sabato 4 novembre 2023

Trovata in rete

Guarda guarda cosa ho trovato in rete. Storia datata, ma questa cosa spero di farla leggere a mio figlio perchè desidero che lui capisca cosa è stata la telematica primordiale in Italia.

“Quando apri i giornali […]
ti viene una gran rabbia.
A quel punto
o tiri un oggetto contro il muro
o ti metti a scrivere.
Io mi metto a scrivere”
Andrea Camilleri 

“Vi terrò informati sulla vicenda;
per quanto mi sarà possibile,
e fino a quando sarò in grado di farlo...
credetemi, da come si stanno mettendo le cose,
temo che presto giungerà anche la mia ora...”
Messaggio spedito da una BBS
durante le retate di Polizia e Finanza, 1994

“Le streghe hanno smesso di esistere
quando noi abbiamo smesso di bruciarle”
Voltaire

1. Introduzione. La fiducia radicale
Non avrei mai creduto che un giorno Time – il primo settimanale al mondo – mi nominasse “Uomo dell’anno”.
Ovviamente, i redattori di Time non sanno neanche che io esisto come individuo, mentre mi conoscono perfettamente come “categoria di persone”.
Gli utenti che contribuiscono alla crescita collettiva della Rete sono l’uomo dell’anno per il 2007. “You”, dice la copertina del settimanale, e raffigura un computer pronto per l’upload di un video, esattamente quel gesto demonizzato in Italia per molte settimane da pensosi editorialisti, educatori angosciati, politici in vena di repressione.
Uomo dell’anno non sarà mai il ministro dell’Istruzione Fioroni, un democristiano grigio che interpreta morale, religione e difesa del fanciullo come  palle al piede dell’umanità.
Fioroni farebbe un’ottima figura negli anni bui della repressione fascista, o in quelli del fondamentalismo democristiano che amava sorvegliare, punire e guardare alle novità con pretesca diffidenza.
I Fioroni stanno male in questo millennio che offre quotidianamente novità tecnologiche che permettono comunicazioni rapide, veloci, multipolari. E ci stanno malissimo i regimi a cui lui si ispira, come la Cina, per i quali non bastano più le retate contro le tipografie, le incursioni della polizia politica, le schedature dei sovversivi.
Oggi occorrono filtri basati su algoritmi, scansioni di keyword ribelli, euristiche sofisticate, e tutto questo non basterà perché l’attivismo in rete non ha confini.
Il buon Fioroni, e non è il solo, ritiene che il proprietario di un sito sia anche responsabile civilmente e penalmente dei suoi contenuti, ed in base a questo semplice assunto Fioroni dovrebbe finire in tribunale per diffusione di materiale pedo-pornografico.
Sì, perché per alcuni giorni, nel novembre del 2006,  il blog di questo triste cattolico timorato di Dio e del sesso ha diffuso i link a qualunque forma di perversione concepibile dalla mente umana, e questo perché il suo blog, come tutti i blog, era aperto ai contributi degli utenti, senza filtro, e gli utenti hanno contribuito spesso nel bene, questa volta nel male.
Ma nessun poliziotto ha bussato a casa del ministro. Non così è avvenuto per i responsabili di Google Italia, due cittadini Usa conviti di lavorare in un paese dell’Europa moderna e non in una landa di talebani informaticamente analfabeti.
Non così è avvenuto per le centinaia di attivisti, amatori, appassionati di telematica e delle sue immense potenzialità di comunicazione libertaria. Ogni novità, ogni passo in avanti è stato “festeggiato” con retate, processi, persino pedinamenti ed informative dei servizi segreti.
Leggeremo di frigoriferi ispezionati, tappetini del mouse sigillati dalla Magistratura della Repubblica italiana, servizi segreti mobilitati contro i temibili modem a 1200 baud, pacifisti condannati a tre mesi di galera per un vecchio Word senza licenza.
Fotogrammi della fantascienza italiana che si ripropone con cadenza periodica e che contraddice i tromboni della politica che blaterano di “innovazione e ricerca”, per poi ostacolare in ogni modo chi di questo vive ogni giorno.
***
“Neutralità della rete” è un argomento che sta infiammando il dibattito negli Usa ed è qualcosa che riguarda da vicino il nostro futuro. Avete mai sentito un tg parlarne, un politico accennarvi?
La neutralità della rete indica il non intervento dei provider di connettività (Telecom, Fastweb, etc.) rispetto all’uso che gli utenti fanno della banda acquistata.
Una rete non neutrale può essere orientata dalle aziende rispetto alle proprie finalità commerciali, ma anche dai governi rispetto ai propri obiettivi.
Una rete orientata può affossare lo sviluppo del Voip, il telefono a basso costo che terrorizza i gestori dei cellulari. Può bloccare la Iptv orizzontale e prodotta dal basso che manderebbe in pensione Rai e Mediaset. Una rete orientata è parzialmente controllabile da regimi dittariali e ministri democristiani.
Si tratta di una campagna cruciale, su cui si stanno impegnando gli attivisti in tutto il mondo proprio mentre il Parlamento italiano discuteva un grottesco progetto di legge sul “permesso dei genitori” per caricare filmati su Internet.
Del resto, negli Usa circola un’espressione importante, radical trust , che indica un atteggiamento fondamentale per lo sviluppo di una rete che raggiunga tutte le proprie potenzialità.
La sfiducia radicale è invece quel morbo che abbiamo ereditato dalla società contadina e che ci fa guardare con diffidenza e letale prudenza alle novità.
Ho vissuto sulla mia pelle le limitazioni, gli ostacoli, le ondate di scettiscimo che hanno accompagnato la crescita della telematica.
Le osservazioni tese a sminuire, i giochetti finalizzati a trovare a tutti i costi “il lato negativo” delle nuove tecnologie e persino le sterili contrapposizioni tra la “virtualità” delle reti e la “viva materialità” del mondo reale, dell’incontro in carne ed ossa, della compresenza, come se non usassimo da decenni il telefono e come se mandare una mail impedisse di incontrarsi un’ora dopo.
Alienante era la parola di moda, perché il cittadino medio inscatolato nel traffico dell’ora di punta, ucciso da lavori ripetivi, impieghi fantozziani, mansioni massacranti, inebetito dai grandi fratelli e dai telequiz improvvisamente diventava un alienato nell’uso dell’unico strumento interattivo che si trovava, quasi per caso, di fronte.
***
Tanti pregiudizi sono svaniti, ed oggi appaiono ridicoli ricordi. Eppure la rete ha il difetto di non fermarsi mai, cresce alla velocità della luce specie da quando l’open source e la filosofia della condivisione hanno dimostrato che se colleghiamo un milione di persone, ed ognuna senza sforzo mette su un mattoncino, si costruisce la grande muraglia in men che non si dica.
Potremmo fare di tutto: l’enciclopedia più grande del mondo, un film collaborativo, l'editoria su richiesta, un giornale che ogni mattina arriva nelle case, la televisione che ancora non c’è.
Ed, invece, siamo ancora qui a scrivere di quel triste ministro cattolico che vuole imitare la censura cinese.
2. California University
Se la California è un mito, Berkeley è la sua Università. Il luogo centrale della contestazione studentesca statunitense, dei primi esperimenti di informatica libera, ma anche un punto di riferimento per la cultura mondiale.
Gli scienziati di Berkeley hanno inventato il ciclotrone, scoperto l'antiprotone, hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo del laser, hanno spiegato i processi sottostanti la fotosintesi, hanno isolato il virus della poliomielite.
Nei laboratori di informatica nacque BSD (Berkeley Software Distribution), una delle varianti originarie di Unix, alla base di una delle due famiglie principali di sistemi operativi liberi attualmente più diffusi, da cui oggi deriva Apple Darwin, il cuore unix di Mac OS X.
Una stella polare per i sostenitori del software libero di tutto il pianeta. Era il 1977, e la prima versione fu rilasciata come codice sorgente su un nastro. In Italia non si sapeva pressoché nulla di questes cose. Nel 1983, il sistema includeva già il supporto TCP, lo stesso protocollo che oggi rende possibile Internet. Negli stessi anni, la Sip investiva “intelligenze” e risorse sul “Videotel”, una specie di Televideo su rete proprietaria, garantendo che quello sarebbe stato il futuro e non le stravaganti reti che progettava l’America.
Berkeley è nota anche per l’attivismo studentesco. Il Free Speech Movement (Movimento per la Libertà di Parola) - una protesta che iniziò quando l'università cercò di espellere gli elementi più politicizzati dal campus - è del 1964. Nello stesso anno, le rivolte di People's Park (Parco del Popolo) inauguravano la protesta studentesca che sarebbe dilagata in tutto il mondo negli anni successivi, inventando la controcultura hippie.
Oggi Berkeley è la prima università ad utilizzare Google Video in maniera istituzionale. Le lezioni sono riprese e diffuse sulla piattaforma che permette a chiunque di caricare filmati, condividerli col mondo, includerli nei propri siti.
L’università della California è completamente integrata con la comunità che la circonda e da sempre è attenta alla diffusione della conoscenza a livello extra universitario: ha spesso avviato iniziative per l’intera comunità e non solo per gli studenti iscritti.
In questo quadro si inserisce l’iniziativa, annunciata il 26 settembre 2006, di rendere disponibili su Google Video contenuti didattici di anatomia, biologia, ingegneria, storia, letteratura, scienza e tecnologia. Più di 250 ore di lezione fruibili da chiunque, in qualsiasi parte del mondo, ma soprattutto gratuitamente.
Già nell’aprile del 2006 l’università californiana aveva iniziato questo processo di “knowledge sharing” grazie ad un Free Podcast dei corsi su iTunes, la piattaforma di Apple conosciuta per la possibilità di acquistare gratuitamente Mp3 ma che ha potenzialità molto più vaste.
Fra tutte le lezioni a disposizione è da segnalare “Search Engine Tecnology and Business”, che dura 40 minuti ed è tenuta – in jeans e maglietta - da Sergey Brin, co-fondatore di Google. [1]
Fine della gita californiana e ritorno a casa. Telecom è un elefante perennemente in crisi, tra Tronchetti Provera, crisi finanziarie, debiti, giochetti con società ad incastro, stolide passioni pallonare, manager “trendy” amanti della bella vita, incursioni alla ricerca di protezioni politiche e sforzi volti al mantenimento di ferrei monopoli privati.
Dopo Olivetti, non esiste alcuna società informatica italiana degna di questo nome. E come se non bastasse, c’è pure voglia di mettere freni a ciò che arriva da oltre Oceano. Il modello del ministro dell’Istruzione è la Cina delle censure.
La storia della telematica italiana è stata punteggiata da retate, indagini, sequestri, procedimenti penali contro chiunque fosse un po’ più avanti degli altri, colpa non prevista dal codice penale ma evidentemente vigente di fatto in un paese dove la diffidenza contadinesca nei confronti del nuovo contagia politici, magistrati, giornalisti, parte consistente di una classe dirigente arretrata e limitante.
Il panorama della telematica di base, degli esperimenti spontanei, del volontariato informatico che spesso crea progressi essenziali era vivo e ricco nel passato. Oggi appare stremato ed impaurito, perché troppe volte innovazioni importanti sono state “premiate” con una sgradevole visita a domicilio della Polizia postale.
Le principali innovazioni arrivano oggi dalla California, dalla Cina, ma anche dall’India, dal Sudafrica, dal Brasile, dalla Svizzera. La classe politica in genere le ignora, per poi proporre modelli come quello pechinese di controllo e repressione.
 
