.

Era un rito di passaggio, una sorta di campo minato emotivo in cui ogni giro di bottiglia poteva trasformarsi in una dichiarazione d’amore, o in un bacio tanto desiderato quanto temuto. E certo, a volte finiva con un litigio, ma anche quello faceva parte del gioco. Era un modo per prendere coraggio, per dire ciò che si aveva dentro senza il filtro di uno schermo. Non c'erano "like", nessuna notifica, solo il coraggio di guardare negli occhi la persona che ti piaceva e sperare che la bottiglia si fermasse proprio su di lei.

Quel gioco creava legami, metteva in moto emozioni vere, e ogni giro di bottiglia era un passo verso la scoperta di noi stessi e degli altri. Si rideva, ci si imbarazzava, ma alla fine, c’era sempre un senso di complicità che univa tutti i partecipanti. Oggi, in un mondo dominato dai social network, è facile dimenticare quanto fosse importante quel contatto umano diretto, quelle parole sussurrate e quegli sguardi rubati.

Forse, dovremmo prendere esempio dal passato e ritrovare un po’ di quella semplicità. Chissà, magari anche solo per una sera, mettere giù il telefono e ritrovare il coraggio di girare una vecchia bottiglia sul pavimento, senza preoccuparci di chi vedrà o commenterà, ma solo di vivere il momento. 

E voi avete mai giocato a questo gioco?
Avete qualche ricordo in merito?

L'auto esaltazione del proprio io

L'auto esaltazione del proprio io è una delle trappole più sottili e pericolose per l'essere umano, e paradossalmente è spesso considerata una forza. Ma sotto la superficie di questa ostentata sicurezza, c'è una fragilità che diventa evidente solo con il tempo. Perché l'autoesaltazione è una debolezza? Proviamo a ragionarci insieme.

Prima di tutto, chi ha bisogno di autoesaltarsi di solito cerca una compensazione. È come se gridare al mondo le proprie qualità fosse un modo per convincere se stessi della propria validità. Ma chi ha davvero fiducia in sé, non ha bisogno di continui applausi o conferme esterne: l'autentica sicurezza è silenziosa. La necessità di autocelebrarsi rivela quindi un vuoto, una fragilità interiore che non viene colmata da risultati reali, ma solo da una percezione superficiale di successo.

L'autoesaltazione isola. Quando metti continuamente te stesso al centro di ogni discorso, di ogni situazione, allontani gli altri. Le relazioni basate sull'autocompiacimento non sono genuine, ma solo apparenti. Chi ti circonda non è attratto dalla tua personalità, ma dal potere che ostenti. E, una volta che questo potere crolla – e prima o poi crolla – ti ritrovi solo.

C’è poi un altro aspetto: l'autoesaltazione blocca la crescita personale. Quando ti convinci di essere il migliore, il più brillante o il più capace, smetti di imparare. L'umiltà, quella qualità tanto bistrattata, è in realtà ciò che permette di crescere, di ascoltare gli altri, di riconoscere i propri limiti e superarli. Chi si autoesalta non fa altro che rinchiudersi in una gabbia dorata, un'immagine di sé che non è aperta al cambiamento e che, alla fine, diventa sterile.

Inoltre, l'autoesaltazione ti mette in una posizione di difesa perenne. Se vivi con l'immagine di essere perfetto, ogni critica diventa un attacco personale. Invece di usare le critiche come strumento di crescita, chi si autoesalta le respinge con veemenza, perdendo opportunità preziose di miglioramento. È un paradosso: nel tentativo di proteggere un’immagine idealizzata di sé, si finisce per diventare più vulnerabili e meno capaci di adattarsi alle sfide della vita.

Infine, c’è una questione sociale. In un mondo che già spinge verso la competizione e l’egoismo, l’autoesaltazione crea ulteriore divisione. Le società che prosperano sono quelle basate sulla cooperazione, sulla solidarietà e sul riconoscimento delle capacità altrui. Esaltarsi a discapito degli altri, invece, alimenta l’invidia, il risentimento e, a lungo andare, disgrega i legami sociali.

