Le onde di Taranto: la rivoluzione silenziosa di PeaceLink.
C’è un vento che soffia da più di trent’anni su Taranto. Non porta fumi né veleni, ma pagine di verità, dati, rapporti, inchieste. È il vento di Peacelink, nato nel 1991 da un gruppo di visionari, tra cui Alessandro Marescotti, con l’idea che la conoscenza dovesse essere libera e che l’informazione potesse diventare arma di riscatto.
Erano anni difficili: pochi mezzi, qualche computer, e tanta ostinazione. Ma quell’ostinazione ha fatto strada. Abbiamo creduto che una piccola associazione potesse parlare al mondo, raccontare i drammi ambientali e sociali di un mondo ferito, e lo abbiamo fatto. Ho scritto abbiamo creduto, perchè orgogliosamente, tra quei visionari c'ero anche io.
Oggi Peacelink è ancora qui, e il suo presidente, Alessandro Marescotti, continua a riversare a piene mani coraggio e coscienza in questa terra che tutti dicono condannata. Con la tenacia di chi non accetta compromessi, Alessandro ha trasformato numeri e analisi in voci che scuotono le coscienze. Nessun clamore, nessuna vetrina, ma la forza tranquilla di chi non si stanca di dire la verità.
Una di queste onde si chiama cittadinanza attiva. Quella fatta non di slogan o passerelle, ma di mani sporche di impegno e teste piene di coraggio. Qui entra in scena Peacelink, un’associazione che non ha bisogno di fuochi d’artificio per farsi notare: parla con la voce ferma dei dati, delle denunce documentate, dei report che aprono gli occhi. E lo fa non solo per Taranto, ma per un intero Paese che troppo spesso preferisce guardare altrove.
Il presidente Marescotti, con la pazienza di un artigiano e la tenacia di chi ha deciso di non arrendersi mai, riversa a piene mani conoscenza, coscienza e speranza. È come se ti dicesse: “La verità non fa rumore, ma se la sai ascoltare, ti cambia la vita”. E in un territorio come il nostro, dove la verità è spesso nascosta sotto tonnellate di fumo e polvere, questa non è cosa da poco.
Peacelink ha insegnato che cittadinanza attiva significa non aspettare il salvatore, ma diventare noi stessi motore del cambiamento. Non sudditi, non spettatori, ma protagonisti. È così che una piccola realtà nata a Taranto ha parlato all’Italia e al mondo, mostrando che anche da un angolo di dolore possono alzarsi onde di speranza.
Eppure, diciamocelo, non basta. Non basta denunciare, non basta indignarsi per qualche giorno sui social. Bisogna mettersi in cammino, insieme. La storia ce lo ha già mostrato: quando i tempi erano bui, c’è chi ha avuto il coraggio di isolare i violenti, dire con fermezza “non in nostro nome”, anche a costo di perdere consensi facili. Oggi serve la stessa lucidità: prendere posizione netta per il bene comune, non per i calcoli di bottega.
Taranto non è solo ciminiere e tumori. È anche lotte, resistenza civile, amore ostinato. È anche Peacelink, che con i suoi volontari accende fiammiferi di luce nel buio dell’indifferenza.
E allora la domanda finale non riguarda più solo i potenti o i palazzi. Riguarda noi. Perché Taranto ha già sofferto come un corpo malato, ma come ogni corpo può ancora guarire, se il sangue che la percorre — cioè noi cittadini — smette di restare immobile.
Il futuro non si attende, si costruisce. E se non lo costruiamo noi, nessuno lo farà per noi.
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