sabato 20 luglio 2024

Dimenticare il fascismo è vigliaccheria

 Voler dimenticare il fascismo è una forma di vigliaccheria, e questo non è solo un problema di memoria storica, ma anche di responsabilità civile e morale. Il fascismo ha segnato uno dei periodi più bui della nostra storia, lasciando cicatrici profonde che hanno influenzato generazioni intere. Ignorare o minimizzare questo passato equivale a tradire le vittime e a negare le lezioni che abbiamo imparato a caro prezzo.

Quando si tenta di cancellare o rimuovere le tracce del fascismo, si finisce per abbandonare la vigilanza necessaria a prevenire che simili atrocità si ripetano. La democrazia e la libertà non sono conquiste garantite una volta per tutte, ma richiedono un costante impegno e una memoria collettiva attiva. Dimenticare il fascismo significa chiudere gli occhi di fronte ai rischi di derive autoritarie che, pur in forme diverse, possono ripresentarsi.

Inoltre, voler dimenticare il fascismo può essere visto come un tentativo di eludere la propria responsabilità nella costruzione di una società migliore. Ogni cittadino ha il dovere di confrontarsi con il passato, riconoscere gli errori e lavorare per non ripeterli. Non possiamo permetterci di essere vigliacchi di fronte alla storia, perché la storia è maestra e ci offre le chiavi per comprendere il presente e costruire il futuro.

Infine, dimenticare il fascismo vuol dire anche mancare di rispetto verso chi ha lottato e sofferto per la libertà e la democrazia. Significa sminuire il coraggio e il sacrificio di coloro che si sono opposti al regime, spesso pagando con la propria vita. La memoria del fascismo non deve essere solo un esercizio intellettuale, ma un impegno quotidiano a difendere i valori di libertà, uguaglianza e giustizia che sono alla base della nostra Repubblica.

In sintesi, dimenticare il fascismo è una forma di vigliaccheria perché ci priva degli strumenti necessari per difendere la nostra democrazia, ci impedisce di assumere la nostra responsabilità storica e ci fa perdere il contatto con le radici stesse della nostra identità civile. La memoria è un atto di coraggio e di resistenza, un baluardo contro l’ignoranza e l’indifferenza.

domenica 14 luglio 2024

Le domeniche di una volta

Che tempi quelli degli anni '80! 
La domenica pomeriggio era un rito sacro per noi appassionati di calcio. Alle 15 in punto, come un'orchestra che si accorda, ci sintonizzavamo tutti sulla radio per seguire le radiocronache. Niente immagini, solo voci, ma che voci! Sandro Ciotti, Enrico Ameri, e Alfredo Provenzali, solo per citarne alcuni, erano i nostri narratori, le nostre guide in quei 90 minuti di pura passione.

La radio era il nostro finestrino aperto su ogni stadio d'Italia. Con le loro descrizioni vivide, ci facevano sentire come se fossimo lì, sugli spalti, a respirare l'odore dell'erba tagliata e il sudore dei giocatori. La magia stava tutta nell'immaginazione: il dribbling di Maradona, il tiro al volo di Platini, la parata spettacolare di Zenga. Eravamo lì, accanto a loro, con il cuore che batteva all'unisono con quello dei tifosi sugli spalti.

E poi, la sera, la Domenica Sportiva. Finalmente le immagini! Ma era un'attesa che contribuiva a rendere tutto più speciale. Un appuntamento irrinunciabile, in cui ci riunivamo con amici e familiari per vedere i gol, discutere le azioni, litigare bonariamente su un rigore non dato o un fuorigioco millimetrico. Era un momento di condivisione, di discussione accesa ma genuina.

Ora, il calcio è diventato un'altra cosa. Le partite spalmate su tutta la settimana, la pay-per-view, gli abbonamenti a Sky e DAZN. Certo, ora possiamo vedere tutto, e subito. Ogni singolo secondo, ogni singolo angolo di campo. Ma c'è un prezzo da pagare. Non parlo solo del costo economico, ma del prezzo della perdita della magia, dell'attesa, della condivisione. Oggi il calcio è più accessibile, ma forse anche più solitario. Guardiamo le partite da soli, sui nostri schermi, spesso in silenzio, senza quella comunità di amici e parenti che si creava attorno alla radio o al televisore.

