“È arrivata la chiamata”
L’attesa è finita.
O meglio… è iniziata un’altra attesa, quella che precede il giorno X.
Stavo quasi convincendomi che avessero perso il mio numero, quando, all’improvviso, il telefono squilla.
Numero sconosciuto.
Respiro profondo, rispondo.
— “Pronto, signor Pugliese?”
— “Sì, sono io. Mi dica.”
— “La chiamo dalla Clinica Carlo Fiorino, ex San Camillo. Il 24 novembre dovrà essere qui da noi per l’intervento…”
Eccola lì, la telefonata.
Quella che aspettavo e che, nello stesso tempo, speravo tardasse ancora un po’.
Il cuore fa un salto, poi un altro, poi inizia a battere come una banda di paese.
Lì per lì mi sono detto: “Bene, ci siamo.”
Cinque minuti dopo, invece, mi è salita l’ansia come il livello del mare durante una mareggiata.
Perché, diciamolo: la sala operatoria è un posto strano.
Fredda come un frigorifero industriale, luci accecanti, voci ovattate dietro le mascherine… e tu lì, disteso, mentre cerchi di convincerti che “andrà tutto bene”.
Non è proprio un resort.
Eppure, in mezzo a questo turbine di pensieri, mi sento anche più calmo.
Forse perché l’attesa peggiore è quella dell’incertezza.
Quando non sai quando, dove, come.
Ora almeno ho una data, un orizzonte, un punto fermo a cui guardare.
Mi preparo mentalmente, con la mia solita ironia e con la speranza che non mi abbandona mai.
So che sarà dura, ma so anche che la paura non deve vincere mai.
E che anche le sale operatorie più fredde, alla fine, si scaldano un po’ se ci porti dentro un cuore che non smette di battere forte. ❤️🔥
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