La notte del 12 agosto 1984, a Taranto, lo stadio di calcio della città jonica è un calderone di emozioni e attesa febbrile.
Da giorni avevo acquistato quei biglietti per assistere all'esibizione della rockstar italiana più chiacchierata del momento e contavo i giorni, poi le ore, all'inizio di quel mio primo e storico concerto del Blasco.
Ma c'è un altro lato della storia che rende questo concerto ancora più straordinario: solo pochi mesi prima, Vasco Rossi era stato al centro di uno scandalo che avrebbe potuto distruggere la sua carriera. Arrestato con l'accusa di spaccio di droga, Vasco aveva visto la sua vita privata e pubblica messe a soqquadro. Le voci su di lui circolavano insistenti, dipingendolo come una figura caduta in disgrazia, quasi come un artista ormai finito.
Ma quella sera a Taranto, Vasco è lì, vivo e pulsante come non mai, pronto a dimostrare che il rock non conosce barriere né catene. Dopo essere stato assolto per possesso di "modica quantità", Vasco è tornato più forte, più determinato, con una voglia di ricominciare da capo che vibra in ogni sua canzone.
La folla è consapevole di questa storia, di questo percorso accidentato. E proprio questo rende l'atmosfera ancora più elettrica, carica di una solidarietà e un'ammirazione che travalicano la semplice idolatria musicale. È come se ogni spettatore fosse lì non solo per la musica, ma per testimoniare la rinascita di un uomo che non si è lasciato abbattere dalle difficoltà.
Quando le luci del palco si accendono e Vasco inizia a cantare "Sono ancora in coma", c'è una scintilla nei suoi occhi che parla di redenzione e sfida. Ogni nota è un grido di libertà, ogni parola un affronto a chi lo aveva dato per spacciato. La sua presenza sul palco è una dichiarazione di guerra alle avversità, una celebrazione della resilienza umana.
La Steve Rogers Band accompagna questa rinascita musicale con un'energia che sembra alimentarsi direttamente dalla passione di Vasco. Canzoni come "Bollicine" e "Siamo solo noi" risuonano potenti, non solo come hit ma come manifesti di una generazione che rifiuta di arrendersi. E quando arriva "Vita Spericolata", il pubblico esplode in un coro unanime, unendo le proprie voci in un inno alla vita vissuta al massimo, senza rimpianti.
La serata scorre con momenti di pura magia, come "Ogni volta" e "Brava", che toccano le corde più intime del cuore. Ma il culmine emotivo arriva con "Albachiara", una canzone che, proprio come Vasco, è sopravvissuta a tutte le tempeste, diventando un simbolo di speranza e continuità.
In quel momento, con le luci degli accendini che ondeggiano nel buio dello stadio di Taranto e Vasco che canta con l'anima in mano, è chiaro che quella notte non è solo un concerto. È un rito di passaggio, un'affermazione di identità e forza, una serata che incarna la vera essenza del rock: la capacità di rialzarsi, di lottare, di vivere ogni istante come se fosse l'ultimo.
Quando tutto finisce e le luci si spengono, il pubblico lascia lo stadio con la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di unico.
Per me, quella notte è un ricordo indelebile, una testimonianza del potere redentore della musica e della straordinaria capacità di un uomo di trasformare le avversità in trionfo.
Vasco Rossi non è solo tornato: è rinato, e con lui, il sogno di un rock che può cambiare il mondo, una canzone alla volta.
p.s. Il Komandante in questi giorni è in concerto a Bari, oggi è un altro Vasco, più maturo ma sempre brillante.
In seguito ho assistito a molti altri concerti della nostra rockstar italiana da record, ma non vi nascondo che il primo Vasco ... non si scorda mai ... perchè, quelli erano anni "speciali".