È un po' come se avessimo perso la poesia del calcio. La bellezza dell'immaginare, dell'attendere, del vivere insieme un'emozione. Forse è solo nostalgia, ma c'è qualcosa di unico in quei pomeriggi d'infanzia, in quelle voci che ci portavano per mano attraverso i campi di Serie A. Qualcosa che, nonostante tutte le comodità moderne, rimpiangiamo un po'.

E poi ... avevamo anche la mitica schedina del Totocalcio.
Altro che nostalgia, qui si parla di un vero e proprio rituale settimanale. Negli anni '80, le schedine erano una parte fondamentale del weekend calcistico, un appuntamento fisso che coinvolgeva tutta la famiglia.

Immagina la scena: è sabato pomeriggio, magari verso sera. Si prende la schedina e si comincia a studiare le partite. Undici gare di Serie A, e le altre di Serie B, C o perfino D. Ogni riga rappresentava una partita, con tre possibilità di scelta: "1" per la vittoria della squadra di casa, "X" per il pareggio, e "2" per la vittoria della squadra ospite. Si studiavano le classifiche, le ultime prestazioni, le condizioni dei giocatori, magari con qualche superstizione o consiglio da parte del nonno, che di calcio ne sapeva a pacchi. 

Si discuteva, si litigava, si rideva. Ognuno aveva il suo metodo, la sua filosofia. Chi puntava sempre sull'intuito, chi invece faceva calcoli maniacali. E alla fine, con la penna in mano, si decideva: "Qui mettiamo un bel 2, questa è una X fissa, e questa… mmm… facciamo doppia chance 1X". E poi giù, a controllare e ricontrollare, per evitare errori. 

Domenica pomeriggio arrivava il momento clou. La radio accesa, i risultati che arrivavano in diretta, e la schedina stretta tra le mani. Ogni gol era un colpo al cuore: esultanza se confermava la previsione, disperazione se la mandava all'aria. E quando si avvicinava il novantesimo, la tensione cresceva. Bastava un gol all'ultimo secondo per trasformare una schedina da sogno in un ammasso di carta straccia.

E poi, ovviamente, c'era il mito della "colonna vincente", il famigerato "13". Fare 13 significava vincere una somma di denaro spesso incredibile. C'erano storie di gente che aveva cambiato vita grazie a un 13 azzeccato, e questo alimentava sogni e speranze. Anche se in realtà, spesso ci si doveva accontentare di premi minori, il sogno di fare il "13" era sempre lì, vivo.

Le schedine erano un collante sociale. I bar, le piazze, gli uffici: ovunque si parlava di quelle dannate colonne. Era un modo per sentirsi parte di qualcosa, per condividere una passione. Oggi, con le scommesse online e le app, tutto è più veloce, più freddo. Manca quel rituale, quella magia. Anche qui, la modernità ha portato comodità, ma ha sottratto un pezzo di quell'umanità, di quel calore che accompagnava ogni singola schedina compilata a mano.

#calcio #schedina #domenicasportiva #anni80

sabato 13 luglio 2024

Anni '70: Adolescenza, politica e Guccini

Gli anni '70 in Italia sono stati un periodo di grandi cambiamenti e tensioni politiche. Per molti adolescenti, specialmente quelli di sinistra, la musica di Francesco Guccini ha rappresentato una colonna sonora fondamentale. Questo articolo esplora il contesto storico di quegli anni, collegando gli eventi politici alle canzoni di Guccini, che hanno accompagnato una generazione di giovani in fermento.

▫️La Scena politica degli anni '70
Negli anni '70, l'Italia era caratterizzata da una forte instabilità politica e sociale. La fine degli anni '60 aveva lasciato un'eredità di contestazioni e cambiamenti culturali, che si erano trasformati in movimenti più radicali e talvolta violenti negli anni successivi. Questo decennio è stato segnato da una serie di eventi chiave che hanno avuto un profondo impatto sulla società italiana.

▫️ Eventi chiave

1. 1969: Strage di Piazza Fontana
   - Il 12 dicembre 1969, una bomba esplose alla Banca Nazionale dell'Agricoltura a Milano, uccidendo 17 persone e ferendone 88. Questo evento segnò l'inizio di quello che sarebbe stato conosciuto come gli Anni di Piombo.

