lunedì 27 ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°48 – Ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°48 – Ottobre 2025
“L’ospite non invitato (che però si comporta da padrone)”

Mi chiedono spesso:
«Giovanni, ma come stai? Come ti senti? Come va con… lui?»
E io, puntuale come le tasse (di chi le paga), rispondo:
«Sto bene, sto bene.»
Quasi per riflesso, come si dice "ciao" entrando in un bar.

Poi però, se mi fermo due secondi — proprio due, non di più — devo ammettere che “bene bene” non è proprio la frase più esatta del dizionario.
Mi stanco facilmente. Il fiato si accorcia come se qualcuno l’avesse tagliato con le forbici della sarta.
Le gambe ogni tanto sembrano dire: “Ehi, amico, ci fai andare piano?”
La schiena protesta.
La mente corre e si affatica anche lei.

E poi c'è il carattere.
Ecco, quello ha subito un restyling notevole.
Sono più irascibile, più nervoso, più fragile.
La serenità che avevo prima, quella calma che mi faceva respirare le giornate a pieni polmoni, adesso bisogna andarla a cercare con la torcia, come quando cade un bottone sotto il letto.

L’ospite, quello lì, non ha solo preso una stanza.
Ha cambiato i mobili, ha spostato le sedie, ha messo la sua musica, e nemmeno mi piace.
E soprattutto, mi ha tolto la voglia di fare progetti a lungo termine.
E questa… fa male.

E lo so cosa state pensando:
«Giovanni, ma a lungo termine… non sei più un ragazzino…»
E avete pure ragione, vivaddio.
Però lasciatemela, questa cosa.
Perché il progetto non è un calendario.
Non è l’età.
Il progetto è speranza.
È dire: “Domani ci sarò, e avrò ancora voglia di fare.”

Ecco.
È questo che a volte mi manca.
Non il domani, che arriva lo stesso, ma l’entusiasmo con cui lo stavo aspettando.

Però, e lasciatemi chiudere così, come voglio io, io ci sto lavorando.
A piccoli passi.
A piccole riparazioni interne.
A piccoli ritorni alla vita, uno alla volta.

E ogni giorno che riesco anche solo a dire:
“Ok, oggi sono qui, presente.”
È un giorno buono.
È un giorno vinto.
È un giorno mio.

Il progetto, allora, lo faccio lo stesso:
domani ci sono. E domani ci provo ancora.

domenica 26 ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°47 – Ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°47 – Ottobre 2025📝 Diario di bordo n°47 – Ottobre 2025
“L’attesa non è mai neutra”.

Pensavo, ingenuamente, che questa settimana sarebbe stata quella buona.
Che il telefono avrebbe squillato, che mi avrebbero finalmente comunicato giorno e ora per tornare in sala operatoria.
E invece niente.
Silenzio.
Una settimana appeso come un salame, legato per i piedi e lasciato oscillare nel vento dell’incertezza.

Hanno deciso di tenermi sulla corda, così.
Senza cattiveria, sia chiaro: è la prassi, mica la colpa di qualcuno.
È sempre la prassi.
È sempre il sistema.
È sempre “come funziona”.

E sì, lo ammetto: oggi sono incazzato.
Non per l’attesa in sé, quella la conosciamo e la sopportiamo, perché quando serve si sopporta tutto.
Ma per altro, per qualcosa che mi è capitato e che stavolta mi ha fatto male davvero.
No, non lo racconto.
Non perché non potrei, ma perché non ne ho più voglia.
Perché certe umiliazioni, quando le dici, sembrano piccole.
Ma dentro bruciano.
E fanno rumore.
Un rumore che non si spegne.

Nel frattempo, però, si continua a pagare.
Si paga per una visita.
Si paga per accorciare l’attesa.
Si paga per una terapia.
Si paga per non aspettare mesi.
Si paga per non rischiare troppo.
Si paga per sperare.