Se davvero vogliamo essere forti, dobbiamo imparare a guardare oltre il nostro ego, a riconoscere il valore degli altri e a coltivare quella sana umiltà che ci permette di evolvere.

venerdì 23 agosto 2024

Jukebox

Che emozione rievocare quei giorni, quando il mondo sembrava più semplice e bastava poco per sentirsi felici. Caro Jukebox, sei più di una macchina, sei un forziere di ricordi, un ponte che mi riporta alle estati infinite di Ginosa Marina. Il tuo suono meccanico, quel clic quando la puntina toccava il disco, era il segnale che il momento magico stava per iniziare. La musica riempiva l'aria, si mescolava con il rumore delle onde e le risate dei ragazzi che si sfidavano al biliardino.

Ogni moneta che scivolava nella tua fessura era un biglietto per un viaggio nel tempo, per un sogno ad occhi aperti. I pezzi dei grandi artisti dell'epoca non erano solo canzoni, erano colonna sonora di piccoli momenti di vita. Mentre noi, ragazzini con il cuore che batteva forte, facevamo finta di essere disinvolti davanti alle ragazze in vacanza, cercando il coraggio di chiedere un ballo o semplicemente un sorriso.

Era la magia degli anni ’70, un’epoca in cui la semplicità era regina. Bastavano pochi spicci, un panzerotto caldo tra le mani e una Coca-Cola fresca per sentirsi in paradiso. Non avevamo bisogno di molto, perché quel poco era tutto ciò che ci serviva.

Grazie, caro Jukebox, per custodire quei frammenti di felicità che ancora oggi, a distanza di anni, riscaldano il cuore e ci ricordano che la vera ricchezza sta nei piccoli piaceri condivisi. Perché in fondo, quei momenti spensierati non sono mai veramente andati via; sono lì, ogni volta che chiudiamo gli occhi e torniamo a quei giorni, con il mare davanti e una canzone che ci fa sorridere.

Ecco, questo era il bello di quegli anni. Semplicità, sorrisi sinceri e quella sensazione di libertà che solo l'infanzia e la giovinezza possono dare. Che fortuna aver vissuto tutto questo.

lunedì 19 agosto 2024

Il carisma perduto: perché il popolo è sempre più distante dalla politica attuale?


Nel panorama politico degli anni '70 e '80, l'Italia poteva vantare figure di straordinario carisma come Enrico Berlinguer, Sandro Pertini, e Aldo Moro. Questi leader non erano solo politici; erano simboli viventi di una politica che sapeva toccare il cuore delle persone, ispirare ideali e guidare intere generazioni verso un futuro percepito come condiviso e partecipato. Oggi, invece, la politica sembra aver smarrito quel magnetismo, quella capacità di affascinare e mobilitare le masse. Il distacco sempre più evidente tra il popolo e la politica potrebbe essere il risultato diretto di questa perdita di carisma.

Il carisma dei leader del passato

Per capire la distanza tra i leader del passato e quelli attuali, dobbiamo prima comprendere cosa rendeva figure come Berlinguer, Pertini, e Moro così uniche e influenti.

1. Enrico Berlinguer: l'icona dell'integrità e dell'ideale.
Segretario del Partito Comunista Italiano (PCI), Berlinguer era ammirato non solo per la sua visione politica, ma anche per la sua integrità personale. In un'epoca di grandi cambiamenti sociali e tensioni internazionali, Berlinguer si presentava come un leader sobrio, con una profonda dedizione alla causa della giustizia sociale. La sua figura era l'incarnazione della coerenza e della serietà, un uomo che parlava poco, ma ogni parola pesava come un macigno. Non era solo un politico, ma un simbolo di un mondo possibile, diverso e più giusto.