3. Concorso in diffamazione aggravata
Il 24 novembre del 2006 sarà ricordato come una data storica per la Rete. Due responsabili della divisione italiana di Google finiscono sotto inchiesta con l’accusa di “concorso in diffamazione aggravata”, lo stesso tipo di reato riservato al direttore di una testata per omesso controllo. Il motivo è il video pubblicato su Google in cui un ragazzo down di Torino viene picchiato da coetanei.
Nonostante la pronta rimozione del video stesso da parte di Google, avvenuta a pochi giorni dalla pubblicazione, la onlus “Vivi Down” ha sporto denuncia per diffamazione e il PM Cajani di Milano ha persino disposto la perquisizione dell'azienda.
Gli accertamenti in quella sede sarebbero dovuti alle necessità di individuare il domicilio dei manager Google, due cittadini statunitensi, nonché di approfondire le modalità con cui i video vengono pubblicati dagli utenti (informazioni reperibili nella pagina web dedicata alle domande frequenti).
A dare corpo all'azione potrebbe essere intervenuta una recente e celebre sentenza del Tribunale di Aosta che equipara la responsabilità dei gestori di siti a quelle di un direttore responsabile, applicando per analogia la legge sulla stampa alla rete. La legge risale a molti decenni fa, e la rete funziona in maniera del tutto diversa rispetto alla carta stampata, come vedremo.
Anziché discutere di un nuovo sistema di regole adatto ai tempi ed alle situazioni, si preferisce adattare maldestramente l’esistente. Le conseguenze sono e saranno disastrose.
Secondo Guido Camera, avvocato di “Vivi Down”, “è un passo avanti importante, perché può contribuire a mettere chiarezza nel mondo di Internet. La decisione della Procura di Milano è corretta in fatto e in diritto”. [2]
In realtà, di fronte alle novità tecnologiche magistratura e forze di Polizia hanno avuto sempre un atteggiamento punitivo e sospettoso. Sequestro ciò che non capisco bene. Fino a pochi anni fa venivano messi i sigilli alle BBS, bacheche elettroniche collegate tra loro con chiamate interurbane che anticipavano e creavano l’ossatura di Internet. Cosa cercavano gli uomini della polizia postale che sequestravano floppy disk di plastica, stampanti ad aghi, tappetini del mouse, apparecchi da Scuola Radio Elettra? Non si sa bene ancora oggi.
Probabilmente, i vecchi pionieristici SysOp (i gestori delle BBS, tutti volontari ed a spese proprie) ebbero una sola imperdonabile colpa: arrivarono da soli e prima degli altri.
Da allora le azioni repressive furono molteplici: i server di Peacelink, che ospita notizie su pace e ambiente, furono sequestrati con azione degne dell’Interpol, l’FBI fece un blitz a Londra contro Indymedia, la campagna antipedofili scatenò una caccia alle streghe.
 Poi il mostro divenne il P2P (peer to peer), i nuovi letali nemici erano gli mp3 ed il download pirata della musica, quindi è stata la volta di Sky e dei suoi diritti Tv sulla serie A che ha portato ai processi contro “criminali” colpevoli di inserire semplici link a canali cinesi.
Una storia lunga e qualche volta tragica, che col passare degli anni appare sempre più grottesca.
4. La triste storia del Videotel
Un’orrenda scatoletta di plastica, costosissima e poco utile. Una mostruosità nata vecchia. Il Videotel della SIP, con procedure complesse (era necessario noleggiare un apposito apparecchio con monitor monocromatico a terminale da 9 pollici) e costose (canone di abbonamento più costi di consumo telefonico), fu un sonoro fallimento, nonostante che gli equivalenti Prestel (Inghilterra) e Minitel (Francia) fossero stati all’epoca un successo.
La storia del Videotel è paradigamatica ed interessante, istruttiva ed utile. Ricorda quanto è avvenuto di recente con il digitale terrestre: lo Stato promuove una tecnologia già morta per favorire alcuni interessi ed ignora sistemi molto più avanzati e diffusi nel mondo.
La trasmissione dei dati avveniva a 1220 baud in ricezione ed a 75 baud in trasmissione, quindi un formato fuori standard per i modem.
Ebbe pochissimi abbonati e sparì prima ancora dell’avvento di Internet. Tuttavia ci fu un picco di diffusione quando in Italia alcuni hacker scoprirono l'algoritmo di generazione delle password, riuscendo così ad addebitare al proprietario della password l'intero costo dei servizi utilizzati. Inoltre molti utenti riuscivano a collegarsi alla rete tramite "l'adattatore telematico" per Commodore 64.
Lo scontro tra i sostenitori del Videotel (quasi sempre istituzionali) e quelli delle BBS, volontari ed appassionati della società civile fu subito nettissimo.
Oggi appare quasi patetica la posizione del monopolista delle comunicazioni, la svista epocale che fece bruciare alla telematica italiana almeno un decennio, ma allora non era così.
Uno dei protagonisti di quello scontro racconta:
“Il 28 ottobre 1991 nasceva ufficialmente la rete telematica PeaceLink: sono passati esattamente dieci anni. Frugando nell’archivio ho trovato uno ‘storico’ articolo del Corriere del Giorno con cui si annunciava: ‘Singolare iniziativa denominata PeaceLink’”.
Ventidue scuole di Taranto e provincia ricevevano una ‘password’ per inserirsi nella rete telematica appena creata.
 