E io penso, e giuro che mi si stringe la gola mentre lo scrivo, a chi non ha niente.
A chi non ha una pensione, uno stipendio, un aiuto, un appoggio.
A chi non ha un euro da mettere da parte.
A chi, nel 2025, deve scegliere se curarsi o mangiare.
A chi deve chiedere un prestito per salvarsi la vita.

Noi viviamo in un Paese dove la salute è “un diritto garantito dalla Costituzione”.
Sì, sulla carta.
Ma la carta, lo sappiamo, sopporta tutto.
La carne molto meno.

E mentre qualcuno fa campagna elettorale promettendo miracoli,
nelle corsie degli ospedali ci sono persone vere che lottano davvero, e quasi sempre da sole.

Io continuo ad aspettare quella telefonata.
Arriverà.
Arriva sempre, prima o poi.

Nel frattempo respiro.
Mi aggrappo alla lucidità.
Mi tengo stretto ciò che resta della mia pazienza.
E continuo a credere, anche oggi, anche così,
che nonostante tutto siamo più forti di quanto ci fanno credere.

Fine del messaggio.
Domani sarà un giorno nuovo.
Magari migliore.

lunedì 20 ottobre 2025

🖋 “Dall’Italia del Nord e Sud a quella del Noi e Voi: il Paese che litiga mentre la politica incassa”.

🖋 “Dall’Italia del Nord e Sud a quella del Noi e Voi: il Paese che litiga mentre la politica incassa”.

Una volta l’Italia era spaccata tra Nord e Sud.
Due mondi diversi, sì, ma con un certo equilibrio: da una parte l’efficienza e la diffidenza del settentrione, dall’altra la fierezza e l’umanità del meridione.
Oggi invece la frattura è più sottile e più tossica: non è più geografica, ma mentale. Non c’è più Milano contro Napoli, ma noi contro voi.
Il guaio è che nessuno sa più bene chi siano questi noi e voi. 
Si cambia bandiera come si cambia canale TV. Ognuno cerca la propria tribù, il proprio recinto dove sentirsi nel giusto, mentre la politica se la ride. Perché più ci dividiamo, più chi governa si rafforza.
Il popolo, da “sovrano”, è diventato “succube”: vota, commenta, s’indigna, ma alla fine resta spettatore. 
La partecipazione si è trasformata in tifo. E come ogni brava comparsa, il cittadino deve pure portarsi il copione da casa.
E non pensiamo che questa spaccatura riguardi solo “gli altri”: nemmeno il nostro paese, Statte, ne è immune.
Anche qui si respira quell’aria di diffidenza reciproca, di schieramenti rigidi e parole urlate. Si discute più per appartenenza che per ragione. 
Si è perso l’ascolto, il confronto, il “noi” vero, quello comunitario, non quello ideologico.
Le cause sono tante: una politica che vive di contrapposizioni, un’informazione che alimenta il rancore, una società stanca e disillusa che cerca nemici per sentirsi viva.
E forse la ragione più profonda è che dire noi tutti insieme richiede responsabilità, mentre dire voi è molto più comodo.
Così restiamo come un grande condominio litigioso: ognuno chiuso nella propria porta blindata, ma tutti con lo stesso amministratore.
E quello, inutile dirlo, continua a incassare sorridendo.

sabato 18 ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°46 – Ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°46 – Ottobre 2025
“Sala operatoria e sala dei bottoni”

Manca poco, dicono.
Manca poco e dovrò tornare in sala operatoria.
Solo a scriverlo mi si alza il battito, come se il cuore avesse deciso di fare un po’ di corsa al posto mio.
Non vi nascondo di essere infastidito, anzi, nervoso come un gatto chiuso in macchina d’estate.
Rientrare in quella stanza bianca, fredda e perfettamente illuminata, dove il tempo sembra sospeso, mi mette addosso una tensione che non riesco a mascherare. E la cosa peggiore, lo ammetto, è l’attesa.