2. 1970: Fondazione delle Brigate Rosse
   - Le Brigate Rosse, un'organizzazione terroristica di estrema sinistra, furono fondate nel 1970. Questo gruppo sarebbe diventato uno dei protagonisti principali della violenza politica degli anni '70.

3. 1974: Strage di Piazza della Loggia e dell'Italicus
   - Il 28 maggio 1974, una bomba esplose durante una manifestazione antifascista a Brescia, uccidendo 8 persone e ferendone 102. Il 4 agosto dello stesso anno, un'altra bomba esplose su un treno Italicus, causando 12 morti e 48 feriti.

4. 1978: Rapimento e assassinio di Aldo Moro
   - Il 16 marzo 1978, Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, fu rapito dalle Brigate Rosse. Dopo 55 giorni di prigionia, il suo corpo fu trovato il 9 maggio 1978. Questo evento segnò un punto di svolta nella storia italiana, evidenziando la gravità della situazione politica.

▫️ La Musica di Francesco Guccini
Francesco Guccini, nato nel 1940 a Modena, è diventato una delle voci più influenti della musica italiana. Le sue canzoni, spesso caratterizzate da testi poetici e riflessivi, affrontano temi come la politica, la società e l'esperienza umana. Per molti giovani degli anni '70, Guccini rappresentava un punto di riferimento culturale e politico.

▫️ Canzoni simbolo

1. "La locomotiva" (1972)
   - Questa canzone racconta la storia di un macchinista anarchico che sacrifica la propria vita per lanciare un treno contro un ostacolo, in un gesto simbolico di ribellione contro le ingiustizie sociali. "La locomotiva" è diventata un inno per i giovani militanti di sinistra, rappresentando il desiderio di cambiamento e la lotta contro l'oppressione.

2. "Eskimo" (1978)
   - "Eskimo" è una canzone che riflette sulla vita di un giovane negli anni '70, tra impegno politico e riflessioni personali. Il titolo fa riferimento al cappotto Eskimo, simbolo di riconoscimento tra i giovani di sinistra. La canzone esplora temi come l'amicizia, l'amore e la delusione, offrendo uno spaccato della vita quotidiana di un giovane in quel periodo.

3. "Il vecchio e il bambino" (1972)
   - Questa canzone è una metafora delle differenze generazionali e della speranza in un futuro migliore. Racconta la storia di un vecchio e di un bambino che camminano insieme, osservando i cambiamenti nel paesaggio circostante. Il vecchio rappresenta la saggezza e l'esperienza, mentre il bambino simboleggia l'innocenza e la speranza. Il contrasto tra i due personaggi riflette le tensioni tra passato e futuro, tra tradizione e cambiamento.

▫️ Guccini e la periferia romana
Nella periferia romana, le canzoni di Guccini erano particolarmente popolari tra i giovani. Questi ragazzi, spesso appartenenti a famiglie della classe operaia, trovavano nelle parole di Guccini un modo per esprimere i loro sentimenti e le loro aspirazioni. Le sue ballate erano un modo per condividere esperienze comuni e creare un senso di comunità.

▫️ Racconti di vita
Molti giovani della periferia romana passavano le serate estive riuniti nei parchi o nei cortili, suonando la chitarra e cantando le canzoni di Guccini. Questi momenti non erano solo un modo per passare il tempo, ma anche un'opportunità per discutere di politica, di ingiustizie sociali e di speranze per il futuro. Le parole di Guccini fornivano un contesto per queste discussioni, offrendo un punto di partenza per riflessioni più profonde.

▫️ Il Ruolo delle canzoni di Guccini nella formazione politica
Le canzoni di Guccini non erano solo un passatempo, ma una parte integrante della formazione politica e culturale dei giovani di sinistra. Attraverso la musica, essi trovavano un modo per esprimere il loro dissenso e le loro speranze per il futuro.

▫️ Educazione e impegno
Le canzoni di Guccini erano spesso utilizzate come strumenti educativi nei circoli giovanili e nelle sezioni di partito. I testi delle sue canzoni venivano analizzati e discussi, offrendo spunti per approfondire temi politici e sociali. La musica diventava così un mezzo per educare i giovani alla partecipazione politica e all'impegno sociale.