“Non tutti percepirono l'assoluta novità dell’evento, anzi nessuna delle scuole che ricevette la password si collegò alla rete. Infatti dieci anni fa le scuole erano collegate al Videotel in quanto la vecchia SIP puntava tutto su tale sistema telematico che già allora apparteneva all'archeologia tecnologica; tanto per fare un esempio non si poteva neppure memorizzare su dischetto l'informazione che appariva su uno schermo minuscolo (il Videotel visualizzava solo linee di 40 caratteri).
 
Eppure il Videotel veniva offerto con un canone e dei costi notevoli. Per creare poche decine di pagine informative su Videotel occorreva spendere più di venti milioni. E per collegarsi on line c'erano tariffe paragonabili a quelle dei telefonini oggi. Di Internet allora non si conosceva neppure il nome.
 
PeaceLink invece ‘viaggiava’ in rete offrendo gratuitamente servizi tecnologicamente più evoluti rispetto alla SIP. Chi dava informazioni e chi le leggeva non doveva pagare pedaggio, la comunicazione era libera. Tuttavia le scuole usavano il Videotel e il Ministero della Pubblica Istruzione lo proponeva come modello per il futuro. Tre anni dopo il Videotel morì di stenti. Tutto ciò non ha bisogno di commenti. PeaceLink si trovava a quel punto in netto vantaggio tecnologico e ciò veniva visto con stupore e con sospetto da chi aveva compiti di controllo e di intelligence.
 
