Respiro avvelenato e bocche cucite. La fabbrica ringrazia.
A Statte il silenzio sulla ex ILVA e sui veleni in genere, è assordante. Un paese che vive a ridosso della fabbrica dei veleni, a ridosso di alcune discariche, e che dovrebbe essere tra i primi a urlare “basta!”, oggi sembra recitare la parte del manichino: fermo, immobile, bocca cucita.
Abbiamo le stesse polveri dei tarantini nei polmoni, gli stessi lutti nei cimiteri, ma non la stessa rabbia.
Noi ci accontentiamo delle briciole: due frasi di circostanza, una pallida dichiarazione, e poi tutti a fare dietrofront come se niente fosse.
Il coraggio, qui, è diventato un optional.
E allora la domanda è: perché?
Perché questo teatrino della prudenza ha il sapore di viltà?
Perché sembriamo più preoccupati di non disturbare i manovratori che di salvare la nostra pelle?
Forse qualcuno pensa che il cancro bussi educatamente alla porta solo degli altri?
La verità è che questa quiete non è dignità, è resa. È il silenzio complice di chi preferisce convivere con la puzza ed il male, piuttosto che mettere in discussione i padroni della degenerazione ambientale.
Statte tace. Ma quel silenzio pesa come un macigno: è la nostra firma sotto la condanna a morte lenta che ci portiamo addosso.
Ma non è troppo tardi. Da cittadini possiamo ancora alzare la testa, ribellarci a questo lassismo e gridare che la salute non è merce di scambio.
Basta con le parole smorzate, basta con i passi indietro e la difesa di ufficio: o difendiamo la vita, o ci seppellirà il silenzio.
E a chi fa finta di non vedere, ricordo che a Statte hanno appena autorizzato il solito impianto di rifiuti, ammantato di verde.
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