▫️ Unione e solidarietà
Le serate passate a cantare insieme creavano un forte senso di unione e solidarietà tra i giovani. La musica di Guccini aiutava a rafforzare i legami all'interno dei gruppi, offrendo un linguaggio comune attraverso il quale esprimere valori e ideali condivisi. Questo senso di comunità era fondamentale in un periodo di grande incertezza e cambiamento.

Gli anni '70 furono un periodo di grandi trasformazioni in Italia, e la musica di Francesco Guccini ne fu il riflesso. Per i giovani della periferia romana e di tutta Italia, le sue canzoni rappresentavano un legame tra l'esperienza personale e il contesto storico, offrendo una colonna sonora indimenticabile per una generazione in lotta per un mondo migliore. Le parole di Guccini non solo accompagnavano le loro vite quotidiane, ma contribuivano a formare la loro coscienza politica e sociale, lasciando un'impronta duratura nella loro memoria collettiva.

Rino Gaetano

 


Rino Gaetano è stato una figura di riferimento durante la mia adolescenza, un vero mito che ha lasciato un'impronta indelebile nella mia vita e in quella di tanti giovani come me. La sua musica non era solo un insieme di melodie e parole, ma un grido di ribellione, una critica acuta e ironica al sistema politico e sociale dell'epoca. Era un cantautore di rottura, capace di sfidare il potere con la sua ironia tagliente e il suo stile inconfondibile.

Per me, Rino Gaetano rappresentava una voce fuori dal coro, un simbolo di resistenza contro le ingiustizie e le ipocrisie della società. Le sue canzoni erano ricche di messaggi nascosti, metafore pungenti e critiche velate che solo chi prestava attenzione poteva cogliere appieno. Ogni suo brano era una scoperta, una rivelazione che ci spingeva a riflettere e a non accettare passivamente ciò che ci veniva imposto.
Noi giovani eravamo attratti dalla sua autenticità e dal suo coraggio. Rino non aveva paura di dire ciò che pensava, anche se questo significava andare controcorrente. Le sue parole erano per noi un invito a essere critici, a non conformarci e a lottare per le nostre idee. I concerti di Rino erano eventi imperdibili, momenti di aggregazione in cui ci sentivamo parte di qualcosa di più grande, uniti dalla stessa passione e dalla voglia di cambiare il mondo.
Durante gli anni della mia adolescenza, le canzoni di Rino Gaetano erano la colonna sonora della mia vita. Ricordo le serate passate con gli amici, chitarra in mano, a cantare "Ma il cielo è sempre più blu" e "Gianna" a squarciagola. Quei momenti erano carichi di energia e speranza, un antidoto alla monotonia e alle delusioni quotidiane.
Rino Gaetano era più di un semplice cantautore; era un simbolo di speranza e libertà. La sua musica ci insegnava a non perdere mai la nostra autenticità e a credere che, nonostante tutto, il cielo poteva essere davvero sempre più blu. Era un esempio di come l'arte potesse essere uno strumento potentissimo per esprimere il proprio dissenso e per costruire un futuro migliore.
In quegli anni, Rino Gaetano era il nostro faro, la guida che ci mostrava la strada verso un modo diverso di vivere e di pensare. Oggi, a distanza di anni, il suo ricordo rimane vivo e le sue canzoni continuano a ispirare nuove generazioni, mantenendo intatto il suo spirito ribelle e la sua voglia di cambiamento.

domenica 7 luglio 2024

La sindrome della piccola fiammiferaia social

📝 La sindrome della "Piccola Fiammiferaia Social" è proprio il massimo del melodramma contemporaneo, una vera e propria opera d'arte del vittimismo digitale. 
C’è sempre quell’amico/a su Facebook o Instagram che sembra essere uscito da una telenovela sudamericana degli anni '90, con una vita che è un’infinita catena di tragedie o sofferenze personali da condividere con il mondo. Ogni post, ogni storia, ogni selfie con l'aria afflitta è un fiammifero acceso, un SOS lanciato nell'etere per ottenere quei tanto agognati like e commenti di consolazione.