[…]  Potevamo inserirci già nel 1991 in un circuito nazionale e mondiale prima ancora che fosse disponibile in Italia la rete Internet, cosa che avvenne poi tra il 1994 e il 1995.” .
5. “Da allora niente fu più come prima”
Crackdown è una intraducibile parola inglese che racchiude in un unico vocabolo il significato di crollo, attacco, disfatta, distruzione, smantellamento, colpo di grazia.
“Italian Crackdown” [4] è appunto il titolo del libro di Carlo Gubitosa, uno degli animatori di Peacelink, che racconta la storia di una serie interminabile di sequestri, censure, perquisizioni, intimidazioni e violazioni dei diritti costituzionali, avvenuta nel più totale disinteresse dei media e della politica, che nel maggio 1994 ha messo in ginocchio le reti autogestite e autofinanziate.
Uno dei protagonisti ci racconta il Crackdown italiano:
“Quando nei primi anni '90 Internet era ancora uno strumento di nicchia, riservato esclusivamente alle comunità scientifiche, in Italia era capillarmente diffusa la cosiddetta telematica amatoriale, gestita da giovani volontari, amanti della sperimentazione informatica e della comunicazione. Questi pionieri della comunicazione elettronica aprivano, senza fini di lucro, Bulletin Board System (BBS), nodi telematici, collegati più o meno permanentemente ad una linea telefonica.
Mediante un modem ed un semplice programma di comunicazione, un qualsiasi privato poteva collegarsi ad una delle tante BBS esistenti, e, una volta registratosi, prelevare i files di pubblico dominio che il SysOp, l'operatore del sistema, metteva a disposizione sul proprio nodo.
La maggior parte delle BBS aderivano ad una o più Reti Telematiche, circuiti virtuali, descritti da nodelist, che consentivano, su ciascuna rete, un prezioso scambio di messaggi tra gli utenti finali. Diventava così possibile che un messaggio, scritto da un utente, su un qualsiasi nodo, venisse distribuito in una notte sull'intero territorio nazionale, grazie al sofisticato meccanismo automatico di chiamate notturne via modem, che permetteva lo scambio dati tra i nodi di una stessa rete, secondo un preciso modello gerarchico (nodi nazionali, regionali e locali).
I messaggi, organizzati per aree tematiche (conferenze echomail), erano fondamentalmente di due tipi: orientati al tecnico (software , sistemi operativi, modem, etc) o a discussioni più o meno impegnate ( chat, cinema, musica, politica, etc).
Agli occhi di un moderno cyber-utente potrebbe apparire qualcosa di antico e rudimentale, ma era il germe, l'essenza di una comunicazione semplice e diretta, fatta da persone che scrivevano per il piacere di esserci, di comunicare, di conoscersi per quello che erano e non per quello che apparivano. Sicché queste reti telematiche si trasformavano con enorme facilità in vere e proprie reti umane.
Di reti telematiche ve n'erano tante in Italia. La più importante, FidoNet, diffusa su scala mondiale ed il cui modello era clonato in varie nazioni, possedeva il grande merito di aver portato la telematica amatoriale in Italia, ma il grosso difetto di essersi spesso chiusa a riccio verso realtà che non aderissero ad una certa omologazione comportamentale, rispettosa di burocrazie e gerarchie a volte soffocanti.
Paradossalmente fu proprio FidoNet, famosa per le sue rigide regole interne contro la pirateria informatica, la maggiore vittima del primo spaventoso CrackDown italiano.
 
Accadde infatti che l'11 maggio 1994 venissero emessi 173 mandati di perquisizione con avviso di garanzia e disposizione di sequestro di beni relativi, per un'operazione giudiziaria contro la pirateria e la frode informatica.
L'incriminazione era quella di associazione per delinquere finalizzata alla diffusione di programmi per computer illegalmente copiati ed utilizzo fraudolento di chiavi d'accesso per entrare in elaboratori di pubblica utilità, in merito ai reati di duplicazione illegale di software a fini di lucro e criminalità informatica (Leggi n. 518 del 29 dicembre 1992 e n. 547 del 23 dicembre 1993).
Un solerte procuratore della repubblica di Pesaro, tal Gaetano Savoldelli Pedrocchi, aveva condotto un'inchiesta, che individuava, come indiziati, due duplicatori nonché commercianti abusivi di software. Il caso volle che questi pirati fossero anche utenti di BBS, motivo per il quale ai due era stata sequestrata la lista delle banche dati a cui erano soliti collegarsi: da tale lista, sulla base di collegamenti "apparsi illegali" e seguendo probabilmente le ramificazioni di qualche nodelist, il procuratore decise di ordinare alla Guardia di Finanza un gran numero di decreti di perquisizione, da eseguire su tutto il territorio nazionale: era partito il primo Italian Crackdown, che, a causa del coinvolgimento di molte BBS Fido, fu denominato Fidobust.
Lo stesso 11 maggio, la Guardia di Finanza di Torino, su istanza della locale Procura della Repubblica (P.M. Cesare Parodi), ordinò alcune perquisizioni, questa volta molto più precise e mirate, conclusesi con la segnalazione all'Autorità Giudiziaria di 14 responsabili di BBS pirata, alcune delle quali praticavano effettivamente un indecente mercimonio di software duplicato abusivamente.
Il danno materiale e morale, soprattutto a causa dell'indagine partita da Pesaro, fu incolmabile: i sequestri furono effettuati ovunque e con modalità differenti, a seconda del livello di impreparazione tecnica di chi aveva il compito di svolgere l'operazione. Il più delle volte furono sigillate tutte le apparecchiature elettroniche, dal computer fino alla stampante; molti SysOp furono privati delle macchine che utilizzavano anche per lavorare o studiare e qualche zelante esecutore arrivò in alcuni casi a sigillare i tappetini del mouse. Infine il panico fu totale per quelle famiglie nelle quali molti giovani SysOp ancora vivevano, adolescenti la cui unica colpa era stata quella di coltivare con passione il proprio hobby telematico.
La sensazione generale fu quella di un tentativo di gestire con la violenza della forza quel sistema di comunicazione che sfuggiva alla possibilità di un ferreo controllo: quando un SysOp raccontò che a casa sua i finanzieri si erano presentati per l'ispezione con un depliant della BSA (Business Software Alliance), una associazione nata da un accordo tra potenti multinazionali dell'informatica e della telecomunicazione, si capì subito chi fossero i reali mandanti di questa grossolana operazione, che solo col tempo dimostrò la sua totale imprecisione ed ingiustificata aggressività.
Il paradosso di tutta la vicenda fu che l'ondata di sequestri fece del tutto saltare un'inchiesta parallela, condotta dalla Criminalpol in collaborazione con persone della stessa FidoNet, consentendo a molte vere BBS pirata, nei giorni successivi al blitz, di cancellare con rapidità ogni possibile traccia della propria attività clandestina.
Il giocattolo si era purtroppo rotto: alcuni SysOp chiusero i propri sistemi, per paura di ulteriori ingiuste indagini, altri ridussero al minimo il proprio impegno. Quel periodo fu veramente angosciante: chi, come il sottoscritto, gestiva una BBS (Dark Globe), seguiva lo scandire dei giorni nella speranza di non ritrovarsi in casa, per il solo fatto di appartenere a qualche rete telematica, un manipolo di incompetenti, pronti a sequestrare tutto il possibile.
 
