domenica 3 agosto 2025

Taranto, la città dello scontro eterno.

Taranto, la città dello scontro eterno.

A Taranto si continua a respirare – e non è solo un modo di dire – il solito scontro tra ambientalisti sì e ambientalisti no, pro-ILVA e anti-ILVA, salute o lavoro. Una partita a scacchi dove le pedine, purtroppo, si ammalano, e i re e le regine sono sempre fuori scacchiera, lontani da fumi e sirene.

Da quel fatidico 2012, con il sequestro degli impianti da parte della magistratura, la questione è deflagrata come un altoforno impazzito: da allora è tutto un crescendo – ma non di bellezza, bensì di contrapposizione. Taranto è diventata il palcoscenico di uno scontro ideologico e sociale che si consuma ogni giorno nei bar, nei consigli comunali, nei social, e perfino nei corridoi degli ospedali.

Ci sono quelli che ti dicono: “Ma guarda che non è solo l’ILVA che inquina, eh! Ci sono anche le navi, il porto, la raffineria, il traffico, perfino i barbecue abusivi!”. Certo, è vero. Ma se una persona muore di tumore, gli vogliamo chiedere la fonte esatta di emissione delle PM10 nel suo alveolo polmonare?

E poi ci sono quelli che ti rispondono con l’altra frase cult: “Eh, ma se chiude l’ILVA, dove vanno a lavorare 16.000 persone?” – come se vivere in un forno tossico fosse un bonus sullo stipendio. Come se non esistessero modelli di riconversione, di economia sostenibile, come se il futuro fosse scritto a fuoco su una ciminiera.

Il risultato? Cittadini contro cittadini, amici contro amici, parenti contro parenti. Come se chi si batte per la salute volesse vedere tutti disoccupati e chi difende il lavoro godesse a respirare diossina. No, il problema è che la politica ha abdicato al suo ruolo di mediatore e progettista di futuro, scaricando tutto sulle spalle dei tarantini, costretti a scegliere tra campare o morire lentamente.

In questo teatro tragicomico, ci vorrebbe una narrazione nuova. Una che unisca. Una che dica: “Salute e lavoro non sono incompatibili, ma richiedono visione, coraggio e investimento”. Ma al momento ci accontentiamo di vedere gli ambientalisti dipinti come “radical chic col pollice verde” e gli operai come “fanatici del posto fisso a qualsiasi costo”. Stereotipi che piacciono molto a chi preferisce che nulla cambi.

Intanto Taranto aspetta. Aspetta giustizia, verità, e soprattutto una vera transizione giusta. Non una finta riconversione a suon di convegni e slide PowerPoint.

E intanto... ci sono i polmoni dei bambini che si ammalano con la diossina, mentre giocano nella terra rossa di minerale velenoso di questa terra ferita.
Senza chiedersi da che parte stare. Perché stanno dalla parte della vita.

🖋 GP

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