Non so ancora il giorno preciso, mi hanno detto che “mi chiameranno loro”.
Sì, certo. Come se avessi il tempo e la serenità per vivere in sospeso, aspettando una telefonata che deciderà quando potranno di nuovo violare il mio corpo.
Ieri, durante il day hospital, ho insistito, chiesto, quasi implorato di sapere quando.
Niente. Silenzio. Occhiate vaghe. “Sarà a breve, signor Pugliese.”
Che poi, a breve quanto? Un giorno? Una settimana?
Ormai, con l’esperienza accumulata, credo di aver capito i tempi: la prossima settimana sarà quella decisiva.
E intanto, ogni notte è una piccola veglia d’armi, fatta di pensieri, incubi e ansie che ballano nella testa.

Ma mentre attendo la mia chiamata in clinica, il Paese attende la sua chiamata alle urne.
Già, perché il clima politico, se mai fosse stato sereno, si è di nuovo infiammato.
Campagna elettorale per le regionali.
Un’altra abbuffata di promesse, slogan, comizi e facce sorridenti che garantiscono mari e monti, come se gli italiani non avessero più memoria.
La solita rissa da talk show, la solita propaganda da fiera di paese.

E intanto, tra una dichiarazione roboante e un selfie elettorale, la realtà rimane lì, nuda e cruda: il ceto medio si è quasi estinto, quello povero non arriva più nemmeno a metà mese e chi si ammala deve scegliere se curarsi o mangiare.
Lo chiamano “Stato sociale”, ma ormai sembra più un gioco di parole: lo Stato non c’è e la società si arrangia.

Io, nel mio piccolo, lo vedo negli sguardi di chi incontro in ospedale.
Persone stanche, spaventate, con la dignità piegata ma non spezzata.
Gente che non chiede miracoli, ma solo giustizia.
Non la giustizia dei tribunali, ma quella umana, sociale, concreta.
Quella che passa per un ticket sanitario accessibile, una lista d’attesa più breve, una politica che invece di fare campagna elettorale in TV, faccia qualcosa per chi, come me e tanti altri, combattono ogni giorno la propria battaglia dentro e fuori un luogo di cura.

Forse, in fondo, l’Italia ha bisogno di meno propaganda e più empatia.
Di meno talk show e più ascolto.
Di meno passerelle e più umanità.
Perché la vera malattia del nostro tempo non è solo quella che si cura con la chemio, ma quella che si diffonde con l’indifferenza.

Ecco perché, mentre aspetto quella telefonata che mi rimetterà in sala operatoria, continuo a sperare che, prima o poi, arrivi anche quella che ci rimetta tutti in sala dei bottoni, ma con mani pulite, coscienza viva e cuore umano.

venerdì 17 ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°45 – Ottobre 2025

📝 Diario di bordo n°45 – Ottobre 2025
“Analisi del sangue e della democrazia”

Sveglia alle sei, dopo i bagordi della sera precedente per il compleanno di mio figlio. Un eroe, io, che dopo una nottata tra risate, candeline e dolciumi, riesce persino ad alzarsi per andare in clinica. Barcollo, ma non mollo. La giornata è uggiosa e il cielo sembra in perfetta sintonia con il mio umore.

Arrivo in clinica per i controlli in day hospital e, come la volta scorsa, la scena è sempre la stessa: corridoi affollati, pazienti in modalità “lotteria umana”, tutti con in mano il loro numeretto assegnato dal burbero usciere di turno — quello che, ne sono convinto, nella vita precedente deve aver fatto il sergente maggiore in qualche caserma svizzera.

Ci guardiamo di traverso, noi pazienti, come gladiatori in attesa del nostro turno nell’arena. Chi tossisce, chi si lamenta, chi sospira sperando di essere chiamato per primo. La prima tappa, manco a dirlo, è quella del prelievo del sangue. E lì, come sempre, trovo lei: l’infermiera vampira.
Sorride (un po’), sistema le provette e intanto affila l’ago con la stessa cura con cui un samurai lucida la sua katana. Io, intanto, cerco di pensare ad altro per non farmi suggestionare… ma il destino, si sa, ha un gran senso dell’ironia.