Personalmente decisi di rimanere, e lo feci con la forte convinzione che la comunicazione non poteva essere uccisa da un giudice inesperto; quel giudice non aveva alcun diritto di entrare nel mio privato, alla ricerca di presunti illeciti, brutalizzando in modo tanto rozzo e selvaggio i fortissimi legami di amicizia che avevo costruito col tempo, insieme a molte persone del mondo telematico.
Quel legame era la prova concreta di quanto fosse vero che con la telematica era possibile superare la barriera comunicativa del chiudersi in sé e di esso devo ancor oggi ringraziare la rete PNet, che aveva alimentato in me la forte passione per la telematica amatoriale.
Ricordo che, nei primissimi giorni successivi all'ondata di sequestri, si collegò al mio sistema, fatto del tutto inusuale, Alfonso Martone, responsabile PNet. Mi chiamò frettolosamente in chat e con una domanda un po' ermetica mi scrisse: "Tutto a posto?". "Si perché?" - risposi - e lui di seguito "guarda che nell'area messaggi CyberPunk la tua BBS è comparsa in un elenco di quelle chiuse a seguito dell'ispezione della guardia di Finanza!" Feci un salto dalla sedia. Gli confermai che non avevo subito alcun sequestro e cercai di spulciare subito i messaggi della CyberPunk per capire cosa fosse stato scritto. […]
6. Voce a chi non ha voce
E' giusto a tal proposito ricordare la struggente storia di Massimiliano Fiorenzi, SysOp di Sidanet Information, malato di AIDS, il quale aveva deciso di utilizzare tutte le sue forze per allestire un nodo che avesse fatto da archivio informativo per tutte le notizie e gli articoli che fosse riuscito a raccogliere, relativi a quella terribile malattia. Fino ai suoi ultimi giorni di vita, Massimiliano proseguì la preziosa attività di archiviazione e catalogazione di materiale sull'AIDS: il nome di Fiorenzi rimase per sempre nella nodelist PNet, in sua memoria.
Erano questi i primi vagiti di una telematica che voleva crescere: qualcuno aveva intuito le enormi potenzialità offerte dallo strumento telematico e provava a calarlo in nuovi contesti, fino ad allora scarsamente esplorati.
Nello stesso periodo, parliamo di fine '92, era stato portato avanti un altro esperimento per certi versi più organico e meno anarchico: la rete PeaceLink. Sul modello dell'area messaggi peacelink, distribuita da FidoNet fin fal '91, Giovanni Pugliese, Marino Marinelli ed Alessandro Marescotti decisero di fondare una rete eco-pacifista, a cui avrebbero potuto aderire tutti coloro che si fossero riconosciuti nei valori del volontariato, della solidarietà e della pace.
Il tentativo era quello di creare un ponte telematico che raccogliesse le voci del frammentario mondo dell'associazionismo pacifista italiano. Un altro obiettivo era quello di fare da cassa di risonanza per le denunce dei cittadini, che non trovavano spazio nei luoghi dell'informazione omologata dei media tradizionali: lo slogan che rappresentava questo intento era quello di "dare voce a chi non ha voce".
Fu proprio Taras Communication di Giovanni Pugliese, nodo centrale della rete PeaceLink, che ormai contava circa 60 BBS sparse sull'intero territorio nazionale, l'oggetto del più ignobile sequestro che la storia della telematica italiana ricordi.
Già nel mese di Maggio, a seguito del Crackdown, Giovanni Pugliese aveva ricevuto una serie di ingiurie e minacce telefoniche assolutamente inspiegabili.
Il 3 Giugno 1994, come ben racconta Carlo Gubitosa, il capitano Antonio Cazzato, della Guardia di Finanza di Taranto, inviava alla Procura della Repubblica di zona una richiesta di perquisizione della banca centrale della rete telematica PeaceLink.
 
