"La discarica dei fantasmi (ma i fantasmi hanno la partita IVA)"
Oggi, mentre molti si godono la granita dell’estate, è arrivata la notizia che a Statte – proprio qui – è stato confermato il sequestro di 700 mila metri quadri di terreno dell’ex Ilva.
Un tappeto velenoso di 5 milioni di tonnellate di rifiuti industriali. Fanghi, polveri, scarti tossici accatastati per anni come se il nostro territorio fosse una pattumiera senza fondo.
Non è roba nuova: il sequestro è del 2018. Solo che oggi ce lo ricordano, come a dire: “Ah, già, esiste anche questa bomba ecologica…”. E così, tra un selfie e un mojito, passa tutto in sordina.
Io, invece, non ci passo sopra.
Perché qui non si tratta di fatalità, ma di scelte. Qualcuno ha deciso di buttare lì quella roba. Qualcuno ha chiuso gli occhi. Qualcuno ha intascato.
E siccome in Italia la colpa è sempre di “tutti” e quindi di “nessuno”, i veri responsabili continuano a farsi vedere ai convegni sull’ambiente, con la cravatta e la faccia di bronzo.
In mezzo ci siamo noi, cittadini di due Comuni – Taranto e Statte – legati da un destino comune, eppure ancora divisi da interessi, paure, convenienze.
C’è chi finge di non sapere, chi sa ma tace, e chi urla nel vuoto.
La verità è che questa discarica non è un incidente del passato, ma un marchio indelebile sul presente.
E allora lo scrivo qui, nero su bianco: la memoria non è un vezzo, è un dovere.
Perché queste montagne di rifiuti non sono cadute dal cielo. Qualcuno le ha fatte crescere. Qualcuno ha chiuso gli occhi. Qualcuno ha incassato.
Il guaio è che quel "qualcuno" ha sempre un nome e un cognome. Ma finché restano coperti dal comodo plurale di un “si è fatto” o “si è lasciato fare”, l’unico responsabile sarà sempre e solo un fantasma.
E i fantasmi, lo sappiamo, non finiscono mai sotto processo.
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