Immagina la scena: la nostra Piccola Fiammiferaia Social si sveglia al mattino presto per andare a lavorare e, con la stessa dedizione di un attore premio Oscar, si prepara per il suo ruolo quotidiano. Il feed si riempie di foto in bianco e nero, perché il colore è troppo mainstream per chi vive in un perenne stato di sofferenza. “Nessuno capisce il mio dolore, la mia sofferenza...”, scrive con la stessa intensità di un filosofo esistenzialista, accompagnato da una foto in cui è perfettamente truccata e con una posa da copertina di Vogue.

La sindrome della Piccola Fiammiferaia Social è un’arte di recitazione degna del teatro greco, con drammi sempre più esagerati. “Oggi il mio cuore è in frantumi”, lamenta, mentre il viso appare incorniciato da lacrime di coccodrillo digitali. “Mi sento sola in mezzo a tutti”, proclama, con un video in slow motion che sembra il trailer di un film d'autore. Il tutto condito con la colonna sonora più strappalacrime che si possa immaginare.

Ma dietro questo spettacolo da baraccone c’è la disperata ricerca di approvazione e consensi. Ogni like, ogni commento di supporto è un piccolo fiammifero che illumina, per un istante, il buio della loro esistenza socialmente costruita. E così, tra post lamentosi e storie drammatiche, la Piccola Fiammiferaia Social si alimenta di attenzioni temporanee, bisognosa di conferme come un naufrago è bisognoso di terra.

Noi, spettatori di questo teatro dell’assurdo, a volte ci lasciamo prendere dalla compassione, altre volte ci viene da ridere per la palese mancanza di autenticità. Ma mentre scorriamo i loro post, un mix di scherno e curiosità, dobbiamo ricordare che dietro ogni fiammifero c’è una persona che, forse, sta cercando qualcosa di più di un semplice like. 

Alla fine, la Piccola Fiammiferaia Social è il prodotto di un mondo ossessionato dalle apparenze, dove la connessione virtuale ha sostituito quella reale. E mentre noi ci godiamo lo spettacolo, con il nostro sarcasmo ben affilato e il popcorn in mano, non possiamo fare a meno di pensare che forse, in questo grande circo dei social, siamo tutti un po’ fiammiferaie in cerca di un briciolo di calore digitale.
Forse ... 🤔🙄

#facebookviral #piccolafiammiferaia #social

sabato 6 luglio 2024

Analfabeta funzionale dei social

Ah, l'analfabetismo funzionale, quella gemma rara che fiorisce su Facebook e altrove. Una razza particolare, una specie in continua evoluzione, sempre pronta a stupirci con nuove perle di saggezza.

Immagina questa scena: scorri tranquillo il tuo feed di Facebook, cercando un po' di normalità in mezzo al caos quotidiano. Ed ecco che appare lui, l'analfabeta funzionale, pronto a sciorinare le sue teorie senza capo né coda. Ogni volta ti chiedi se è uno scherzo, ma no, è tutto vero.

Scrive un post pieno di bufale e complotti, convinto di aver scoperto il segreto dell'universo. Sotto, una marea di commenti di altri illustri esemplari della stessa specie, che condividono e applaudono, come se fossero alla scoperta dell'acqua calda. "Lo sapevo! È tutto un complotto delle elite!" – dicono. Ah, il profumo della competenza.

Poi c'è il classico commentatore che non legge mai oltre il titolo, ma si sente comunque in dovere di esprimere la propria illuminata opinione. "Vergogna! Questo è inaccettabile!" – scrive, ignorando completamente il contenuto dell'articolo. Dettagli, chi ha tempo per leggere quando si può giudicare in un secondo?

E non parliamo di quelli che condividono le fake news senza nemmeno verificarle. "Ho trovato questo link su un sito sconosciuto e non verificabile, ma sicuramente è vero perché conferma i miei pregiudizi!" Questi sono i veri eroi del nostro tempo, sempre pronti a diffondere disinformazione con una sicurezza invidiabile.

Ma la vera perla arriva quando provi a interagire. "Scusa, ma sai che questa notizia è falsa, vero?" E lì parte il delirio. "Tu sei un ignorante! Io ho fatto le mie ricerche!" – dice mentre copia-incolla un testo senza senso trovato chissà dove. Perché loro hanno fatto "ricerche", ovviamente. Google e Wikipedia sono le loro Bibbie, ma senza saper distinguere una fonte affidabile da una farsa.