La documentazione della Guardia di Finanza di Taranto, una sconcertante raccolta di ridicoli sospetti, basati sulla genericità ed imprecisione delle affermazioni di una "fonte affidabile" e l'assoluta mancanza di riscontri oggettivi, fu sufficiente a far scattare la perquisizione ai sensi dell'art.247 del C.P.P.: dell'inchiesta divenne titolare il Dott. Benedetto Masellis, pubblico ministero della Procura della Repubblica, presso la Pretura Circondariale.
Il decreto di perquisizione fu immediato: la Procura, acquista alle 15.30 la richiesta, lo emise dopo solo un'ora ed il capitano Cazzato fece partire le auto dei suoi uomini per Statte. Alle ore 17, presso lo stabile di Giovanni Pugliese, iniziò una capillare perquisizione gestita da un gruppo di finanzieri in divisa ed armati. Una rapidità impressionante, che portò al sequestro di tutte le apparecchiature del nodo centrale di PeaceLink.
A Pugliese venne contestata un'inverosimile attività illecita di riproduzione e vendita, tramite costosi abbonamenti, di programmi per computer. Il 4 Giugno, pur non essendo stato rinvenuto dai finanzieri nulla che potesse far pensare ad un lucroso traffico di software duplicato, nel verbale di sequestro venne riportato che si intuiva "un utilizzo commerciale della banca dati Taras Communication".
Ricordo che, il giorno successivo al sequestro, ebbi modo di parlare a voce con Enrico Franceschetti, SysOp responsabile del nodo campano Henry 8th di PeaceLink, a cui afferiva la mia BBS. Enrico era un SysOp pacato e poco incline a facili dietrologismi, per di più avvocato civilista di professione: eppure in quella situazione convenimmo sul fatto che quel sequestro nascondesse finalità squisitamente politiche, pur non comprendendone la reale natura.
La chiusura del nodo centrale di Taras provocò il blocco di tutta la rete PeaceLink. Ma se l'intento era quello di chiudere la bocca alla rete, l'effetto fu nullo. Il 13 giugno Banana's BBS, un nodo di Parma, gestito da Graziano Silvani, si offrì di sostituire Taras, ed in pochissimo tempo la rete cominciò nuovamente a funzionare.
Alla notizia del sequestro fioccarono numerose interrogazioni parlamentari e pervennero numerosi messaggi di solidarietà da parte di esponenti politici (tra cui va ricordato quello dell'europarlamentare Alex Langer) e della società civile, diretti a Pugliese ed alla rete PeaceLink, per la meritoria attività di informazione pacifista fino ad allora svolta.
Il 29 ottobre del '94, valendosi della preziosa collaborazione di Valerio Russo, che manteneva aperta una finestra sul mondo politico, Giovanni Pugliese organizzò a Roma, presso il salone ARCI, in via dei Mille, il primo convegno PeaceLink, presenti tra gli altri tutti i più importanti SysOp impegnati nell'ambito telematica sociale. Ho un bellissimo ricordo di quella giornata, nella quale Giovanni Pugliese, durante il proprio intervento, raccontò ad una platea di oltre 200 persone la sua paradossale vicenda.
In quell’occasione ed in successivi incontri, ebbi modo di conoscere da vicino Giovanni, e la sensazione fu quella di una persona di grande umanità, che, con PeaceLink, aveva creduto profondamente e col giusto senso pratico in quegli ideali di pacifismo e convivenza civile che erano i principi costitutivi del suo network.
Al convegno Di Blasi presentò una bozza di legge sulla tutela delle BBS, elaborata insieme a Pugliese, Marescotti ed Auer, nella quale si chiedeva tra l'altro la possibilità di registrare le BBS presso un albo; la necessità, in caso di sequestro, di investigazioni preventive a mezzo telematico; il divieto di sigillare gli strumenti informatici oggetto di una indagine, se indispensabili per attività lavorative; la necessità di far condurre indagini telematiche a personale qualificato; la concessione dell'accesso a conferenze echomail solo ad utenti identificabili, in modo che i SysOp non fossero responsabili del contenuto dei messaggi in transito sul proprio nodo; la tutela dell'anonimato; la possibilità dell'uso di messaggi crittografati tra utenti; la diffusione libera di versioni obsolete di software, protette da copyright ma non più reperibili nei normali punti di vendita. Molte di queste proposte anticipavano quelle che sarebbero state le tendenze legislative ed interpretative delle leggi, nell'ambito del diritto in rete.
7. Inquinatori di pubblica opinione
Nella stessa giornata, intervenne al convegno Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa, il quale rivelò agli astanti che nella sala erano presenti agenti dei servizi di sicurezza: “Facciamo un applauso - esortò scherzoso - a questi fedeli servitori dello stato”.
Qualcosa di nuovo stava effettivamente accadendo. Il 3 agosto 1994 "La Repubblica" aveva già riferito, in un articolo, della relazione semestrale sui servizi segreti, nella quale si affermava che "nelle reti informatiche mondiali transitano informazioni e disinformazioni capaci di inquinare l'opinione pubblica, di creare sfiducia e paura".
Nei mesi successivi al sequestro l'inesauribile Pugliese riallestì il suo sistema, attivando oltretutto un gateway con Internet, che consentì di esportare le aree tematiche di PeaceLink sotto forma di mailing list: era il primo passo di una lontana ma progressiva transizione verso la rete delle reti.
A quei tempi molti SysOp speravamo che la telematica delle BBS potesse resistere all'ondata Internet o che un giusto bilanciamento tra tecnologia Internet e tecnologia FidoNet evitasse di stravolgere più di tanto la telematica amatoriale. Ma quel primo piccolo passo verso Internet era un doloroso quanto lungimirante avvicinamento al futuro ed alla sopravvivenza tecnologica di PeaceLink: in fondo ciò che più contava non era lo strumento o la forma, ma il contenuto veicolato.
Il 6 ottobre di quell’anno accadde qualcosa che mise in preallarme i SysOp più attenti: la BBS Rozzano di Davide Valenti, appartenente al circuito EuroNet, riceveva una visita degli agenti della Digos e, nonostante il sistema fosse zeppo di software Copyright duplicato (ma per scopi nel seguito dichiarati, dal pretore milanese di competenza, "senza fini di lucro"), gli agenti si mostrarono fortemente interessati non a quel software, ma alle aree messaggi contenenti corrispondenza criptata in PGP, sulla base di una indagine per presunto traffico di codici d'accesso. Per la prima volta, in assenza di una precisa legge sulla privacy, si indagava nell'ambito della crittografia e della corrispondenza privata.
Il 28 febbraio dell'anno successivo, siamo ormai nel '95, squadre dei Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale Anticrimine, posero sotto sequestro, nell'ambito di un'ispezione più ampia, il personal computer su cui girava BITs Against The Empire BBS, nodo telematico delle reti CyberNet e FidoNet.
Ciò avveniva su mandato di perquisizione emesso dalla Procura della Repubblica di Rovereto, che ipotizzava il reato di “associazione con finalità di eversione dell'ordine democratico” (art. 270 bis CP).
Il nodo conteneva una vasta documentazione relativa all'uso sociale delle nuove tecnologie, al circuito dei CSA (Centri Sociali Autogestiti italiani), alle autoproduzioni, nonché a centinaia di riviste elettroniche pubblicamente disponibili sulle reti telematiche di tutto il mondo: in 10 giorni, dietro istanza di dissequestro, tutto il materiale fu restituito ed il nodo poté riaprire.
Nel frattempo, a fine giugno, rete PeaceLink si trasformò da associazione di fatto ad associazione registrata, in modo da consentire una più facile tutela dei propri diritti.
Il 19 Settembre '95, Banana's BBS, nodo di Silvani che aveva meritoriamente sostituito Taras nel periodo del Crackdown, fu visitata da agenti della Digos: questi lo invitarono a dichiarare il proprio sistema presso la prefettura e lasciarono intendere che l'intera rete PeaceLink era soggetta ad un attento monitoraggio.
Del resto da un po' circolavano con insistenza voci relative a schedature puntuali dei SysOp "più in vista", appartenenti alle reti PeaceLink, CyberNet e PNet, sulla base di un filone di indagini parallelo che intendeva monitorare da un lato l'estremismo di stampo neo-nazista, dall'altro, nel caso delle reti sopra citate, i comportamenti dell'estremismo radicale di sinistra.
Era ormai chiaro, come ebbe a scrivere nel seguito Alessandro Marescotti, che da tempo "agenti dell'antiterrorismo e dei servizi segreti tallonavano PeaceLink ed i loro attivisti, temendo che fosse un pericoloso centro di attività pacifista". Questo tallonamento sembrava essersi perfino tradotto nel tentativo di introdurre informatori all'interno della rete, nella speranza che si potessero ricavare interessanti informazioni riservate, funzionali a quei filoni di indagine.
Non v'era ormai dubbio che il sequestro di Taras ed i controlli della rete erano stati un malcelato tentativo di zittire uno strumento di libertà, nell'incapacità di comprenderne fino in fondo la natura e nel sospetto che fosse il volano di attività di pericoloso antagonismo sociale.
8. Vandali di Stato
Il 19 dicembre 1995, il Centro Sociale Leoncavallo di Milano denunciò un atto di "polizia giudiziaria" che, con un raid avvenuto alle 6.30 di mattina, da parte di "un ingente contingente di polizia e carabinieri mascherati", provocò la totale devastazione del centro stesso, in esecuzione di due procedimenti giudiziari: "il primo riguardava il sequestro delle strutture per l'allestimento di concerti all'interno del centro ed il secondo perquisizioni ed arresti cautelari per sostanze stupefacenti.".
Oltre alle consuete operazioni di perquisizione e sequestro delle strutture, furono compiute "gravi e violente azioni" nei confronti di militanti del Leoncavallo e delle strutture non soggette a sequestro. Durante queste azioni vandaliche, particolare ferocia venne esercitata all'interno della sede del collettivo ECN (European Counter Network ), che si occupava di comunicazione telematica e della gestione della BBS del Leoncavallo, e che, in quel periodo, stava lavorando per connettere ad Internet i centri sociali. Una decina di computer, rimessi a nuovo o acquistati negli ultimi due anni, "furono distrutti, i video sfondati e imbrattati di vernice, gli chassis delle macchine presi a calci o coperti di orina, le tastiere bloccate dal silicone".
A metà dicembre del '95 il computer che gestiva a Taranto il nodo centrale di PeaceLink subì un disastroso crash, che bloccò la rete per alcuni giorni. L'attività riprese per un paio di settimane finché Giovanni Pugliese non ebbe modo di contattarmi, per chiedere se fossi stato disponibile a spostare a Napoli il nodo centrale della rete.
In quelle settimane Giovanni aveva impegnato tutte le sue energie in una campagna di ricerca di aiuti su Internet, nel tentativo di salvare la vita al piccolo Gian Marco, bambino affetto da una rara e devastante forma di leucodistrofia (avrei avuto occasione di provare un brivido sulla schiena, nel vedere Gian Marco dal vivo in occasione del secondo convegno PeaceLink, tenutosi a Statte a fine Ottobre del successivo anno).
 
