domenica 14 luglio 2024

Le domeniche di una volta

Che tempi quelli degli anni '80! 
La domenica pomeriggio era un rito sacro per noi appassionati di calcio. Alle 15 in punto, come un'orchestra che si accorda, ci sintonizzavamo tutti sulla radio per seguire le radiocronache. Niente immagini, solo voci, ma che voci! Sandro Ciotti, Enrico Ameri, e Alfredo Provenzali, solo per citarne alcuni, erano i nostri narratori, le nostre guide in quei 90 minuti di pura passione.

La radio era il nostro finestrino aperto su ogni stadio d'Italia. Con le loro descrizioni vivide, ci facevano sentire come se fossimo lì, sugli spalti, a respirare l'odore dell'erba tagliata e il sudore dei giocatori. La magia stava tutta nell'immaginazione: il dribbling di Maradona, il tiro al volo di Platini, la parata spettacolare di Zenga. Eravamo lì, accanto a loro, con il cuore che batteva all'unisono con quello dei tifosi sugli spalti.

E poi, la sera, la Domenica Sportiva. Finalmente le immagini! Ma era un'attesa che contribuiva a rendere tutto più speciale. Un appuntamento irrinunciabile, in cui ci riunivamo con amici e familiari per vedere i gol, discutere le azioni, litigare bonariamente su un rigore non dato o un fuorigioco millimetrico. Era un momento di condivisione, di discussione accesa ma genuina.

Ora, il calcio è diventato un'altra cosa. Le partite spalmate su tutta la settimana, la pay-per-view, gli abbonamenti a Sky e DAZN. Certo, ora possiamo vedere tutto, e subito. Ogni singolo secondo, ogni singolo angolo di campo. Ma c'è un prezzo da pagare. Non parlo solo del costo economico, ma del prezzo della perdita della magia, dell'attesa, della condivisione. Oggi il calcio è più accessibile, ma forse anche più solitario. Guardiamo le partite da soli, sui nostri schermi, spesso in silenzio, senza quella comunità di amici e parenti che si creava attorno alla radio o al televisore.

È un po' come se avessimo perso la poesia del calcio. La bellezza dell'immaginare, dell'attendere, del vivere insieme un'emozione. Forse è solo nostalgia, ma c'è qualcosa di unico in quei pomeriggi d'infanzia, in quelle voci che ci portavano per mano attraverso i campi di Serie A. Qualcosa che, nonostante tutte le comodità moderne, rimpiangiamo un po'.

E poi ... avevamo anche la mitica schedina del Totocalcio.
Altro che nostalgia, qui si parla di un vero e proprio rituale settimanale. Negli anni '80, le schedine erano una parte fondamentale del weekend calcistico, un appuntamento fisso che coinvolgeva tutta la famiglia.

Immagina la scena: è sabato pomeriggio, magari verso sera. Si prende la schedina e si comincia a studiare le partite. Undici gare di Serie A, e le altre di Serie B, C o perfino D. Ogni riga rappresentava una partita, con tre possibilità di scelta: "1" per la vittoria della squadra di casa, "X" per il pareggio, e "2" per la vittoria della squadra ospite. Si studiavano le classifiche, le ultime prestazioni, le condizioni dei giocatori, magari con qualche superstizione o consiglio da parte del nonno, che di calcio ne sapeva a pacchi. 

Si discuteva, si litigava, si rideva. Ognuno aveva il suo metodo, la sua filosofia. Chi puntava sempre sull'intuito, chi invece faceva calcoli maniacali. E alla fine, con la penna in mano, si decideva: "Qui mettiamo un bel 2, questa è una X fissa, e questa… mmm… facciamo doppia chance 1X". E poi giù, a controllare e ricontrollare, per evitare errori. 

Domenica pomeriggio arrivava il momento clou. La radio accesa, i risultati che arrivavano in diretta, e la schedina stretta tra le mani. Ogni gol era un colpo al cuore: esultanza se confermava la previsione, disperazione se la mandava all'aria. E quando si avvicinava il novantesimo, la tensione cresceva. Bastava un gol all'ultimo secondo per trasformare una schedina da sogno in un ammasso di carta straccia.

E poi, ovviamente, c'era il mito della "colonna vincente", il famigerato "13". Fare 13 significava vincere una somma di denaro spesso incredibile. C'erano storie di gente che aveva cambiato vita grazie a un 13 azzeccato, e questo alimentava sogni e speranze. Anche se in realtà, spesso ci si doveva accontentare di premi minori, il sogno di fare il "13" era sempre lì, vivo.

Le schedine erano un collante sociale. I bar, le piazze, gli uffici: ovunque si parlava di quelle dannate colonne. Era un modo per sentirsi parte di qualcosa, per condividere una passione. Oggi, con le scommesse online e le app, tutto è più veloce, più freddo. Manca quel rituale, quella magia. Anche qui, la modernità ha portato comodità, ma ha sottratto un pezzo di quell'umanità, di quel calore che accompagnava ogni singola schedina compilata a mano.

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