È uno spettacolo triste, ma allo stesso tempo comico. Questa razza di analfabeti funzionali prospera e si moltiplica, alimentata da un'infinità di informazioni superficiali e male interpretate. E mentre loro si pavoneggiano nella loro ignoranza, noi ci chiediamo: ma davvero il genere umano è arrivato a questo?

Ecco quindi un consiglio spassionato: se vuoi sopravvivere in questo mondo di folli, sviluppa il tuo senso critico, verifica le fonti e, soprattutto, fai un bel respiro profondo prima di tuffarti nei commenti. Perché là fuori, nella giungla di Facebook e quant'altro, l'analfabetismo funzionale è sempre in agguato, pronto a colpire.

giovedì 4 luglio 2024

Quella volta che assistetti al concerto di RON

Era il 1980, un anno in cui la voglia di vivere e divertirsi pulsava forte nei cuori dei giovani italiani. L'aria di quegli anni era un mix di ribellione, creatività e speranza. La provincia romana, spesso dimenticata dalle grandi tournée, quella sera ospitava un evento speciale: il concerto di RON, in un piccolo stadio di calcio. Io e i miei amici, come molti altri, eravamo sul prato, pronti a lasciarci trasportare dalle note di uno dei cantautori più promettenti del panorama musicale italiano.

RON, al secolo Rosalino Cellamare, era già una figura di spicco nella scena musicale. Nato a Dorno nel 1953, aveva esordito giovanissimo nel mondo della musica e, a metà degli anni '70, era ormai un artista affermato. La sua voce calda e il suo talento nel comporre melodie accattivanti lo avevano reso un beniamino di molti. La sua discografia, all'epoca, includeva già brani che sarebbero diventati classici della musica italiana.

Il suo legame con Lucio Dalla era ben noto: i due non solo condividevano una profonda amicizia, ma avevano anche collaborato su diverse canzoni, creando un sodalizio musicale che avrebbe influenzato profondamente entrambi. Canzoni come "Piazza Grande" e "Anna e Marco" portano il marchio inconfondibile del loro talento congiunto.

Quella sera del 1980, lo stadio era gremito di giovani, famiglie e curiosi. L'atmosfera era elettrizzante, e mentre il sole tramontava, le luci del palco si accendevano, creando un'aura quasi magica. La gente era lì per divertirsi, per dimenticare per qualche ora le preoccupazioni quotidiane e immergersi nella musica.

Quando RON salì sul palco, il pubblico esplose in un boato di applausi. Iniziò a suonare i suoi pezzi più famosi, e ogni nota sembrava parlare direttamente al cuore di ciascuno di noi. Brani come "Il gigante e la bambina" e "Una città per cantare" risuonavano nell'aria, accompagnati dai cori del pubblico che non smetteva mai di cantare.

Io e i miei amici eravamo seduti sull'erba, sentivamo la musica vibrare attraverso di noi. Ogni canzone era un tuffo nelle emozioni, un viaggio attraverso le storie che RON sapeva raccontare così bene. La sua voce, calda e avvolgente, creava un'atmosfera intima, nonostante la folla intorno a noi.

C'era qualcosa di speciale in quel concerto, un'energia palpabile che univa tutti i presenti. Forse era la semplicità della location, forse era l'autenticità di RON, ma quella sera rimase impressa nella mia memoria come una delle esperienze più belle della mia giovinezza.

Il rapporto musicale con Lucio Dalla era evidente nelle interpretazioni che RON dava ai pezzi scritti insieme. Ogni nota, ogni parola, era intrisa di quella complicità artistica che li rendeva unici. Si percepiva l'influenza di Dalla nelle melodie, ma anche l'originalità di RON, capace di portare ogni brano a una dimensione personale e autentica.

La serata volò via troppo in fretta, e quando le ultime note risuonarono nello stadio, un applauso lungo e caloroso salutò l'artista. Lasciammo il prato con un sorriso, con le canzoni di RON ancora nelle orecchie e nei cuori.

