A Taranto la brocca l’hanno scossa da un pezzo. Dentro ci hanno infilato cittadini e operai, salute e lavoro, madri che seppelliscono figli e figli che crescono senza padri.
All’inizio, tutti convivevano nello stesso "vetro", magari stretti, ma insieme. Poi è bastato un colpo secco: governi, multinazionali di passaggio, commissari che sanno solo contare i giorni in carica. Ed eccoci qui, operai contro comitati, come formiche cieche che si sbranano a vicenda.
Ma la verità è lampante: il nemico non è chi lavora in fabbrica, né chi protesta fuori dai cancelli. Il nemico è chi racconta favole di “strategicità nazionale”. Così strategico che lo mettono in vendita a ogni stagione, come un frigorifero guasto. Intanto i tumori non vanno all’asta: restano qui, piantati nelle statistiche, negli ospedali, nelle famiglie.
E allora diciamolo senza ipocrisie: c’è una parte di Taranto che non ci sta più. Non vuole scegliere se morire di cancro o di fame. Non vuole più subire decreti scritti a Roma e lacrime asciugate a Bari. Questa parte della città ha deciso che non vale nessuna busta paga, nessun “strategico”, nessun tavolo ministeriale il prezzo della pelle dei propri figli.
Il paradosso è che chi lotta per non ammalarsi viene dipinto come il guastafeste, come quello che “non capisce l’economia”. Ma la vera economia di Taranto la conoscono solo le famiglie che hanno già pagato con il sangue.
Perciò la domanda resta: chi ha scosso la brocca? Forse chi ha avuto il coraggio di dire basta? O chi da decenni ci agita dentro come formiche da laboratorio? La risposta non consola, ma chiarisce una cosa: le formiche hanno smesso di farsi fregare.
🖋 GP
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