2. Sandro Pertini: Il Presidente Partigiano.
Pertini, il settimo Presidente della Repubblica Italiana, è ricordato come uno dei presidenti più amati nella storia del paese. Il suo carisma non derivava solo dal suo passato da partigiano, ma dalla sua capacità di essere percepito come "il Presidente del popolo". In ogni suo discorso emergeva una passione autentica, una dedizione totale alla democrazia e ai valori repubblicani. Pertini sapeva parlare direttamente al cuore degli italiani, incarnando l'idea di una politica al servizio dei cittadini, piuttosto che delle élite.


3. Aldo Moro: la profondità intellettuale e la visione della conciliazione.
Moro, leader della Democrazia Cristiana e più volte Presidente del Consiglio, rappresentava la profondità intellettuale applicata alla politica. Era un maestro della mediazione, capace di dialogare con tutte le parti politiche per trovare soluzioni condivise in un'epoca di forti contrapposizioni. Il suo sequestro e la successiva tragica morte, non solo segnarono la fine di un'epoca, ma lasciarono un vuoto che nessun politico successivo è riuscito a colmare.

La politica di oggi: un teatro senza autenticità?

Oggi, la politica sembra aver perso quella capacità di ispirare e guidare che era propria dei leader del passato. Non è solo una questione di competenza o di idee, ma di un cambiamento più profondo nel modo in cui la politica viene percepita e vissuta.


1. L'influenza dei mass media e del marketing politico.  
Negli ultimi decenni, la politica è diventata sempre più dominata dalle logiche del marketing e dei media. I leader politici sono spesso costruiti come "prodotti" da vendere, con slogan accattivanti e campagne studiate a tavolino per ottenere il massimo consenso nel minor tempo possibile. Questo ha portato a una superficialità diffusa, dove l'immagine e la comunicazione contano più dei contenuti e della sostanza.

2. La perdita di visione e di ideali.  
Mentre figure come Berlinguer, Pertini e Moro erano guidate da forti ideali e da una visione chiara del futuro, molti politici odierni sembrano più concentrati sulla gestione del presente. Manca una progettualità a lungo termine, una visione che sappia trascendere le emergenze quotidiane e offrire un orizzonte di cambiamento reale. Questo rende la politica meno affascinante, meno capace di attirare e coinvolgere i cittadini.

3. La crisi della fiducia e la crescente affermazione del cinismo.  
Il distacco tra il popolo e la politica è anche una conseguenza della crisi di fiducia verso le istituzioni e i loro rappresentanti. Scandali, corruzione e promesse non mantenute hanno alimentato un crescente cinismo, portando molti a vedere la politica come un gioco di potere piuttosto che come uno strumento per migliorare la vita delle persone.

Riconnettere il popolo alla politica: una sfida urgente

Il carisma perduto non è solo una questione nostalgica, ma un problema concreto per la salute della democrazia. Senza leader capaci di ispirare e guidare, il rischio è che la politica diventi sempre più autoreferenziale e distaccata dalla realtà quotidiana dei cittadini.

Per riconnettere il popolo alla politica, è necessario un ritorno all'autenticità, alla passione e alla dedizione che caratterizzavano i leader del passato. La politica deve ritrovare il suo ruolo di servizio, di strumento per il cambiamento sociale, e non di mero amministratore dell'esistente. Solo così potremo sperare di vedere emergere nuove figure capaci di riportare la politica al centro della vita dei cittadini, restituendo quel senso di partecipazione e di fiducia che è andato perduto.

L’algoritmo di Facebook e il caso Gerardina Trovato: quando una storia diventa virale

 