Quel terribile guasto del computer di Taras, insieme alle inevitabili ripercussioni di una logorante attesa per l'esito delle indagini del sequestro ed all'impegno profuso per Gianmarco, lo avevano spossato, impedendogli di portare avanti con continuità la gestione tecnica della rete.
Alla richiesta di Giovanni non potei rispondere di sì, in quanto sul mio nodo non v'erano slot temporali sufficienti per consentire ai nodi regionali di PeaceLink lo scambio della posta. Ebbi però la fortuna di contattare un altro SysOp napoletano, Davide Pagnozzi di Editel BBS, che offrì piena e generosa disponibilità purché, mi disse, "vieni a casa mia e configuri tutto tu, perché io ho iniziato da poco e non sarei in grado di portare avanti questa cosa da solo".
Con Davide fu fatto un lavoraccio incredibile, anche per recuperare tutti i nodi regionali ignari del nuovo cambio. Ma ancora una volta, il 7 gennaio del '96, PeaceLink era in vita: Davide avrebbe gestito, tramite EdiTel, la messaggistica tradizionale ed io mi sarei occupato del gateway con Internet.
Da allora in poi PeaceLink sarebbe rimasta stabilmente a Napoli, prima con la gestione centrale della posta, ancora oggi con il server Internet dedicato ad Alex Langer.
Il colpo di grazia rete PeaceLink lo subì però il 26 febbraio del '96, quando a Giovanni Pugliese fu notificato un assurdo decreto di condanna penale per i fatti del sequestro e senza alcun dibattimento, perché il reato era "perseguibile d'ufficio". Un poco competente "perito fonico", dopo ore ed ore di analisi del contenuto dell'Hard Disk del computer di Pugliese, aveva alla fine rilevato la presenza di un Word senza licenza d'uso, tra l'altro preinstallato e dunque neppure duplicabile o diffondibile per via telematica.
Era crollato il castello di menzogne su cui era stato costruito il movente del sequestro della BBS di Giovanni, eppure veniva emessa una condanna di 3 mesi di reclusione più il pagamento di una multa di 500 mila lire e delle spese processuali. Fu un insulto verso l'impegno sociale di PeaceLink: "chi osava denunciare per il bene comune, malefatte e quant'altro di negativo vi potesse essere nel nostro paese, sapeva ora bene a cosa andava incontro".
Giovanni Pugliese presentò immediatamente appello, sia perché era mancato il dibattimento, sia perché la copia ad uso personale di un programma destinato alle attività di una associazione di volontariato era cosa ben diversa dal commercio a fini di lucro.
L'ultima dura spallata alla telematica amatoriale arrivò nel maggio del '97. Questa volta si apriva un nuovo filone, che sarebbe stato, negli anni successivi, motivo di rilancio per le attività della Polizia Postale: la pornografia minorile.
Qualche avvisaglia c'era già stata il mese di aprile, quando un SysOp, che consideravo persona di una gentilezza quasi mortificante, mi contattò lasciandomi intendere che era stato sottoposto ad una indagine per pedofilia, pregandomi però di non divulgare la notizia.
Ebbene, l'8 maggio fu inesorabilmente confermato quel filone d'indagine: 18 nodi, tra cui alcuni critici per la rete FidoNet, furono chiusi. Dopo qualche mese, l'istruttoria, che aveva impegnato gli agenti della Polizia Postale dal Nord al Sud dell'ltalia, si tramutò nell'ennesima bolla di sapone. Peccato che quell'indagine ed i titoli vergognosamente scandalistici dei giornali, così come era avvenuto durante il primo Crackdown, avevano già rovinato la reputazione degli indagati, gettando su di loro il marchio dell'infamia e del sospetto.
 
