Ore 8:00. Il silenzio è rotto da un tintinnio lieve, quasi aristocratico. Arriva lei, la colazione, il primo dei tre momenti cardine che scandiscono la giornata del ricoverato.
Dimenticate orologi, calendari e app di mindfulness: qui il tempo si misura in pasti.
Che ore sono?
“Tra colazione e pranzo.”
Oppure:
“Dopo cena ma prima della pressione.”
Ed eccoci, dunque, all’appuntamento con il vassoio sacro. Io, che a casa bevo solo un espresso nero, crudo, con una bustina di zucchero di canna (perchè è più salutare??), e senza pietà, preparato dalla mia eroica macchinetta a cialde (che ormai considero più affidabile di certi medici di base), in clinica mi sono scoperto amante del tè slogan latte.
Sì, l’ho chiamato così perché non so bene come si chiami: è un tè, ma c’ha del latte dentro, ma non è un cappuccino e non è nemmeno un tè al latte all’inglese. È… tè slogan latte.
Un nome che fa chic e nasconde un cuore tiepido e vagamente insapore. Ma in questo contesto suona come un tocco british, quasi un atto di ribellione con il mignolo alzato.
“Altro che espresso. Da oggi sono un gentleman!”
L’accompagnano dei biscottini dal sapore rassicurante, buoni nella loro semplicità, e che – attenzione – non avrei mai mangiato a casa, ma qui assumono un valore quasi esistenziale.
È la sindrome da “minima cosa – massimo significato”.
Nel vassoio troneggiano la marmellatina e le fette biscottate. Io le guardo, le studio…
E poi con una strategia degna di una partita a scacchi con Kasparov, le metto da parte. Non si sa mai: verso le 10:17 potrei avere un languorino, e voglio essere pronto.
Perché, si sa: in clinica, chi ha la marmellatina in tasca ha un tesoro.
Ora, cari lettori affezionati, vi devo fare una confessione delicata.
Il motivo per cui mi tengo leggero a colazione non è solo il poco appetito, e nemmeno la malinconia del caffè casalingo... ma è la presenza inquietante della “pala”.
Sì, LA PALA.
Chi è stato ricoverato lo sa.
Chi non lo è mai stato, pensi a qualcosa tra l’attrezzo di tortura medievale e la vendetta postmoderna della società contro chi ha ancora un po’ di dignità.
Non vi preoccupate, non ve ne parlerò oggi.
La “pala” merita un capitolo a parte. Un romanzo, forse. O una tragedia greca.
Devo trovare le parole giuste, quelle che non urtino la sensibilità di nessuno… ma che vi facciano comunque capire che certe esperienze lasciano il segno. E non sempre metaforico.
Per ora, chiudo qui.
Con il tè slogan latte in mano e il pensiero che anche oggi, il vero lusso… è una digestione tranquilla.
Alla prossima puntata.
Sempre dal letto n. 110 del reparto, dove la vita scorre a biscotti e ironia.