Riflettendo su quella sera, mi rendo conto di quanto fosse speciale la musica di RON. Le sue canzoni avevano (e hanno ancora) la capacità di toccare corde profonde, di raccontare storie universali con una semplicità disarmante. La sua voce, le sue melodie, erano e sono un balsamo per l'anima, un rifugio sicuro dove trovare conforto e ispirazione.

Quella notte del 1980, in un piccolo stadio di calcio della provincia romana, ho vissuto la magia della musica di RON. Una magia che continua a vivere nelle sue canzoni, che ancora oggi ci parlano con la stessa intensità di allora. E ogni volta che le ascolto, ritorno a quel prato, con gli amici di una vita, immerso in un mare di note e emozioni.

#ron #musica #Roma #concerto #luciodalla

L'ipocrisia politica: il dilemma del politico senza bandiera

Viviamo in un'epoca dove la trasparenza e l'onestà sono merce rara in politica. Sempre più spesso, ci imbattiamo in personaggi che, con grande disinvoltura, affermano di non appartenere a nessun partito, dichiarandosi "indipendenti". Ma quanto c'è di autentico in queste dichiarazioni? La realtà, come spesso accade, è ben diversa.

▪️La maschera dell'indipendenza

Molti politici si professano indipendenti, evitando di dichiarare apertamente le proprie affiliazioni partitiche. Questo stratagemma, apparentemente astuto, serve a raccogliere voti da un pubblico più ampio e meno schierato. La figura del "politico senza bandiera" sembra attrarre chi è stanco delle vecchie logiche partitiche, chi si sente tradito e deluso da promesse non mantenute. Ma dietro questa facciata di indipendenza si nasconde spesso una cruda verità: l'appartenenza a un partito c'è, ma viene nascosta per convenienza.

▪️L'arte della dissimulazione

C'è chi mente deliberatamente per evitare di alienarsi una parte dell'elettorato, e chi, forse peggio, si vergogna delle proprie convinzioni politiche. Mentire sull'appartenenza politica non è solo un atto di vigliaccheria, ma un vero e proprio tradimento nei confronti degli elettori. Ogni votante ha il diritto di sapere chi sta votando e quali ideali quella persona rappresenta. Non dichiarare la propria affiliazione politica, o peggio ancora mentire, significa privare l'elettore della possibilità di fare una scelta consapevole.

▪️Le conseguenze della menzogna

Chi mente sull'appartenenza politica può ottenere un vantaggio momentaneo, ma come recita il proverbio, "tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino". La verità, prima o poi, viene a galla. E quando accade, le conseguenze possono essere devastanti. La fiducia, una volta persa, è difficilmente recuperabile. Un elettore tradito non dimentica facilmente e, anzi, diventa ancora più scettico e diffidente nei confronti della classe politica.

▪️Un quadro più ampio

Questo fenomeno non è isolato, ma parte di un quadro più ampio di disillusione e sfiducia nei confronti della politica. La crescente disaffezione verso i partiti tradizionali ha portato molti politici a cercare rifugio nell'ambiguità. Ma questa strategia a lungo termine si rivela controproducente. La politica deve tornare a essere un luogo di confronto aperto e onesto, dove le idee e le convinzioni vengono espresse chiaramente e senza paura.

▪️La responsabilità degli elettori

Anche gli elettori hanno una responsabilità in questo gioco delle parti. È fondamentale essere informati, fare domande, pretendere chiarezza e trasparenza da chi si candida a rappresentarci. Non possiamo accontentarci di risposte vaghe o di dichiarazioni di indipendenza senza verificare i fatti. La politica è fatta di scelte e compromessi, e chi si nasconde dietro la maschera dell'indipendenza spesso lo fa per non dover rispondere delle proprie scelte.

L'onestà e la trasparenza dovrebbero essere i pilastri della politica. Un politico che mente sulla propria appartenenza partitica tradisce la fiducia degli elettori e danneggia l'intero sistema democratico. È compito di ciascuno di noi, come cittadini e votanti, vigilare e pretendere chiarezza, affinché la politica possa tornare a essere un luogo di confronto genuino e leale. Solo così potremo ricostruire la fiducia nei nostri rappresentanti e nelle istituzioni che li sostengono.

🪶 Il Grido del Silenzio

Non sempre i silenzi sono solo vuoti da riempire. A volte, gridano più forte di qualsiasi parola. È nei momenti di silenzio che ...