Nel panorama televisivo italiano, soprattutto nelle fasce pomeridiane, sembra che i palinsesti siano ossessionati dalla cronaca nera. RAI e Mediaset, reti pubbliche e private, appaiono accomunate da una narrativa che alimenta ansia, tristezza e rabbia. Il caso di cronaca del giorno, il dettaglio macabro, le interviste strappalacrime: tutto si trasforma in un circo mediatico che, anziché informare con equilibrio, finisce per esasperare il pubblico.
La cronaca nera ha, ovviamente, un suo ruolo legittimo nel giornalismo. Serve a informare, a denunciare ingiustizie e a stimolare dibattiti utili per la società. Tuttavia, il modo in cui viene confezionata nei talk show e nei programmi di approfondimento spesso tradisce il suo scopo. La spettacolarizzazione delle tragedie personali, l’enfasi sui dettagli più crudi, e l’abuso di esperti pronti a discutere senza empatia trasformano la sofferenza altrui in un intrattenimento morboso.
Gli effetti sulla popolazione
Questo flusso continuo di negatività non è senza conseguenze. Sempre più persone vivono un senso di oppressione e sfiducia verso il prossimo. La ripetizione martellante di storie di violenza e ingiustizia genera paura, diffidenza e, in molti casi, rabbia. La società si divide tra chi si sente vittima potenziale e chi cerca un colpevole in ogni angolo, spesso individuandolo nell’immigrato, nel giovane, o in chiunque appaia "diverso".
Il malessere si percepisce sempre di più nelle strade, nei luoghi di lavoro, persino in famiglia. Si parla meno di speranza, solidarietà o bellezza. In un mondo già segnato da crisi economiche, sociali e ambientali, la costante negatività mediatica diventa un ulteriore macigno sulle spalle degli italiani.
Le ragioni di questa deriva
Perché i media insistono su questo tipo di narrazione? La risposta potrebbe essere cinica ma semplice: l’audience. Il dolore, lo scandalo e la paura vendono. L’essere umano ha un’attrazione quasi istintiva verso ciò che lo spaventa o lo indigna. Questo fenomeno è noto come negativity bias, una predisposizione psicologica che spinge le persone a prestare maggiore attenzione alle notizie negative.
Ma c’è anche una questione più complessa e inquietante. Alimentare la paura e il senso di insicurezza potrebbe essere, almeno in parte, uno strumento per controllare e distogliere l’attenzione pubblica da problemi sistemici più profondi. Se tutti sono concentrati sulla cronaca nera, chi si occupa di discutere della crisi climatica, del precariato o del crescente divario sociale?
Verso una televisione più responsabile
Il compito dei media dovrebbe essere non solo informare, ma anche educare e ispirare. È necessario un cambio di paradigma: più spazio alla cultura, alle storie di riscatto, ai successi della comunità. La televisione potrebbe essere uno strumento per unire, anziché dividere, per incoraggiare, anziché deprimere.
La domanda rimane: Perché accade tutto questo? È solo una questione di ascolti, o c’è un disegno più sottile dietro questa costante alimentazione del malessere? E soprattutto, cosa possiamo fare noi cittadini per richiedere un’informazione più equilibrata e umana?
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