In quell'occasione finalmente FidoNet si rese disponibile ad aprire un'area tematica dedicata ai problemi telematici ed al coordinamento tra operatori di diversi network. Purtroppo era un po' tardi: l'Internet di massa era alle porte e molti SysOp FidoNet, in seguito a quell’ennesimo incidente, chiusero per sempre le loro BBS.
Il seguito è la storia di una lenta agonia, che vide la telematica amatoriale consumarsi progressivamente nel tempo, o convertirsi, migrare ed il più delle volte disperdersi su Internet; questa storia ebbe il suo punto di non ritorno nel 2000, anno in cui la telematica amatoriale delle BBS poteva considerarsi pressoché scomparsa.
Oggi che la tecnologia lo permette, tutto è diventato più semplice. Per aprire una mailing list o allestire una pagina web bastano cinque minuti; eppure molti legami di quel tempo si sono dispersi nel nulla, tra il narcisismo telematico di un blogger o la incomunicabilità verbale di un newsgroup. Solo certe comunità virtuali, che in quegli anni avevano ben seminato, resistendo alle cannonate dei crackdown e maturando esperienza nella palestra delle BBS, conservano ancora il proprio spazio ed il proprio ruolo, dimostrando nei fatti una sorprendente vitalità e la giustezza di certe scelte iniziali.
Epilogo. La sentenza di assoluzione definitiva per Giovanni Pugliese arrivò solo il 21 gennaio 2000: l'Associazione PeaceLink e tutta la telematica pacifista italiana poterono celebrare l'assoluzione con formula piena, attesa per sei lunghi anni. Vicende recenti dimostrano però quanto le voci libere della telematica di volontariato diano ancora molto fastidio e quanto sia ancora forte la volontà di zittirle. [5]

9. Crociate contro le reti libere
La mattina del 27 giugno ‘98 la Polizia Postale di Bologna prelevava  un intero computer su ordine del Pubblico Ministero della Procura di Vicenza. Si trattava del server dell'associazione Isole nella Rete, corrispondente all'indirizzo pubblico www.ecn.org.
Un sequestro preventivo ipotizzante il reato di diffamazione continuata ai danni di una agenzia di viaggi, a causa di un messaggio web inserito da un collettivo di Vicenza, fedele trascrizione di un volantino stampato su carta e normalmente distribuito in pubblico.
Questo messaggio è stato originariamente inviato a una delle liste di discussione ospitata dal server di Isole Nella Rete e successivamente - in modo automatico come normalmente avviene - pubblicato sul web.
L'ordine di sequestro dell'intero server ha comportato il blocco di un servizio utilizzato da migliaia di utenti italiani, tra l'altro del tutto estranei alla vicenda che ha portato a ipotizzare il reato di diffamazione, e che si sono visti improvvisamente privati del loro mezzo di comunicazione.
L'ordine di sequestro non e' stato convalidato dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) e il server e' stato quindi finalmente restituito la mattina del 2 luglio.
Tuttavia, durante il sequestro il computer e' rimasto per diversi giorni nei locali della polizia. Sul disco fisso erano memorizzati dati su centinaia di persone e collettivi del movimento antagonista. Questi dati, formalmente tutelati dalla legge sulla privacy, potrebbero in qualche modo essere stati letti da estranei.
 
La vicenda ha avuto scarsa eco sui media italiani, ma è stata invece citata dall’Herald Tribune e dal  Washington Post:
“In Italy, meanwhile, authorities created a parallel flap when Bologna police seized the equipment of a nonprofit Internet provider they said had engaged in "prolonged defamation" of a travel agency. The provider said the reference was to a call for a boycott based on the travel agency's ownership; supporters of Kurdish rights said the business was owned by the family of the former Turkish prime minister, Tansu Ciller.” [6]
Il 2001 fu invece l’anno della crociata contro la pedofilia su Internet. Qualche anno dopo si sarebbe scoperto che “il male” si annidava tanto in rete quanto in luoghi insospettabili, come rispettabili appartamenti di famiglie perbene e tranquille parrocchie di quartiere. Ma per lunghi mesi sembrava che il più grande strumento della condivisione della conoscenza mai inventato dall’essere umano servisse solo per tendere trappole ai nostri innocenti pargoli.
Una delle perle di questa crociata casereccia è stata l’accusa rivolta al Comune di Roma: esalta la pedofilia.
Su Romacivica.net che, come tutte le reti civiche del mondo ospita sui suoi server associazioni, gruppi, soggetti di ogni tipo, erano state rinvenute pagine curate dall’associazione AVANA, che riproducevano, alcune pagine del libro “Lasciate che i bimbi… Pedofilia: un pretesto per la caccia alle streghe”. [7]
Nel testo erano proposte tesi anche discutibili ma senza dubbio interessanti e controverse, a partire da una lettura senza pregiudizi del tema con citazioni di numerosi studi clinici (“frasi inneggianti alla pedofilia”, secondo i crociati).
Il libro si concludeva con l’ipotesi del tutto verosimile secondo cui la questione pedofilia venga strumentalmente usata per favorire la repressione e la censura in rete.
In più, il libro in oggetto era uscito per l’editore Castelvecchi a firma Luther Blisset in tutte le librerie, dunque non era reperibile solamente on line. Il contesto dunque conta più dell’oggetto, per cui alcune affermazioni poste su una pagina web apparivano un orrendo reato, nascoste tra le pagine di un libro tra gli scaffali diventano come un contributo polemico al dibattito culturale.
 Pochi giorni dopo la crociata, il comune di Roma provvedeva ad oscurare le pagine di AVANA, aprendo anche una controversia legale per individuare le responsabilità. Subito dopo ci si preoccupava di scandagliare le altre pagine alla ricerca di elementi compromettenti, elimi

🪶 Il Grido del Silenzio

Non sempre i silenzi sono solo vuoti da riempire. A volte, gridano più forte di qualsiasi parola. È nei momenti di silenzio che ...