Viviamo in un’epoca in cui le storie non sono più solo raccontate dai media tradizionali, ma possono emergere, diffondersi e diventare virali grazie a un algoritmo. Uno degli esempi più emblematici di questo fenomeno è la vicenda di Gerardina Trovato.
Gerardina, una cantautrice italiana di grande talento, aveva raggiunto il successo negli anni '90, ma poi era lentamente scomparsa dalle scene, travolta da difficoltà personali e professionali. La sua storia sembrava destinata a rimanere nascosta, nota solo a pochi appassionati, fino a quando Facebook non ha deciso diversamente.
Ma cosa significa veramente "Facebook ha deciso"? Qui entra in gioco l’algoritmo, quella formula complessa che seleziona cosa viene mostrato nel feed degli utenti. Gli algoritmi di Facebook (così come quelli di altre piattaforme) sono progettati per massimizzare l’engagement, ovvero per proporre contenuti che potrebbero interessare, coinvolgere e, di conseguenza, far rimanere l’utente più a lungo sulla piattaforma.
Quando un numero sufficiente di persone inizia a interagire con un post, l’algoritmo interpreta queste azioni come un segnale che quel contenuto ha un valore potenzialmente virale. È esattamente quello che è successo con la vicenda di Gerardina Trovato. Un gruppo iniziale di fan o di persone che avevano a cuore la sua storia ha iniziato a condividere post, commentare e mettere "mi piace". A quel punto, l’algoritmo ha cominciato a spingere quei contenuti a un pubblico sempre più vasto, moltiplicando esponenzialmente la visibilità della vicenda.
Questo non è avvenuto perché una redazione ha deciso di raccontare la sua storia, né perché un giornalista ha scritto un articolo toccante. È stato l'algoritmo di Facebook a scegliere, in base a criteri puramente quantitativi, che quella storia doveva essere messa davanti agli occhi di milioni di persone.
E così, una vicenda che altrimenti sarebbe rimasta circoscritta ai margini, ha catturato l'attenzione di un vastissimo pubblico. In pochi giorni, Gerardina Trovato è tornata alla ribalta. Non solo si è parlato di lei come artista, ma la sua storia personale, fatta di lotta, di difficoltà economiche e di isolamento, è diventata un simbolo del lato oscuro della fama e dell’abbandono che molte celebrità possono vivere una volta usciti dai riflettori.
Questo caso ci insegna molto su come funziona l’informazione oggi. Non sempre sono i giornali o le televisioni a decidere cosa diventa notizia. Sempre più spesso, sono gli algoritmi a fare questo lavoro, guidati da interazioni e comportamenti online che segnalano ciò che la gente trova interessante, commovente o semplicemente degno di nota.
Tuttavia, questo sistema ha anche i suoi rischi. Cosa succede quando l'algoritmo decide di ignorare una storia?
Quante vicende umane rimangono nell'ombra perché non raggiungono quella massa critica iniziale di attenzione? Inoltre, c’è il rischio di creare una bolla in cui vediamo solo ciò che conferma i nostri interessi o le nostre opinioni, tralasciando altri punti di vista o notizie di reale importanza.
Il caso di Gerardina Trovato è, dunque, un esempio potente di come il mondo dell’informazione sia cambiato. L’algoritmo di Facebook, con la sua capacità di far emergere storie che altrimenti non avremmo mai conosciuto, è uno strumento potente. Ma come ogni strumento potente, va utilizzato con consapevolezza, sapendo che le sue decisioni possono amplificare voci, ma anche lasciarne altre nell’ombra.

domenica 18 agosto 2024

Il muretto

Ah, i muretti e le gradinate... erano i nostri rifugi, i nostri angoli di mondo dove tutto sembrava possibile. Non avevamo bisogno di grandi palcoscenici o di megafoni per farci sentire, bastavano quelle pietre fredde e consumate, sotto il sole cocente o la luna che ci faceva da lampione. Era lì, tra una risata e una discussione animata, che si formavano le idee, le speranze, i sogni di un futuro migliore.

Ogni sera sembrava un appuntamento sacro, senza bisogno di inviti formali. Ci si ritrovava, quasi come per magia, a parlare di tutto e di niente, ma sempre con quella passione tipica di chi crede di poter cambiare il mondo. E forse, in qualche modo, lo facevamo davvero, almeno nel nostro piccolo universo. Le parole volavano leggere, a volte cariche di ingenuità, altre volte di una saggezza che forse nemmeno sapevamo di possedere.

Eravamo giovani, pieni di vita, pieni di illusioni. Non ci rendevamo conto di quanto sarebbe stata dura la strada da percorrere, di quanti di noi si sarebbero persi lungo il cammino, inghiottiti dalla vita stessa, dalle sue prove, dai suoi compromessi. Eppure, in quei momenti, eravamo invincibili, pronti a conquistare il mondo, o almeno a provarci.