Scorro le notizie sul telefono e leggo dell’attentato a Sigfrido Ranucci. Tritolo, paura, un messaggio chiaro e inquietante: “Stai attento.”
E allora mi passa anche il fastidio del prelievo. Mi sale invece quella rabbia che conosco bene, quella che ti prende quando capisci che in questo Paese, chi racconta la verità deve ancora guardarsi le spalle.

I tempi sono bui, e la democrazia sembra camminare sulle uova. Gli attacchi si moltiplicano, e intanto la propaganda governativa — quella sì che gode di ottima salute — riempie l’aria come una nebbia tossica, confondendo le menti e intorpidendo le coscienze.

Respiro, e sento che l’aria che ci circonda è poco salubre, non solo per i polmoni ma per la mente. C’è un inquinamento morale che si diffonde, silenzioso, come quello industriale che da decenni avvelena Taranto e Statte.
E mi viene da pensare che, forse, servono più anticorpi democratici che globuli bianchi.

Bisogna reagire. Con dignità, con coraggio, con la stessa tenacia con cui affrontiamo le nostre battaglie personali. Perché la salute non è solo quella del corpo: è anche quella della libertà, della giustizia, del diritto a dire la verità senza paura.
E allora sì, anche oggi, tra provette, aghi e pensieri, scelgo di non arrendermi.
Alla malattia, ma soprattutto all’indifferenza.

giovedì 2 ottobre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato – N°8, Ottobre 2025

🗞 Cronache da un futuro passato – N°8, Ottobre 2025

"Il gelo delle parole e il fuoco della coscienza."

Resterà impressa la voce della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, quando con poche frasi di ghiaccio ha liquidato le sofferenze del popolo palestinese. Parole che hanno avuto il peso di una sentenza: “Non sono la priorità della Flotilla”. In quell’istante, la missione stessa è stata svuotata del suo significato: aiutare chi vive sotto assedio e ricordare al mondo che la dignità non ha confini.

C’è chi ha rabbrividito pensando a cosa avrebbe potuto dire, con toni ancora più corrosivi, il Presidente del Senato La Russa. Forse parole più ruvide, più sprezzanti, più lontane dall’umanità. Ma la sostanza non cambia: lo Stato, nelle sue voci più alte, ha scelto di parlare come se rappresentasse solo una minoranza, e non l’intero popolo italiano.

È questo il punto che scava più a fondo: le istituzioni non sono un palco di partito. Quando riduci la sofferenza di un popolo a un dettaglio secondario, stai tradendo il compito più sacro: rappresentare tutti, dare voce a chi non ne ha, incarnare la coscienza collettiva.

Il disgusto nasce qui: dall’arroganza di chi parla come se ci fossero solo “i suoi”, dimenticando milioni di cittadini che ancora credono nella solidarietà, nella dignità, nella pace. È la frattura tra il linguaggio del potere e il respiro di un popolo che non vuole smettere di guardare oltre.

Ma in queste cronache di un futuro che sembra già scritto, resta uno spiraglio: non tutto è perduto se impariamo a pretendere istituzioni che tornino ad essere la casa di tutti. Non un megafono dell’indifferenza, ma una bussola che indichi un’altra rotta: quella della pace, della responsabilità, della giustizia.

Il futuro non si scrive con parole di gelo. Si costruisce con scelte che scaldano la coscienza.

📝 Diario di bordo n°55 – Novembre 2025

📝 Diario di bordo n°55 – Novembre 2025 “Benvenuti a ClinicaLand: tra corridoi infernali e ansia aromatizzata”. Ore 7.30.Eccoci ...