Quando un partito diventa la proiezione dell'ego di una persona, si perde il senso della democrazia interna, della partecipazione collettiva, e si entra in una logica che potremmo definire "monarchica". Il leader diventa il centro di tutto: le idee, le decisioni, le strategie non sono più il frutto di un dibattito o di una riflessione comune, ma derivano dalla volontà del capo. Questo crea un clima di sudditanza, dove chi osa mettere in discussione la linea imposta rischia di essere marginalizzato o espulso.
In Italia, abbiamo avuto esempi lampanti di questo fenomeno. Silvio Berlusconi con Forza Italia e poi con il Popolo della Libertà, ha fondato partiti che riflettevano in modo quasi totale la sua visione e la sua figura pubblica. Successivamente, abbiamo visto emergere altre figure, come Matteo Renzi con Italia Viva, che ha portato avanti un progetto politico fortemente personalizzato, spesso a scapito della coesione all'interno del partito stesso. Questi leader sono riusciti a imporsi grazie al loro carisma, alla loro capacità di comunicare, ma anche a un certo grado di narcisismo politico che ha messo in secondo piano l'interesse collettivo.
Anche l'attuale partito di maggioranza di governo è improntato esclusivamente sul suo leader e creatore.
Il problema dei partiti personali è che, quando il leader cade o perde consenso, l'intero progetto politico rischia di scomparire o di implodere. Questo perché non esiste una struttura solida, basata su principi e valori condivisi, che possa sostenere il partito in assenza del suo fondatore. La politica, che dovrebbe essere l'arte della mediazione, del confronto e del compromesso, diventa invece il terreno di gioco di un solo individuo, che decide chi includere e chi escludere, chi premiare e chi punire.
L'ego smisurato di alcuni leader ha portato a una frammentazione del panorama politico, con la nascita di movimenti e partiti che, invece di unire, dividono ulteriormente la società. Ogni leader cerca di costruirsi il proprio feudo, dove il dissenso non è tollerato e la fedeltà al capo diventa la virtù principale. Questo crea un impoverimento del dibattito politico, dove le idee diverse non sono viste come una risorsa, ma come una minaccia.
La politica dovrebbe essere, invece, un progetto collettivo, un processo in cui le idee e le proposte emergono dal confronto e dal dialogo. I partiti dovrebbero essere strumenti al servizio dei cittadini, non delle ambizioni personali di pochi. È fondamentale tornare a una politica fatta di partecipazione, di ascolto e di condivisione, dove il leader è una guida, ma non un despota, dove l'ego lascia spazio al bene comune.
I partiti personali, fondati sull'ego smisurato di alcuni, rappresentano un rischio enorme per la democrazia e per la qualità della politica. Solo recuperando una dimensione collettiva e partecipativa, possiamo sperare di costruire un futuro politico più giusto, inclusivo e democratico.
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