Ora, guardando indietro, quei tempi appaiono come un sogno lontano, un'epoca in cui tutto sembrava più semplice, più genuino. Eravamo solo noi, i nostri muretti, le nostre gradinate, e l'infinito di possibilità che si apriva davanti ai nostri occhi. Non sapevamo cosa ci aspettava, ma sognavamo in grande, con il cuore leggero e gli occhi pieni di speranza.

Sì, bei tempi davvero. Forse ci abbiamo lasciato un pezzo di cuore, in quei muretti, in quelle gradinate. Ma è bello pensarci ancora, ogni tanto, e ricordare che un tempo, almeno per un attimo, abbiamo creduto che tutto fosse possibile.

Riflessi di lotta: gli anni '70 e la protesta contro un sistema non più valido.

Quando ripenso agli anni '70, una marea di ricordi mi travolge. Era un'epoca in cui la voglia di cambiamento si respirava nell'aria, una stagione di ribellione e di speranza che ha lasciato un segno indelebile nella nostra storia. Eravamo giovani, con il cuore che batteva al ritmo di una voglia irrefrenabile di giustizia sociale, e con una visione chiara di un mondo che volevamo diverso. 

Eravamo lì, nelle piazze, nei cortei, nei collettivi. Eravamo lì, a protestare contro un sistema che non ci piaceva, contro un potere che sembrava sordo e cieco di fronte alle esigenze delle persone comuni. Ricordo i discorsi infuocati, le assemblee interminabili, dove ogni parola pesava come un macigno, perché sapevamo che non stavamo solo parlando, stavamo costruendo un futuro.

Gli anni '70 sono stati un laboratorio di idee e di speranze, un periodo in cui le nostre lotte si intrecciavano con i movimenti internazionali, dove la voglia di giustizia e di equità ci univa tutti. Eravamo parte di un movimento più grande, uniti da un desiderio comune di rompere con le vecchie logiche e di costruire qualcosa di nuovo, di più giusto.

Quella stagione di proteste ha fatto la storia. Ha cambiato il modo in cui le persone vedevano il mondo e le loro possibilità di trasformarlo. I libri scritti su quegli anni raccontano storie di coraggio, di sfide, di sconfitte e di vittorie. Ma, soprattutto, raccontano di una generazione che non si è arresa, che ha lottato con tutte le sue forze per un ideale.

E oggi, guardando indietro, non posso che provare un senso di orgoglio per aver fatto parte anche io di quel movimento. Non tutto è andato come speravamo, certo, ma abbiamo seminato i semi di un cambiamento che ancora oggi germoglia. Abbiamo mostrato al mondo che un altro modo di vivere è possibile, e che la lotta per la giustizia non è mai una causa persa.

Questi ricordi non sono solo una nostalgia di tempi passati, ma una testimonianza vivente del potere delle persone comuni di cambiare il corso della storia. Quegli anni sono stati difficili, ma ci hanno insegnato una lezione fondamentale: che la lotta per i nostri diritti, per la giustizia sociale e per un mondo più equo è una lotta che vale sempre la pena combattere.

Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ricordare quella lezione. Di continuare a lottare per un mondo migliore, di non arrenderci mai di fronte alle ingiustizie. Perché, come ci insegnano quegli anni lontani, la storia non è qualcosa che semplicemente accade. La storia la facciamo noi, con le nostre scelte, con il nostro coraggio, con la nostra determinazione.

E tu, che leggi queste righe, ricorda sempre: ogni protesta, ogni lotta, ogni piccolo gesto di resistenza contribuisce a costruire un mondo migliore. Non dimentichiamolo mai.

"La naja": un pezzo di vita, tra cameratismo, sacrifici e scoperte.

Stamattina, mentre ero in auto, immerso nei miei pensieri, la radio ha iniziato a suonare Generale di Francesco De Gregori. Una ...